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Giurisprudenza

 

DIRITTO SANITARIO

e

Tutela della Salute

  

 

Si veda anche: inquinamento - elettrosmog - agricoltura - consumatori - Pubblica Amministrazione

 

 

Diritto alla salute - Alimenti - Sicurezza - Risarcimento - Sostanza alimentare - Genuinità - Vendita - Frode tossica - Acqua non potabile - Inquinamento - Accesso ai documenti - Eutanasia... 

Assistenza sanitaria - Farmaci prescrivibili - Criteri - Prontuario terapeutico - Responsabilità del medico - Reati...

Legittimazione attiva dell’ente territoriale a tutela di un diritto proprio della collettività (es. diritto alla salute) - Privacy...

 

 

 

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Diritto alla salute - donazione - sicurezza - risarcimento - sostanza alimentare - genuinità - vendita - frode tossica - acqua non potabile...      

 


 

IGIENE E SANITA’ PUBBLICA - Violazione delle norme constata dall’ASL - Sospensione dell’attività di somministrazione - Prova dell’effettiva lesione al bene protetto - Necessità - Esclusione. La violazione delle norme poste a tutela dell'igiene e della sanità pubblica, quando è constatata dalla ASL, è requisito sufficiente per disporre la sospensione dell'attività di somministrazione fino al ripristino delle condizioni igienico sanitarie, senza che occorra anche la prova della effettiva lesione del bene protetto; trattasi, infatti, di norme che sono finalizzate ad evitare il verificarsi di un pericolo di danno per la salute pubblica e l'igiene e, pertanto, non occorre anche la prova della effettiva lesione di questi beni, né può essere ammessa a discarico la prova della mancanza della loro effettiva compromissione, essendo sufficiente la sussistenza del concreto ed effettivo pericolo che i beni protetti siano compromessi (TAR CAMPANIA; Napoli, Sez. III, n. 15770/2007) Pres. Fiorentino, Est. Nunziata -E.C. (avv. Cacciapuoti) c. ASL Caserta (avv. Barone) e altro (n.c.) - TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. V - 14 luglio 2011, n. 3825
 

SALUTE - Produzione di sostanze alimentari - Utilizzo di acque non potabili nelle operazioni di pulizia di impianti, attrezzature e utensili destinati a venire in contatto con gli alimenti - Divieto - Art. 28 D.P.R. n. 327/1980 - Art. 2 DP.R. n. 236/1988 - Regolamento CE n. 852/2004. Ai sensi dell’art. 28 del DPR n. 327/1980, nel combinato disposto con l’art. 2 del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 236, è espressamente vietata l’utilizzazione delle acque non potabili non soltanto nella produzione di sostanze alimentari, incluso il vino, bensì anche “nella pulizia degli impianti, delle attrezzature e degli utensili destinati a venire a contatto con tali sostanze”; le deroghe disposte dal successivo art. 29 non sono nella disponibilità dei produttori, ma devono in ogni caso essere autorizzate dall’autorità sanitaria. La normativa in vigore, ivi compreso il regolamento CE n. 852 del 2004, non consente pertanto di affermare che nella produzione vinicola sia sufficiente “acqua pulita”, perché nulla autorizza a sostenere che contenitori e attrezzature possano essere lavati con acqua non potabile, potendo in effetti avvenire la contaminazione degli alimenti, anche per contatto con contenitori e attrezzature che non siano stati lavati con acqua potabile. Vale la pena di precisare che la potabilità delle acque risponde a giudizi tecnico-scientifici che possono competere solo all’autorità sanitaria. Pres. ed Est. Messina - Società Agricola P. s.p.a. (avv.ti Figuera e Altobello) c. Azienda Sanitaria Provinciale di Catania (avv. Stimoli) - TAR SICILIA, Catania, Sez. IV - 25 maggio 2011, n. 1280
 

SALUTE - Prescrizioni normative poste a tutela della salute - Verifica del pregiudizio in concreto - Necessità - Esclusione. Le prescrizioni normative poste in generale a tutela della salute vanno rispettate di per sé, senza che si debba verificare se una condotta ad essa contraria sia o no in concreto pregiudizievole (C.d.S. sez. V 14 settembre 2010 n° 6671). Pres. Petruzzelli, Est.Gambato Spisani - C.T. s.r.l. (avv.ti Ferrajoli e Ambrosini) c. Provincia di Bergamo (avv.ti Vavassori e Pasinelli ) - TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 13 aprile 2011, n. 549
 

SALUTE - ALIMENTI - Detenzione per la vendita di sostanze in cattivo stato di conservazione - Art. 5, comma 1, lettera b, L. n. 283/1962 - Configurabilità. Ai fini della configurabilità della contravvenzione prevista dalla Legge 30 aprile 1962, n. 283, articolo 5, lettera b, non é necessario che il cattivo stato di conservazione si riferisca alle caratteristiche intrinseche delle sostanze alimentari, essendo sufficiente che esso concerna le modalità estrinseche con cui si realizza, le quali devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, a regole di comune esperienza (Cass., S.U., 19.12.01, Butti). (dichiara inammissibile ricorso avverso sent. del Tribunale Monocratico di Termini Imerese del 20.1.10). Pres. Teresi - Est. Ramacci - P.M. Izzo - Ric. Ci. Sa. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 25/03/2011, Sentenza n. 12000

 

SALUTE - Vendita di sostanze alimentari - Confezione originale rilevante ex art. 19 Legge 283/1962 - Nozione. La nozione confezione originale, rilevante ai fini della applicazione dell'articolo 19 della Legge 30 aprile del 1962, n. 283, presuppone la sussistenza di recipienti o contenitori chiusi, destinati a garantire l'integrità originaria della sostanza alimentare da qualsiasi manomissione e ad essere aperti esclusivamente dal consumatore di essa (Cass. Sez. 3 n. 8085, 21/6/1999; Cass. Sez. 3 n. 35732, 28/09/2007; Cass. Sez. 3 2350, 09/03/1995; Cass. Sez. 6 n. 5199, 20/05/1993; Cass. Sez. 6 n. 10637, 29/10/1992). In sintesi, perché possa parlarsi di confezione originale, deve essere assicurata la chiusura del contenitore, la destinazione alla conservazione del prodotto e l'impossibilità di apertura da parte di soggetto diverso dal consumatore. La sussistenza di tali requisiti deve essere esclusa nei casi in cui il contenitore, ancorché chiuso ma non sigillato, venga utilizzato non per garantire l'integrità originaria dei prodotti, quanto per impedirne lo spargimento o l'insudiciamento nella fase di commercializzazione (Sez. 6 n. 10637, 29 ottobre 1992, cit.) o per altre ragioni, quali l'esigenza di assicurarne il trasporto (Sez. 6 n. 5199, 20/5/1993). (riforma sentenza del TRIBUNALE di MILANO n. 457/2009 del 11/02/2010). Pres. Teresi - Est. Ramacci - P.G. Izzo - Ric. Le. St.. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 25 marzo 2011, n. 11998

SALUTE - Vendita di sostanze alimentari - Vaschetta di plastica trasparente avvolta in una retina contenente prodotti ortofrutticoli freschi - "Confezione originale" rilevante ex art. 19 Legge 283/1962 - Esclusione. Deve escludersi che un involucro contenente prodotti ortofrutticoli freschi consistente in una vaschetta di plastica trasparente avvolta in una retina abbia come finalità quella di garantire l'integrità originaria del prodotto e la sua conservazione. Difatti, il semplice avvolgimento in una retina non impedisce al prodotto di insudiciarsi o venire a contatto con agenti o sostanze esterne. Resta, tuttavia, il fatto che tale tipologia di involucro non consente, di regola, al venditore l'apertura della confezione senza la manomissione, con conseguente impossibilità di successiva commercializzazione del prodotto. Sul punto, occorre specificare che non può richiedersi una diligenza o prudenza eccezionale a coloro che vengano in rapporto, nelle fasi di produzione o distribuzione, con sostanze alimentari in assenza di specifiche prescrizioni normative; nondimeno, é loro imposto un dovere di condotta commisurato a quello riferibile alla media degli esercenti la medesima attività, da accertarsi in termini concreti e fattuali (Cass. Sez. 6 n. 2711, 4 marzo 1994). (riforma sentenza del TRIBUNALE di MILANO n. 457/2009 del 11/02/2010). Pres. Teresi - Est. Ramacci - P.G. Izzo - Ric. Le. St.. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 25 marzo 2011, n. 11998

SALUTE - Vendita di sostanze alimentari - Art. 19 Legge 283/1962 - Inevitabilità del fatto addebitato - Condotta esigibile da parte del commerciante - Delimitazione. L'articolo 19 della Legge 30 aprile del 1962, n. 283 considera l'inevitabilità del fatto addebitato, cioè l'impossibilità materiale da parte del commerciante di verificare, attraverso la normale diligenza e prudenza, la corrispondenza del prodotto alle prescrizioni legali (Cass. Sez. 3 n. 2350, 9/3/1995). La condotta esigibile é stata delimitata, con riferimento a determinate tipologie di alimenti, all'adozione delle necessarie precauzioni igienico-sanitarie relative alla conservazione del prodotto con riferimento ai locali, ai banchi ed alle modalità di esposizione e vendita, senza che il controllo possa pretendersi esteso ad accertamenti analitici che, per modalità e tempi di effettuazione, determinerebbero l'inevitabile deperimento del prodotto (Cass. Sez. 3 n. 5236, 27/5/1996). Pertanto, ferma restando la responsabilità del produttore, il rivenditore non può essere chiamato a rispondere del procedimento di lavorazione e produzione di alimenti immessi al consumo in confezioni originali, ad eccezione dei casi in cui i vizi siano constatabili all'esterno o il rivenditore ne sia a conoscenza, tanto meno può essere chiamato a rispondere della composizione di tutti quei prodotti, "imballati" o sfusi, che non rivelino esteriormente alcun vizio e per i quali l'analisi o qualsiasi appropriato controllo si risolverebbe, per l'estrema deperibilità del prodotto, nell'impossibilità pratica di immetterlo al consumo. In tali casi é però richiesto al commerciante di adottare tutte le cautele necessarie, affinché possa far affidamento sulla conformità a legge del prodotto, sia dal punto di vista igienico-sanitario per la sua conservazione ed esposizione alla vendita, sia sotto il profilo dei controlli esperibili (Cass. Sez. 3 n. 2350, 9/3/1995, Sez. 3 n. 8085, 21/6/1999). (riforma sentenza del TRIBUNALE di MILANO n. 457/2009 del 11/02/2010). Pres. Teresi - Est. Ramacci - P.G. Izzo - Ric. Le. St.. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 25 marzo 2011, n. 11998

SALUTE - Vendita di sostanze alimentari - Art. 19 Legge 283/1962 - Applicabilità. L'articolo 19 della Legge 30 aprile del 1962, n. 283 può trovare applicazione anche nel caso in cui il prodotto fresco sia confezionato con involucri sigillati la cui apertura comporti la manomissione dell'originaria confezione o, comunque, la successiva incommerciabilità, e con modalità tali da non impedire il contatto con agenti esterni, tuttavia il commerciante che lo pone in vendita non può venire meno agli obblighi di particolare diligenza e prudenza nella conservazione ed esposizione per la vendita che la tipologia dell'alimento e le caratteristiche della confezione richiedono. (riforma sentenza del TRIBUNALE di MILANO n. 457/2009 del 11/02/2010). Pres. Teresi - Est. Ramacci - P.G. Izzo - Ric. Le. St.. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 25 marzo 2011, n. 11998

 

SALUTE - ALIMENTI - Detenzione per la vendita di sostanze in cattivo stato di conservazione - Prodotto sottoposto a più processi di congelazione e ricongelazione - Art. 5, comma 1, lettera b, e articolo 6 L. n. 283/1962 - Configurabilità. La necessità di riferire il reato di cui alla legge 30 aprile del 1962, n. 283 articolo 5, comma 1, lettera b, e articolo 6 alla inosservanza delle regole di conservazione delle sostanze deriva dal fatto che, altrimenti, nessuno spazio di operatività avrebbe la disposizione, a fronte delle lettere a), c), d), le quali - nell'arco che va dalla privazione degli elementi nutritivi all'alterazione degli stessi, abbracciano tutti gli aspetti oggettivamente rilevabili di degenerazione delle caratteristiche intrinseche degli alimenti. Detto in altri termini, la lettera b) della norma in esame non può che comprendere anche le cattive forme di conservazione e non soltanto le ipotesi di alterazione del prodotto (con scadimento delle proprietà). Si tratta, perciò di un reato di pericolo e non di danno. (conferma sent. del G.i.p. presso il Tribunale di Rimini del 17/12/09). Pres. Teresi - Est. Mulliri - P.M. Izzo - Ric. Ch. Xi. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 25 marzo 2011, Sentenza n. 11996

 

SALUTE - Commercio di sostanze alimentari nocive - Reato di pericolo - Attitudine ad arrecare nocumento alla salute pubblica - Necessità. Il commercio di sostanze alimentari nocive configura, a norma dell'articolo 444 c.p., un reato di pericolo. La sussistenza di detta fattispecie delittuosa postula la necessità che gli alimenti di cui si vuol fare commercio abbiano attitudine ad arrecare nocumento alla salute pubblica. Tale attitudine non può essere meramente ipotetica, occorrendo, invece, un pericolo concreto i cui estremi, specificamente individuati, debbono dare ragione dell'affermazione di responsabilità. La pericolosità può essere ricavata da qualsiasi mezzo di prova e dalla comune esperienza (Sez. 1, 23.9.2004, n. 41106, Molendino; conf. Sez. 1, 17.1.2007, n. 3532, Valastro). (annulla con rinvio sentenza del 30 aprile 2009 della Corte d'Appello di Napoli). Pres. TERESI - Est. FRANCO - P.M. PASSACANTANDO - Ric. Ba. Al. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III penale, 22 marzo 2011, n. 11500

SALUTE - Delitti contro la salute pubblica - Artt. 444 e 452 c.p. - Reati di pericolo “concreto” - Pericolosità delle sostanze - Accertamento. In tema di commercio, detenzione o distribuzione per il consumo di sostanze destinate alla alimentazione, il bene giuridico tutelato dalle fattispecie previste dall'articolo 444 c.p. e articolo 452 c.p., comma 2, é costituito dalla "salute pubblica", che viene salvaguardata anche attraverso la previsione normativa di un delitto inquadrabile nella categoria dei reati c.d. "di pericolo concreto", per la cui esistenza é necessario che le sostanze alimentari abbiano effettiva idoneità a porre in pericolo la salute dei consumatori, pur non essendo richiesto che il nocumento si sia già verificato o debba necessariamente verificarsi. Ne deriva che la pericolosità delle sostanze non può essere valutata astrattamente, cioè come situazione meramente ipotetica, ma deve essere accertata specificamente a mezzo di strumenti probatori adeguati alle singole sostanze alimentari collegate a sospetto (Sez. 1, 16.10.1996, n. 1367, Grimandi; Sez. 1, 13.5.1992, n. 6930, Turatta). (annulla con rinvio sentenza del 30 aprile 2009 della Corte d'Appello di Napoli). Pres. TERESI - Est. FRANCO - P.M. PASSACANTANDO - Ric. Ba. Al. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III penale, 22 marzo 2011, n. 11500

 

SALUTE - Commercio di sostanze alimentari nocive - Elementi costitutivi del reato. Il delitto di commercio di sostanze alimentari nocive presuppone, quanto all'elemento oggettivo, che le sostanze di cui si vuole fare commercio abbiano attitudine ad arrecare nocumento alla salute pubblica. Tale attitudine non deve consistere in un pericolo meramente ipotetico, essendo necessario un pericolo concreto, che deve sussistere al momento della cessione in vendita. L'elemento soggettivo del delitto è costituito dal dolo generico, ravvisabile nella volontarietà del commercio di sostanze alimentari nocive, con la consapevolezza della loro pericolosità per la salute pubblica (Sez. 1, 16.10.1996, n. 1367, Grimandi; Sez. 1, 18.11.1966, n. 1423, Milone). In sintesi, ai fini della configurazione del delitto, deve sussistere ed essere provata la pericolosità della sostanza alimentare di cui si vuole far commercio (in qualsiasi momento precedente o contestuale alla cessione del bene), la consapevolezza del pericolo e la volontarietà del commercio. (annulla con rinvio sentenza del 30 aprile 2009 della Corte d'Appello di Napoli). Pres. TERESI - Est. FRANCO - P.M. PASSACANTANDO - Ric. Ba. Al. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III penale, 22 marzo 2011, n. 11500

 

SALUTE - Sostanze alimentari e bevande - Produzione e vendita - Vigenza della disciplina sugli alimenti - Ratio - L. n. 283/62 e s.m. - L. n. 441/63 - Art. 14 c. 17 lett. a), L. 246/05 - All. 1, n. 1891 del D. L.vo n. 179/09. L’art. 14 comma 17 lett. a), della L. 246/05, stabilisce che dall'effetto abrogativo rimangono escluse le disposizioni contenute (oltre che nei vari codici) anche in ogni altro testo normativo recante nell'epigrafe la denominazione "codice" o "testo unico", il che consente di affermare che la legge n. 283\62 e s.m., in materia di alimenti, va esclusa dall'effetto abrogativo in quanto il relativo testo normativo recita nel suo incipit l'espressione "Modifica degli articoli 242, 243, 247, 250 e 262 del testo Unico delle leggi sanitarie approvato con Regio decreto 27 luglio 1934 n. 1265 - Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande". In altri termini non avrebbe avuto alcun senso su un piano squisitamente logico, da un lato, escludere espressamente dall'abrogazione la legge n. 441/63 modificativa della L. 283/62 e, dall'altro, non includere quest'ultima tra le leggi sopravvissute, il che giustifica la mancata espressa indicazione di questa nell'elenco delle leggi da salvare in coerenza, del resto, con quanto previsto in via generale dall'art. 14 comma 17 della L. n. 246/05 disciplinante la sorte generale delle leggi da mantenere in vigore. Né la situazione pare mutare in relazione alla circostanza che tra le norme da escludere dal menzionato effetto abrogativo non figurasse il D.P.R. 3.8.1968 n. 1255 concernente la modifica, ex art. 1 del regolamento allegato, dell'art. 6 della L. 283/62, in quanto detto D.P.R. è stato a sua volta abrogato espressamente dal D.P.R. 23.4.2001 n. 290. In conclusione, pertanto, può affermarsi che, il paventato effetto abrogativo della L. n. 283/62 deve ritenersi del tutto escluso. (riforma sentenza della Corte di Appello di Brescia del 15/01/2010 che confermava la sentenza del Tribunale di Brescia resa in data 25/06/2007) Pres. De Maio, Est. Grillo, Ric. Facchi. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 9/03/2011 (Ud. 19/01/2011), Sentenza n. 9276

SALUTE - Sostanze alimentari destinati ad un immediato consumo - Congelamento preventivo di conservazione - Esclusione - Danno alla salute - Reato di pericolo astratto presunto. Non è conforme a legge, la procedura di conservazione attraverso il congelamento preventivo di alimentari destinati ad un immediato consumo, sussistendo i presupposti e i comprensibili rischi di alterazione del prodotto a seguito di uno scongelamento (del quale oltretutto non é dato conoscere le procedure) ovvero ad un congelamento. (riforma sentenza della Corte di Appello di Brescia del 15/01/2010 che confermava la sentenza del Tribunale di Brescia resa in data 25/06/2007) Pres. De Maio, Est. Grillo, Ric. Facchi. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 9/03/2011 (Ud. 19/01/2011), Sentenza n. 9276

SALUTE - Tentativo di frode in commercio - Presupposti per la configurabilità del reato - Fattispecie. Ai fini della configurabilità del tentativo di frode in commercio non è necessaria l'effettiva messa in vendita del prodotto, essendo indicativa in tal senso la destinazione alla vendita del prodotto diverso per origine provenienza o quantità o qualità rispetto a quelle dichiarate o convenute (Cass. Sez. 2^ 28.10.2010 n. 41758) e non è neppure necessario l'inizio di una concreta contrattazione tra il cliente e l'esercente (Cass. Sez. 3^ 18.11.2008 n. 6885), va anche ricordato, che integra l'ipotesi delittuosa in parola anche la mera esposizione sul banco vendita di prodotti con segni mendaci, indipendentemente dal contatto con la clientela. Nella specie, segni mendaci correttamente individuati nell'etichettatura del prodotto offerto in vendita (un pezzo di fesa magra di Kg. 6,700 indicante una data - 3 gennaio 2005 - diversa da quella dell' 1 gennaio 2005 contenuta nel vassoio da dove quel pezzo di carne era stato estratto, per essere contestualmente posizionato sul banco vendita). Invero, uno dei dati qualificanti la condotta penalmente rilevante è dato proprio dalla diversa etichettatura della data di scadenza rispetto a quella originaria che implica la messa in vendita di aliud pro alio (Cass. S.U. 25.10/2000 n. 28). (riforma sentenza della Corte di Appello di Brescia del 15/01/2010 che confermava la sentenza del Tribunale di Brescia resa in data 25/06/2007) Pres. De Maio, Est. Grillo, Ric. Facchi. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 9/03/2011 (Ud. 19/01/2011), Sentenza n. 9276

 

IGIENE E SANITA’ - Ordinanza ex art. 50, c. 5 d.lgs. n. 267/2000 - Competenza - Sindaco in qualità di ufficiale di governo - Fattispecie: utilizzo di stalla e concimaia in assenza di impianti per la raccolta e il deflusso dei liquami. L’ordinanza emanata ai sensi dell’art. 50 comma 5, d.lg. n. 267 del 2000 e successive modificazioni, in materia di sanità e igiene pubblica, rientra nella competenza del Sindaco, in qualità di ufficiale di governo -e non di altro dirigente, in quanto espressione di un'elevata discrezionalità diretta a soddisfare esigenze di pubblico interesse onde porre rimedio a danni alla salute già verificatisi, ma anche e soprattutto - tenuto conto dei valori espressi dall'art. 32 Cost.- per evitare che un danno si verifichi. (nella specie era ordinato di non utilizzare gli immobili stalla e concimaia nelle more della realizzazione degli impianti per la raccolta e il deflusso dei liquami a servizio degli stessi, della comunicazione di fine lavori e dell’ottenimento dell’agibilità.) Pres. Urbano, Est. Serlenga - G.L. (avv.ti Liuni e Musso) c. Comune di Putignano (n.c.) - TAR PUGLIA, Bari, Sez. II - 4 febbraio 2011, n. 216
 

SALUTE - INQUINAMENTO ALIMENTI - Prodotti fitosanitari - Quantità massima di un antiparassitario contenuta in cibi e bevande - Nozione di “informazione ambientale” - Riservatezza delle informazioni commerciali e industriali - Accesso del pubblico all’informazione - Applicazione nel tempo - Direttiva 91/414/CEE - Direttive 90/313/CEE e 2003/4/CE. La nozione di «informazione ambientale» di cui all’art. 2 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2003, 2003/4/CE, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale e che abroga la direttiva 90/313/CEE del Consiglio, deve essere interpretata nel senso che essa ricomprende l’informazione prodotta nell’ambito di un procedimento nazionale di autorizzazione o di estensione dell’autorizzazione di un prodotto fitosanitario al fine di fissare la quantità massima di un antiparassitario, di un suo elemento costitutivo o di suoi prodotti di trasformazione, contenuta in cibi e bevande. Fatto salvo il caso in cui una situazione non rientri in quelle elencate all’art. 14, secondo comma, della direttiva del Consiglio 15 luglio 1991, 91/414/CEE, relativa all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari, le disposizioni del primo comma di detto articolo 14 devono essere interpretate nel senso che esse possono applicarsi solo a condizione che non vengano pregiudicati gli obblighi derivanti dall’art. 4, n. 2, della direttiva 2003/4. Inoltre, l’art. 4 della direttiva 2003/4 deve essere interpretato nel senso che la ponderazione da esso prescritta dell’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione di un’informazione ambientale e dell’interesse specifico tutelato dal rifiuto di divulgare deve essere effettuata in ciascun caso particolare sottoposto alle autorità competenti, anche qualora il legislatore nazionale dovesse determinare con una disposizione a carattere generale criteri che consentano di facilitare tale valutazione comparata degli interessi contrapposti. (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE) Pres./Rel. Bonichot - Stichting ed altri c. College voor de toelating van gewasbeschermingsmiddelen en biociden. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. IV, 16/12/2010, Sentenza C-266/09

 

SALUTE - INQUINAMENTO - Amianto- Obbligo cogente e generalizzato di rimozione - Sussistenza - Esclusione - Parere tecnico in ordine allo stato di manutenzione - Competenza - ASL. - Artt 3 e 12 L. n. 257/1992. Dalla lettura degli artt. 3, c. 1 e 12 della legge 27 marzo 1992, n. 257 non pare potersi evincere un obbligo cogente e generalizzato di rimuovere il materiale contenente amianto già utilizzato negli edifici privati prima dell'entrata in vigore della legge n. 257/1994, salvo che lo stato di manutenzione del medesimo ne renda evidente l'opportunità(T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 7 giugno 2006, n. 6786); la competenza ad emettere il parere tecnico necessario è assegnata dalla legge agli uffici delle Aziende sanitarie locali e non all’Agenzia per la protezione dell’ambiente. Pres. Nicolosi, Est. Massari - P.A. e altri (avv. Naccarato) c. Comune di Firenze (avv.ti Pacini e Sansoni) - TAR TOSCANA, Sez. II - 11 dicembre 2010, n. 6722

 

SALUTE - DIRITTO AGRARIO - Denominazione di vendita di prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimentazione umana - Etichettatura - Aggiunta della parola “puro” o della dicitura “cioccolato puro” all’etichettatura di taluni prodotti - Ravvicinamento delle legislazioni - Dir. 2000/36/CE - Dir. 2000/13/CE. Prevedendo la possibilità di completare con l’aggettivo «puro» la denominazione di vendita dei prodotti di cioccolato che non contengono grassi vegetali diversi dal burro di cacao, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza, da una parte, dell’art. 3, n. 5, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 giugno 2000, 2000/36/CE, relativa ai prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimentazione umana, e, dall’altra, del combinato disposto degli artt. 3, n. 1, di detta direttiva e 2, n. 1, lett. a), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità. Pres. Tizzano - Rel. Berger - Commissione europea c. Repubblica italiana. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. I, 25/11/2010, Sentenza C-47/09


SALUTE - AMIANTO - Benefici nei confronti dei lavoratori esposti all’amianto - Art. 13, c. 7 L. n. 257/1992 - Ratio - Provvidenza a titolo indennitario o risarcitorio - Esclusione - Agevolazione per l’esodo dal mondo del lavoro - Esclusione dei pensionati o di coloro che abbiano raggiunto il massimo di contribuzione - Questione di legittimità costituzionale - Infondatezza. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 7, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto), come modificato dall’articolo 1-bis del decreto-legge 5 giugno 1993, n. 169 (Disposizioni urgenti per i lavoratori del settore dell’amianto), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1993, n. 271, sollevata, in riferimento agli articoli 3, primo comma, e 2 della Costituzione. Come già sottolineato nella sentenza n. 434 del 2002, ancorché riferita alla disciplina dettata dall’art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, anteriormente alla novella, la ratio sottesa alla applicazione dei benefici nei confronti dei lavoratori che avessero contratto malattie professionali a causa dell’esposizione all’amianto, o che fossero stati comunque soltanto esposti all’amianto, non era quella di conferire una provvidenza a titolo risarcitorio o indennitario, ma di consentire un più agevole esodo dal mondo del lavoro. La circostanza, dunque, che tanto la maggiorazione contributiva prevista dal comma 7 della legge citata, quanto quella di cui al comma 8 fossero entrambe destinate non a fornire un beneficio di tipo indennitario o risarcitorio, a fronte dei danni o dei pericoli per la salute dei lavoratori derivanti dalla esposizione all’amianto, ma unicamente ad aumentare il periodo contributivo necessario per il raggiungimento del diritto a pensione, escludeva dalla platea dei beneficiari sia coloro che alla data di entrata in vigore della legge fossero già usciti dal mondo del lavoro, sia coloro i quali avessero, a quella data, già maturato il massimo di contribuzione a fini pensionistici. Le medesime considerazioni possono ritenersi valide anche con riferimento al testo della disposizione successivo alla modifica normativa, che è tuttavia rimasto sostanzialmente inalterato. Pres. Amirante, Est. Grossi - Q.l.c. sollevata con ordinanza del Tribunale di Ravenna - CORTE COSTITUZIONALE - 8 ottobre 2010, n. 290

 

SALUTE - CONSUMATORI - Pubblicità ingannevole - Prodotto innocuo per la generalità dei consumatori - Rischi per soggetti affetti da specifiche patologie (patologie cardiovascolari, ipertiroidismo, diabete) - Mancata indicazione in etichetta - Pubblicità ingannevole. L’innocuità del prodotto riscontrata in sede sanitaria per il suo uso da parte della platea generale dei consumatori non comporta necessariamente che la promozione pubblicitaria non sia ingannevole se non accompagnata dall’informazione su profili di uso “suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori”, in riferimento a gruppi di questi affetti da specifiche patologie su cui l’uso del prodotto può incidere (nella fattispecie, l’etichetta di un integratore alimentare di fibre non riportava i possibili rischi del prodotto per i soggetti affetti da patologie cardiovascolari e da ipertiroidismo e la potenziale interferenza sull’efficacia dei farmaci per diabetici). Pres. Ruoppolo, Est. Meschino - Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato (Avv. Stato) c. M. s.p.a. (avv.ti Ferreri e Vaiano) - (Riforma T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. I n. 6139/2005) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 27 luglio 2010, n. 4894

 

SALUTE - DIRITTO URBANISTICO - Industrie insalubri - Installazione nel centro abitato - Divieto generalizzato - Illegittimità - Valutazione sul caso specifico. La valutazione dell'attività produttiva sotto il profilo sanitario non può essere compiuta aprioristicamente vietando in modo generalizzato determinati insediamenti produttivi nel centro abitato o ad una prestabilita distanza dallo stesso, in quanto tale valutazione deve essere compiuta sul caso specifico da parte dell'autorità sanitaria, che deve accertare la presenza delle condizioni indispensabili affinché essa si svolga senza pregiudizio per la salute pubblica (Cfr. anche T.A.R. Lombardia Milano, Sez. III, 29.9.1990, n. 4). Pres. Calderoni, Est. Bertagnolli - C.G. (avv.ti Costantini, Morabito e Pagano) c. Comune di Sedrina (avv. Marchesi) - TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. II- 27 maggio 2010, n. 2152

 

SALUTE - CONSUMATORI - Vigilanza delle sostanze destinate all’alimentazione - Revisione delle analisi - Art. 1 L. n. 283/62 - Limitazione alle merci nazionali - Esclusione. In tema di vigilanza delle sostanze destinate all’alimentazione, lo strumento della revisione delle analisi, di cui all’art. 1 della L. n. 283/62, non è limitato all’ipotesi delle merci nazionali, ma collegato a tutti i casi in cui la pubblica autorità può procedere alle analisi sulle merci, e quindi all’ambito generale della vigilanza per la tutela della pubblica salute, in materia di produzione e commercio delle sostanze destinate alla alimentazione. Pres. Morea, Est. Petrucciani - C. s.p.a. (avv. Miccoli) c. Ministero della Salute e altro (Avv. Stato) - TAR PUGLIA, Bari, Sez. III - 29 aprile 2010, n. 1682

 

DIRITTO SANITARIO - TUTELA DELLA SALUTE - Comparsa di batteri in partite di carne bovina - Regime delle restituzioni all’esportazione per i prodotti agricoli - Art. 5, n. 3, Reg. n. 3665/1987/CEE. La comparsa di batteri in partite di carne bovina, nonostante l’esistenza di requisiti sanitari rigorosi, non è inusuale, di conseguenza, il sopravvenire di un siffatto sinistro può considerarsi rientrante nel rischio commerciale inerente a siffatte operazioni, cioè come una circostanza che non può essere qualificata né «anormale» nell’ambito delle dette operazioni commerciali né «improbabile» per un commerciante prudente e diligente (v., sentenza 11/07/1968, causa 4/68, Schwarzwaldmilch). L’art. 5, n. 3, del regolamento (CEE) della Commissione 27 novembre 1987, n. 3665, recante modalità comuni di applicazione del regime delle restituzioni all’esportazione per i prodotti agricoli, come modificato dal regolamento (CE) della Commissione 19 giugno 1995, n. 1384, dev’essere interpretato nel senso che il deterioramento subìto da un carico di carne bovina, alle condizioni descritte, non costituisce un caso di forza maggiore ai sensi di tale disposizione. Infine, la circostanza che il sopravvenire di un’infezione batterica che colpisce i carichi esportati possa costituire oggetto di una polizza specifica di assicurazione dimostra che una siffatta circostanza non può considerarsi imprevedibile nell’ambito di operazioni di esportazione. Pres. Bonichot - Rel. Toader - SGS Belgium NV c. Belgisch Interventie- en Restitutiebureau ed altri. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. IV, 18/03/2010, Sentenze C-218/09

 

DIRITTO SANITARIO - TUTELA DELLA SALUTE - Efficacia dei medicinali nel trattamento dell’obesità - Revoca delle autorizzazioni all’immissione in commercio (Amfepramone) - Annullamento della decisione con sentenza del Tribunale - Responsabilità extracontrattuale - Esclusione - Direttiva 65/65/CEE - Direttiva 75/318/CEE - Direttiva 75/319/CEE. Il principio generale della preminenza della tutela della salute, attuato nelle disposizioni sostanziali della direttiva 65/65, comporta vincoli specifici per l’autorità competente nell’ambito del rilascio e della gestione delle AIC dei medicinali. Esso le impone, in primo luogo, che siano prese in considerazione esclusivamente le esigenze di tutela della salute, in secondo luogo, la nuova valutazione del rapporto rischi/benefici di un medicinale quando nuovi dati suscitino dubbi sulla sua efficacia o la sua sicurezza e, in terzo luogo, l’attuazione del regime di prova conformemente al principio di precauzione. In tale contesto, benché la violazione dell’art. 11 della direttiva 65/65 sia chiaramente dimostrata e abbia giustificato l’annullamento della Decisione, occorre prendere in considerazione le particolari difficoltà di interpretazione ed applicazione, nel caso di specie, di tale articolo. Infatti, considerata l’imprecisione dell’art. 11 della direttiva 65/65, le difficoltà legate all’interpretazione sistematica delle condizioni di revoca o di sospensione di un’AIC elencate da tale articolo, alla luce di tutto il sistema comunitario di autorizzazione preventiva dei medicinali, potevano ragionevolmente spiegare, in mancanza di precedenti, l’errore di diritto che ha commesso la Commissione nel riconoscere la rilevanza giuridica del nuovo criterio scientifico applicato dal CPMP, benché esso non fosse corroborato da alcun nuovo dato scientifico o informazione nuova. In tale contesto, si deve considerare che alla luce, da un lato, della complessità delle valutazioni di diritto e di fatto richieste ai fini dell’applicazione dell’art. 11 della direttiva 65/65, nelle circostanze della fattispecie e in mancanza di precedenti simili, e, dall’altro lato, del principio della preminenza delle esigenze connesse alla tutela della salute, la violazione da parte della Commissione dell’art. 11 della direttiva 65/65 troverebbe una giustificazione nei vincoli particolari che gravavano nel caso di specie su tale istituzione nel perseguimento della finalità essenziale di tutela della salute di cui alla direttiva 65/65. In tali condizioni, la violazione, nel caso di specie, dell’art. 11 della direttiva 65/65 non può essere ritenuta come una violazione sufficientemente qualificata del diritto comunitario tale da far sorgere la responsabilità extracontrattuale della Comunità. Pres./Rel. Meij - Artegodan GmbH c. Commissione europea. TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE C.E., Sez. VI, 3/03/2010, Sentenze T-429/05

 

DIRITTO SANITARIO - TUTELA DELLA SALUTE - Medicinali per uso umano (amfepramone) - Rapporto rischi/benefici di un medicinale - Sospensione o revoca AIC di un medicinale - Fattispecie: medicinali nel trattamento dell’obesità - Art. 11, c. 1°, Direttiva 65/65. In tema di tutela della salute, risulta espressamente dall’art. 11, primo comma, della direttiva 65/65 che l’autorità competente deve sospendere o revocare l’AIC di un medicinale allorché risulti che quest’ultimo sia nocivo nelle normali condizioni d’impiego o sia inefficace o non abbia la composizione qualitativa e quantitativa dichiarata. Al momento dell’attuazione di tale articolo, devono essere prese in considerazione soltanto le esigenze legate alla tutela della salute. Pres./Rel. Meij - Artegodan GmbH c. Commissione europea. TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE C.E., Sez. VI, 3/03/2010, Sentenze T-429/05

DIRITTO SANITARIO - TUTELA DELLA SALUTE - Principi di preminenza della tutela della salute e di precauzione - Titolare di un’AIC di un medicinale - Decisione di revoca delle autorizzazioni all’immissione in commercio (Amfepramone) - Principio della certezza del diritto - Artt. 11 e 10 Direttiva 65/65/CEE. Alla luce del principio generale secondo cui la tutela della salute deve incontestabilmente assumere un’importanza preponderante rispetto a considerazioni di ordine economico, il titolare di un’AIC di un medicinale - la quale è valida cinque anni ed è rinnovabile per periodi quinquennali ai sensi dell’art. 10 della direttiva 65/65 - non può pretendere, in forza del principio della certezza del diritto, una tutela specifica dei suoi interessi durante il periodo di validità dell’AIC, se l’autorità competente dia piena prova, ai sensi dell’art. 11 di tale direttiva, che tale medicinale non soddisfa più il criterio dell’innocuità o il criterio dell’efficacia, tenuto conto dei progressi delle conoscenze scientifiche e dei nuovi dati raccolti in particolare nell’ambito della farmacovigilanza. Pertanto, il sistema di autorizzazione preventiva consente di desumere, durante il periodo di validità dell’AIC, che il medicinale in parola offre, in assenza di seri indizi contrari, un rapporto rischi/benefici favorevole, fatta salva la possibilità di sospendere l’AIC in caso di urgenza. In mancanza di siffatti indizi contrari, l’esigenza di non ridurre il ventaglio di medicinali disponibili per il trattamento di una data malattia depone a favore del mantenimento del medicinale sul mercato, per consentire, in ogni situazione, che venga prescritto il medicinale più appropriato. Di conseguenza, se l’autorità competente non fornisce indizi seri e concludenti che consentano ragionevolmente di dubitare dell’innocuità o dell’efficacia del medicinale interessato, l’AIC deve essere mantenuta per tutta la durata della sua validità, nei limiti in cui la composizione qualitativa e quantitativa del medicinale sia quella dichiarata. E se è vero che la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale in sede di applicazione dell’art. 11 della direttiva 65/65 allorché essa è chiamata a compiere valutazioni complesse, segnatamente in presenza di incertezze di ordine scientifico, nel rispetto dei principi di preminenza della tutela della salute e di precauzione, essa è invece vincolata dalle condizioni di sospensione o di revoca di un’AIC, quali definite dall’art. 11 di cui sopra. Infatti, se si verifica una di tali condizioni alternative, essa è tenuta sospendere o a revocare l’AIC. Al contrario, se la Commissione non dimostra che si sia verificata una di tali condizioni, l’AIC deve essere mantenuta. Pres./Rel. Meij - Artegodan GmbH c. Commissione europea. TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE C.E., Sez. VI, 3/03/2010, Sentenze T-429/05
 

 

DIRITTO SANITARIO - Encefalopatia spongiforme bovina - Sistema di sorveglianza - Protezione della salute - Bovini di età superiore a 30 mesi - Macellazione in condizioni normali - Carni destinate al consumo umano - Test obbligatorio di accertamento - Normativa nazionale - Obbligo di accertamento - Estensione - Bovini di età superiore a 24 mesi - Artt. 6, n. 1 e 152, n. 4, lett. b, Regolamento (CE) n. 999/2001. L’art. 6, n. 1, del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 22 maggio 2001, n. 999, recante disposizioni per la prevenzione, il controllo e l’eradicazione di alcune encefalopatie spongiformi trasmissibili e l’allegato III, capitolo A, parte I, di tale regolamento, come modificato dal regolamento (CE) della Commissione 22 giugno 2001, n. 1248, non ostano a una normativa nazionale in forza della quale tutti i bovini di età superiore a 24 mesi devono essere sottoposti a test di accertamento dell’encefalopatia spongiforme bovina. Va poi sottolineato che, conformemente al suo fondamento giuridico, ossia l’art. 152, n. 4, lett. b), CE, il regolamento n. 999/2001 ha precipuamente come finalità la protezione della salute. Orbene, la salute e la vita delle persone occupano una posizione preminente tra i beni e gli interessi protetti dal Trattato CE e spetta agli Stati membri stabilire il livello al quale essi intendono garantire la protezione della salute ed il modo in cui tale livello deve essere raggiunto, il che implica il riconoscimento di un potere discrezionale agli Stati membri (sentenze 11/09/2008, causa C-141/07, Commissione/Germania; 10/03/2009, causa C-169/07, Hartlauer; nonché 19/05/2009, cause riunite C-171/07 e C-172/07, Apothekerkammer des Saarlandes e a). Pres. Cunha Rodrigues - Lõhmus (rel.) - domanda di pronuncia pregiudiziale, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Bundesverwaltungsgericht (Germania), nella causa Müller Fleisch GmbH c. Land Baden-Württemberg. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. II, 25/02/2010, Sentenza C-562/08

 

DIRITTO SANITARIO - SALUTE - Obbligo di tutela del lavoratore contro i rischi dal fumo passivo - Sentenza Corte Cost. n. 399/96 - Art. 51 L. n. 3/03 - Applicabilità - Decorrenza - 10 gennaio 2005 - Amministrazioni dello Stato - Mancata emanazione del regolamento ex art. 51, c. 4 L. n. 3/03 - Irrilevanza - Ragioni. L’obbligo di tutela del lavoratore contro i rischi da fumo passivo sul posto di lavoro (già evidenziato dalla Corte Cost., cfr. sentenza n. 399/96, in forza della l. n. 584/75, degli artt. 9 e 14 del d.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, come modificati dall'art. 33 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, nonché art. 64, lettera b) e 65, c. 2, del citato decreto n. 626 del 1994) è stato ribadito dall’art. 51 della legge n. 3/03 che ha imposto il divieto generale di fumo nei locali chiusi ad eccezione di quelli privati non aperti ad utenti o al pubblico e a quelli riservati ai fumatori dotati di impianti per la ventilazione ed il ricambio di aria regolarmente funzionanti. Tale disciplina è applicabile a partire dal 10 gennaio 2005 (per effetto del differimento dell’entrata in vigore della norma disposto dall’art. 19 d.l. n. 266/04) a tutte le amministrazioni dello Stato. Peraltro, la mancata emanazione del regolamento previsto dall’art. 51 comma 4° l. n. 3/03 non preclude alla normativa in esame di esplicare i suoi effetti anche nei confronti dell’amministrazione, dal momento che, secondo quanto risulta dal tenore letterale della disposizione in esame, l’adozione della fonte secondaria non costituisce requisito di operatività del divieto legislativamente previsto ma solo il presupposto per l’individuazione di “eventuali ulteriori luoghi chiusi nei quali sia consentito fumare” (fermo restando che “tale regolamento deve prevedere che in tutte le strutture in cui le persone sono costrette a soggiornare non volontariamente devono essere previsti locali adibiti ai fumatori”) in mancanza della quale tali ulteriori limiti al divieto non si applicano. Pres. Guerrieri, Est. Francavilla - F-A- (avv. D’Urso) c. Ministero della Giustiza (Avv. Stato). TAR LAZIO, Roma, Sez. I quater - 29/01/2010, n. 1192

 

DIRITTO SANITARIO - SALUTE - OGM - D.L. n. 279/2004 - Principio di coesistenza - Liceità dell’utilizzo in agricoltura degli OGM autorizzati a livello comunitario. Per la parte che si riferisce al principio di coesistenza e che implicitamente ribadisce la liceità dell'utilizzazione in agricoltura degli OGM autorizzati a livello comunitario, il legislatore statale con l'adozione del d.l.n. 279/2004 ha esercitato la competenza legislativa esclusiva dello Stato in tema di tutela dell'ambiente, nonché quella concorrente in tema di tutela della salute, con ciò anche determinando l'abrogazione per incompatibilità dei divieti e delle limitazioni in tema di coltivazione di OGM che erano contenuti in alcune legislazioni regionali. La formulazione e specificazione del principio di coesistenza tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali, rappresenta il punto di sintesi fra i divergenti interessi, di rilievo costituzionale, costituiti da un lato dalla libertà di iniziativa economica dell'imprenditore agricolo e dall'altro lato dall' esigenza che tale libertà non sia esercitata in contrasto con l'utilità sociale, ed in particolare recando danni sproporzionati all'ambiente e alla salute. Pres. Barbagallo, Est. De Nictolis - Azienda Agricola S. (avv. Pirocchi) c. Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (Avv. Stato). CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 19 gennaio 2010, Sentenza n. 183

DIRITTO SANITARIO - SALUTE - OGM - Piani di coesistenza - Profili economici - Principio comunitario di coltivabilità degli OGM - Autorizzazione alla coltivazione - Subordinazione alla previa adozione di piani di coesistenza - Illegittimità. Considerati i profili prettamente economici che devono essere regolamentati dai piani di coesistenza, e considerato che a tali piani sono estranei i profili ambientali e sanitari, e il principio comunitario della coltivabilità degli OGM se autorizzati, il rilascio dell’autorizzazione alla coltivazione non può essere condizionato alla previa adozione dei piani di coesistenza. Pertanto, non si può ritenere che in attesa dei c.d. piani di coesistenza regionali, venga meno l’obbligo di istruzione e conclusione dei procedimenti autorizzatori disciplinati da fonti legislative (e regolamentari) diverse dal d.l. n. 279/2004. Pres. Barbagallo, Est. De Nictolis - Azienda Agricola S. (avv. Pirocchi) c. Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (Avv. Stato). CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 19/01/2010, Sentenza n. 183

 

DIRITTO SANITARIO - PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Dispersione delle ceneri derivanti da cremazione di defunti - Autorizzazione - Competenza - Ufficiale di Stato civile del Comune in cui va effettuata la dispersione - Ragioni di natura igienico sanitaria - Criterio di collegamento con il Comune ove si è verificato il decesso - Inapplicabilità. Competente al rilascio dell’autorizzazione alla dispersione delle ceneri è l’Ufficiale di Stato Civile del Comune in cui la dispersione va effettuata. Ed invero, è nel territorio di detto Comune che si verificano gli effetti dell’operazione materiale di dispersione: dunque è per siffatto territorio che si pone la necessità della previa verifica dell’insussistenza di ragioni ostative di natura igienico-sanitaria, essendo l’inesistenza di motivi ostativi di ordine pubblico o di giustizia già stata accertata, a monte, nel distinto procedimento di cremazione. Non ha, invece, alcun senso l’utilizzo degli altri criteri di collegamento quale quello del Comune dove si è verificato il decesso, qualora diverso da quello dove deve eseguirsi la dispersione. Pres. Nicolosi, Est. De Berardinis -D.C. (avv.ti Baronti e Bartalucci) c. Comune di Firenze (avv.ti Peruzzi e Fiore). TAR TOSCANA, Sez. II - 2 dicembre 2009, n.2583

 

DIRITTO SANITARIO - Prescrizioni in tema di rintracciabilità - Notifica di reazioni ed eventi avversi gravi - Prescrizioni tecniche per la codifica, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani - Omessa trasposizione entro il termine stabilito - Inadempimento di uno Stato (Italia) - Direttiva 2006/86/CE - Dir. 2004/23/CE. La Repubblica italiana, non avendo adottato, entro il termine stabilito, le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva della Commissione 24 ottobre 2006, 2006/86/CE, che attua la direttiva 2004/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le prescrizioni in tema di rintracciabilità, la notifica di reazioni ed eventi avversi gravi e determinate prescrizioni tecniche per la codifica, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani, è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza di tale direttiva. Pres. Silva de Lapuerta - Rel. Malenovský - Commissione delle Comunità europee c. Repubblica italiana. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. VII, 26/11/2009, Sentenza C-13/09

 

DIRITTO SANITARIO - Rinvio pregiudiziale - Dispositivi medici - Divieto di esportazione di amalgami per uso dentistico contenenti mercurio e recanti la marcatura di conformità CE - Tutela della salute e dell’ambiente - Direttiva 93/42/CEE. L’art. 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/42/CEE, concernente i dispositivi medici, come modificata dal regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 29 settembre 2003, n. 1882, deve essere interpretato nel senso che osta alla normativa di uno Stato membro, come quella discussa nel procedimento principale, che preveda un divieto, motivato da ragioni di tutela dell’ambiente e della salute, di esportare a fini commerciali amalgami dentali contenenti mercurio e recanti la marcatura CE di cui all’art. 17 di tale direttiva. Bonichot (Pres./Rel.). CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. II, 19/11/2009, Sentenza C-288/08

 

DIRITTO SANITARIO - Prescrizioni tecniche per la donazione - Approvvigionamento e il controllo di tessuti e cellule umani - Omessa trasposizione entro il termine impartito - Inadempimento di uno Stato (Italia) - Direttiva 2006/17/CE. Non avendo adottato, entro il termine stabilito, le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva della Commissione 8 febbraio 2006, 2006/17/CE, che attua la direttiva 2004/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda determinate prescrizioni tecniche per la donazione, l’approvvigionamento e il controllo di tessuti e cellule umani, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza dell’art. 7, n. 1, primo comma, della direttiva 2006/17. Pres. Lindh - Rel. Lõhmus - Commissione delle Comunità europee c. Repubblica italiana. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. VII, 12/11/2009, Sentenza C-12/09

 

DIRITTO SANITARIO - Requisiti tecnici per la donazione, l'approvvigionamento e il controllo di tessuti e cellule di origine umana - Mancato recepimento entro il termine prescritto (Belgio) - Direttiva 2006/17/CE - Dir. 2004/23/CE. Non avendo entro il termine prescritto dalle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 2006/17/CE della Commissione dell'8 febbraio 2006, che attua la direttiva 2004/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda determinate prescrizioni tecniche per la donazione, l'approvvigionamento e il controllo di tessuti e cellule di origine umana, il Regno di Belgio è venuto meno per adempiere i suoi obblighi ai sensi della presente direttiva. (Teso Uff. En ne prenant pas, dans le délai prescrit, les dispositions législatives, réglementaires et administratives nécessaires pour se conformer à la directive 2006/17/CE de la Commission, du 8 février 2006, portant application de la directive 2004/23/CE du Parlement européen et du Conseil concernant certaines exigences techniques relatives au don, à l’obtention et au contrôle de tissus et de cellules d’origine humaine, le Royaume de Belgique a manqué aux obligations qui lui incombent en vertu de cette directive). Pres. Caoimh - Rel. Arabadjiev - Commisssione c. Belgio. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. VII, 24/09/2009, Sentenza C-8/09

 

DIRITTO SANITARIO - TUTELA DELL'AMBIENTE - Salubrità dell’ambiente e salute umana - Competenze - Oggetti differenti - Stato e Regione. Strettamente collegata alla tutela dell'ambiente è la tutela della salute, poiché è indubbio che la salubrità dell'ambiente condiziona la salute dell'uomo. E' da sottolineare, comunque, che le due competenze hanno oggetti diversi: per l'appunto, l'ambiente e la salute, e che la fissazione, da parte delle Regioni, di livelli più elevati di tutela ambientale ai fini della tutela della salute umana solo indirettamente produce effetti sull'ambiente, che è già adeguatamente tutelato dalle norme statali. Tale possibilità è, peraltro, esclusa nei casi in cui la legge statale debba ritenersi inderogabile, essendo frutto di un bilanciamento tra più interessi eventualmente tra loro in contrasto. Pres. Amirante, Est. Maddalena - Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d'Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata c. Presidente del Consiglio dei Ministri. CORTE COSTITUZIONALE - 22 luglio 2009, n. 225

 

DIRITTO SANITARIO - Risarcimento del danno non patrimoniale - Mezzi di prova - Fattispecie. Il danno non patrimoniale consistente nel patema d'animo e nella sofferenza interna ben può essere provato per presunzioni e che la prova per inferenza induttiva non postula che il fatto ignoto da dimostrare sia l'unico riflesso possibile di un fatto noto, essendo sufficiente la rilevante probabilità del determinarsi dell'uno in dipendenza del verificarsi dell'altro secondo criteri di regolarità causale. Fattispecie: fuoriuscita da una fabbrica (in Seveso) di una nube tossica composta da diossina e risarcimento del danno morale. Presidente Preden, Relatore Amatucci, Ricorrente Icmesa s.p.a.. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, (Ud. 7/04/2009, Dep. 13/05/2009), Sentenza n. 11059

 

DIRITTO SANITARIO - Documentazione sanitaria relativa ad un ricovero - Documento amministrativo - Dati sensibili - Accesso del diretto interessato. La documentazione sanitaria relativa ad un ricovero ed eventuale intervento chirurgico con i relativi esami diagnostici rientra nell’amplissima nozione di “documento amministrativo” di cui alla lettera d) dell’art. 22 della L. n. 241/1990, trattandosi di atti interni detenuti dalla struttura ospedaliera, in relazione all'attività di pubblico interesse dalla stessa svolta al fine di assicurare al cittadino una adeguata assistenza sanitaria, e così il diritto primario e fondamentale alla salute; peraltro, proprio perché contiene dati “sensibili” sulla salute del cittadino (artt. 75 e segg. del “Codice in materia di protezione dei dati personali” approvato con D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196), tale documentazione non può non essere portata a conoscenza del diretto interessato. G.G.C. (avv. Bivona) c. Azienda Ospedaliera Umberto I° di Enna (avv. Argento). T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. IV - 07/05/2009, n. 879

 

DIRITTO SANITARIO - Patologie contratte per fatto doloso o colposo altrui - Diritto al risarcimento del danno - Prescrizione quinquennale - Decorrenza. Il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto delle patologie per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale che decorre, a norma degli art. 2935 e 2947, comma 1, c.c., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche. (Cfr. Cassazione SS.UU. 11 gennaio 2008 n. 576). G.G.C. (avv. Bivona) c. Azienda Ospedaliera Umberto I° di Enna (avv. Argento). T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. IV - 07/05/2009, n. 879

 

DIRITTO SANITARIO - DIRITTO PROCESSUALE CIVILE - Fenomeno di randagismo - Risarcimento del danno - Responsabilità della ASL - Sussistenza - Ente comunale - Esclusione - Configurazione giuridica - D.lgs. n. 502/1992 - Art. 6 L.R. Puglia 3/04/1985, n. 12 - Legge-quadro 14/08/1991, n. 28 - L.R. Campania 24/11/2001, n. 16 - Fattispecie. In seguito al riordino del servizio sanitario conseguente al d.lgs. n. 502 del 1992, risulta reciso il «cordone ombelicale» fra Comuni e USL (così Corte cost., 24/06/2003, n. 220) con la trasformazione delle unità sanitarie locali in aziende sanitarie locali e con il mutamento della configurazione giuridica di queste ultime, non più strutture operative dei comuni, ma aziende dipendenti dalla regione, strumentali per l'erogazione dei servizi sanitari di competenza regionale. In tale prospettiva - con riferimento ad una controversia di risarcimento danni verificatisi successivamente alla soppressione delle USL e fondata sull'omessa vigilanza sui cani randagi, affidata dall'art. 6 della L.R. 3 aprile 1985, n. 12, regione Puglia alla competenza dei servizi sanitari delle unità sanitarie locali - è stato affermato (con sentenza del 7/12/2005, n. 27001) il principio, applicabile mutatis mutandis anche al caso secondo cui la legittimazione passiva spetta alla locale azienda sanitaria, succeduta alla USL, e non al Comune, sul quale, perciò, non può ritenersi ricadente il giudizio di imputazione dei danni dipendenti dall’evento. Nella specie, il risarcimento danni conseguente al fenomeno di randagismo è regolato nell'ambito della legge-quadro 14 agosto 1991, n. 28 e da leggi regionali; in particolare la legge 24 novembre 2001, n. 16 della regione Campania che ha affidato le relative competenze ai servizi veterinari delle A.S.L. (che, a mente dell'art. 5 lett. c) della legge regionale, «attivano il servizio di accalappiamento dei cani vaganti ed il loro trasferimento presso i canili pubblici»). Ne consegue, inoltre, che la locale azienda sanitaria deve essere considerata soggetto giuridico autonomo rispetto al Comune di Pozzuoli. Pres. Varrone, Rel. Ambrosio, Ric. Comune di Pozzuoli. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. III, 03/04/2009 (Ud. 29/01/2009), Sentenza n. 8137
 

DIRITTO SANITARIO - Danni esistenziali determinati da immissioni moleste di fumo di sigarette. CORTE DI CASSAZIONE, Civile Sez. III, 31/03/2009, Ordinanza n. 7875

 

DIRITTO SANITARIO - TUTELA DELLA SALUTE - Carni fresche - Controlli veterinari - Responsabilità extracontrattuale di uno Stato membro - Termine di prescrizione - Determinazione del danno - Misure di effetto equivalente - Polizia sanitaria - Scambi intracomunitari. I soggetti lesi dalla trasposizione e dall’applicazione carenti delle direttive del Consiglio 26 giugno 1964, 64/433/CEE, relativa alle condizioni sanitarie per la produzione e l’immissione sul mercato di carni fresche, come modificata dalla direttiva del Consiglio 29 luglio 1991, 91/497/CEE, e del Consiglio 11 dicembre 1989, 89/662/CEE, relativa ai controlli veterinari applicabili negli scambi intracomunitari, nella prospettiva della realizzazione del mercato interno, possono avvalersi del diritto alla libera circolazione delle merci per chiamare in causa la responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario. CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. Grande, 24/03/2009, Sentenza C-445/06

 

DIRITTO SANITARIO - Clinica veterinaria - Trasfusione di sangue - Conseguente morte dell’animale - Responsabilità - Sussistenza - Presupposti - Risarcimento del danno non patrimoniale - Art. 2059 c.c.. - Art. 113 c.p.c.. Fattispecie. Sussiste la responsabilità della clinica veterinaria, in forza del contratto di prestazione d'opera professionale inter partes eseguito con imperizia e negligenza, con conseguente titolo dell'attore al risarcimento del danno morale ai sensi dell'art. 2059 c.c.. Fattispecie: risarcimento del danno non patrimoniale, equitativamente determinato ai sensi dell'art. 113 c.p.c., dovuto per la perdita di un animale (gatto) a causa di una trasfusione di sangue che ne ha determinato la morte. Pres. Fantacchiotti - Rel. Ambrosio. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 25/02/2009, Sentenza n. 4493

 

DIRITTO SANITARIO - Trattamento chirurgico - Omessa acquisizione del consenso informato del paziente - Esito fausto dell'intervento eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis - Rilevanza penale ex artt. 582 e 610 c.p. - Esclusione. Nei casi in cui il medico sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, e tale intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si sia concluso con esito fausto, nel senso che dall’intervento stesso è derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute, in riferimento, anche alle eventuali alternative ipotizzabili, e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte del paziente medesimo, tale condotta è priva di rilevanza penale, tanto sotto il profilo della fattispecie di cui all’art. 582 cod. pen., che sotto quello del reato di violenza privata, di cui all’art. 610 cod. pen.. Presidente T. Gemelli, Relatore A. Macchia, Ric. Mazzini. CORTE DI CASSAZIONE Sezioni Unite Penali, 21 gennaio 2009 (Ud. 18/12/2008), n. 2437

DIRITTO SANITARIO - Trattamento chirurgico - Mancato consenso del paziente - Profili di responsabilità. Le “conseguenze” dell’intervento chirurgico ed i correlativi profili di responsabilità, nei vari settori dell’ordinamento, non potranno coincidere con l’atto operatorio in sè e con le “lesioni” che esso “naturalisticamente” comporta, ma con gli esiti che quell’intervento ha determinato sul piano della valutazione complessiva della salute. Il chirurgo, in altri termini, non potrà rispondere del delitto di lesioni, per il sol fatto di essere “chirurgicamente” intervenuto sul corpo del paziente, salvo ipotesi teoriche di un intervento “coatto”; sibbene, proprio perchè la sua condotta è rivolta a fini terapeutici, è sugli esiti dell’obiettivo terapeutico che andrà misurata la correttezza dell’agere, in rapporto, anche, alle regole dell’arte. E’, quindi, in questo contesto che andrà verificato l’esito, fausto o infausto, dell’intervento e quindi parametrato ad esso il concetto di “malattia”. Dunque, non potrà ritenersi integrato il delitto di cui all’art. 582 cod. pen, proprio per difetto del relativo “evento”. In tale ipotesi, che è quella che ricorre nella specie, l’eventuale mancato consenso del paziente al diverso tipo di intervento praticato dal chirurgo, rispetto a quello originariamente assentito, potrà rilevare su altri piani, ma non su quello penale. Presidente T. Gemelli, Relatore A. Macchia, Ric. Mazzini. CORTE DI CASSAZIONE Sezioni Unite Penali, 21 gennaio 2009 (Ud. 18/12/2008), n. 2437

DIRITTO SANITARIO - Diritto alla salute - Tutela - Trattamenti sanitari e assistenza ospedaliera - Diritto pieno e incondizionato costituzionalmente garantito a prestazioni positive - Art. 32 Cost.. Il bene della salute è tutelato dall’art. 32, primo comma, della Costituzione, «non solo come interesse della collettività, ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell’individuo» (sentenza n. 356 del 1991), che impone piena ed esaustiva tutela (sentenze n. 307 e 455 del 1990), in quanto «diritto primario e assoluto, pienamente operante anche nei rapporti tra privati» (sentenze n. 202 del 1991, n. 559 del 1987, n. 184 del 1986, n. 88 del 1979). Il diritto ai trattamenti sanitari è dunque tutelato come diritto fondamentale nel suo «nucleo irrinunciabile del diritto alla salute, protetta dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana, il quale impone di impedire la costituzione di situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudicare l’attuazione di quel diritto» (v., fra le altre, sentenze n. 432 del 2005, n. 233 del 2003, n.252 del 2001, n. 509 del 2000, n. 309 del 1999, n. 267 del 1998). Anche al di fuori di tale nucleo, d’altra parte, il diritto a trattamenti sanitari «è garantito a ogni persona come un diritto costituzionale condizionato alla attuazione che il legislatore ordinario ne dà, attraverso il bilanciamento dell’interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento». Ciò comporta che, al pari di ogni altro diritto costituzionale a prestazioni positive, il diritto a trattamenti sanitari diviene per il cittadino «pieno e incondizionato» nei limiti in cui lo stesso legislatore, attraverso una non irragionevole opera di bilanciamento fra i valori costituzionali e di commisurazione degli obiettivi conseguentemente determinati sulla falsariga delle risorse esistenti, predisponga adeguate possibilità di fruizione delle prestazioni sanitaria (C. Cost. sentenza n. 432 del 2005, n. 304 e 218 del 1994, n. 247 del 1992, n. 455 del 1990). Peraltro, proprio in attuazione del principio del supremo interesse della collettività alla tutela della salute, consacrata come fondamentale diritto dell’individuo dall’art. 32 Cost., «l’infermo assurge, nella nuova concezione della assistenza ospedaliera, alla dignità di legittimo utente di un pubblico servizio, cui ha pieno ed incondizionato diritto, e che gli vien reso, in adempimento di un inderogabile dovere di solidarietà umana e sociale, da apparati di personale e di attrezzature a ciò strumentalmente preordinati e che in ciò trovano la loro stessa ragion d’essere» (sentenza n. 103 del 1977). Presidente T. Gemelli, Relatore A. Macchia, Ric. Mazzini. CORTE DI CASSAZIONE Sezioni Unite Penali, 21 gennaio 2009 (Ud. 18/12/2008), n. 2437

 

DIRITTO SANITARIO - Diritto alla salute e divieto di trattamenti sanitari obbligatori - Funzione del consenso informato. Dal divieto di trattamenti sanitari obbligatori, salvo i casi previsti dalla legge, secondo quanto previsto dall’art. 32, secondo comma, Cost. e dal diritto alla salute, inteso come libertà di curarsi, discende che il presupposto indefettibile che “giustifica” il trattamento sanitario va rinvenuto nella scelta, libera e consapevole - salvo i casi di necessità e di incapacità di manifestare il proprio volere - della persona che a quel trattamento si sottopone. (Il «consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell’art. 2 della Costituzione, che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 della Costituzione, i quali stabiliscono, rispettivamente, che “la libertà personale è inviolabile”, e che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”» Corte costituzionale, sentenza n. 438 del 2008). Ove manchi o sia viziato il consenso “informato” del paziente, e non si versi in situazione di incapacità di manifestazione del volere ed in un quadro riconducibile allo stato di necessità, il trattamento sanitario risulterebbe eo ipso invasivo rispetto al diritto della persona di prescegliere se, come, dove e da chi farsi curare. Presidente T. Gemelli, Relatore A. Macchia, Ric. Mazzini. CORTE DI CASSAZIONE Sezioni Unite Penali, 21 gennaio 2009 (Ud. 18/12/2008), n. 2437

 

DIRITTO SANITARIO - ALIMENTI - DIRITTO PROCESSUALE PENALE - CONSUMATORI - Vendita di prodotti alimentari invasi da parassiti - Reato di frode in commercio - Art. 515 c.p. - Art. 1510 c.c - Art. 5, lett. G L. n. 283/1962. In materia di tutela penale degli alimenti, il reato deve ritenersi consumato nel luogo di immissione al commercio della merce. Nella specie, la competenza in ordine al reato di cui alla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. G si radica nel momento e nel luogo dove il prodotto venga posto in vendita al pubblico. Tale principio risulta del resto applicato anche in relazione al reato più generale di frode in commercio di cui all'art. 515 c.p., in quanto è stato ritenuto che tale reato si consuma non nel luogo in cui il venditore si libera della propria obbligazione ai sensi dell'art. 1510 c.c. con la consegna della merce al vettore o spedizioniere, ma in quello in cui avviene la materiale consegna della stesa merce all'acquirente. È infatti al momento suddetto che l'acquirente, ottenuta la disponibilità della cosa, viene a trovarsi nella possibilità di verificare la corrispondenza di essa a quella pattuita o dichiarata dal venditore (Cass. pen. sez. 1, 19/02/2003, sent. n. 8383). Fattispecie: grano tenero francese invaso da parassiti appartenenti alla classe dei coleotteri e, in particolare, alla specie "Rhizopherta Dominica" ed "Elaterio dei cereali". Pres. De Maio, Est. Marmo, Ric. Licciardi. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 09/01/2009 (Ud. 23/10/2008), Sentenza n. 391

DIRITTO SANITARIO - ALIMENTI - DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Analisi effettuate sul campione di sostanza alimentare - Istanza di revisione - Decorrenza del termine. In materia alimentare il mancato invio dell'avviso del risultato delle analisi effettuate sul campione di sostanza alimentare non integra una violazione del diritto di difesa, atteso che tale comunicazione rileva al solo fine della decorrenza del termine per la presentazione dell'istanza di revisione, decorrente, in assenza del predetto avviso, dall'atto successivo avente valore equipollente (Cass. sez. 3, sent. 8/03/2006, n. 11567). Pres. De Maio, Est. Marmo, Ric. Licciardi. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 09/01/2009 (Ud. 23/10/2008), Sentenza n. 391

 

TUTELA DELLA SALUTE - Diritto alla tutela preventiva del danno. Con particolare riferimento al diritto alla salute, è contraddittorio affermare che esso non tollera interferenze esterne che ne mettano in discussione l'integrità ed ammettere che alla persona sia data la sola tutela del risarcimento del danno e non anche quella preventiva (cfr. Corte Costituzionale sent. nr. 30 del 30.12.1987). Pertanto, è del tutto ammissibile chiedere al giudice di inibire all'amministrazione un comportamento che, iniziando a funzionare con le modalità previste, è accertato possa determinare una situazione di messa in pericolo della salute (Cass. Civ. sez, III, 27.7.2000 n. 9383). Concludendo, non è necessario che il danno si sia verificato perché il titolare del diritto possa reagire contro la condotta altrui, se essa si manifesta in atti suscettibili di provocarlo, posto che la protezione apprestata dall'ordinamento al titolare di un diritto si estrinseca, prima, nel vietare agli altri consociati di tenere comportamenti che contraddicano il diritto, poi, nel sanzionare gli effetti lesivi della condotta illecita, obbligando il responsabile al risarcimento del danno. Giud. Mon. Galazzi - Sarno ed altri (avv.ti G. ed A. Palmigiano) c. Ministero dell'Interno (Avvocatura dello Stato). TRIBUNALE DI PALERMO, Sez. III CIVILE - 12/11/2008 (Ud. 7/05/2008), sentenza n. 5953

TUTELA DELLA SALUTE - PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Lesione potenziale della salute - Erogazione di un servizio pubblico - Ininfluenza - Rimozione della causa e risarcimento dell’eventuale danno. A fronte di un pregiudizio attuale al bene fondamentale della salute, nessuna incidenza sull'accoglimento o meno della domanda può essere attribuito al fatto che detto accoglimento possa incidere sulle concrete modalità di erogazione del servizio: nel caso di specie, quindi, a nulla rileva il richiamo operato dal Ministero convenuto a quegli "svariati inconvenienti tecnici nell'utilizzo delle ricetrasmittenti da parte delle Forze dell'Ordine", lamentati ma non dimostrati come ricollegabili alla ordinata dismissione delle antenne oggetto di causa (Cass. sez. un. 20/2/1992 n. 2092: "qualora la Pubblica amministrazione, nell'installazione di un impianto di depurazione con inosservanza delle distanze minime prescritte, leda il diritto di salute del proprietario del fondo vicino, a quest'ultimo deve riconoscersi la facoltà di adire il giudice ordinario non soltanto con azione risarcitoria, ma anche con richiesta di condanna alla rimozione dell'opera, atteso che quel fatto lesivo, rispetto ad un diritto non suscettibile di affievolimento, non è ricollegabile ad atti o provvedimenti amministrativi e si configura come attività materiale illecita"). Giud. Mon. Galazzi - Sarno ed altri (avv.ti G. ed A. Palmigiano) c. Ministero dell'Interno (Avvocatura dello Stato). TRIBUNALE DI PALERMO, Sez. III CIVILE - 12/11/2008 (Ud. 7/05/2008), sentenza n. 5953

 

TUTELA DELLA SALUTE - INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO - PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Esposizione ai campi elettrici - Specifica disciplina (Legge Quadro n. 36/2001) - Tutela giudiziaria del diritto alla salute nei confronti della pubblica amministrazione. In materia d’inquinamento elettromagnetico, proprio l'esistenza di una specifica disciplina (Legge Quadro 22.2.2001 n. 36) dimostra inequivocabilmente che, allo stato delle conoscenze scientifiche, l'esposizione ai campi elettrici, se siano superati determinati limiti massimi, è considerata fonte di possibili effetti negativi sulla conservazione dello stato, detta disciplina ha quindi lo scopo di impedire che possa essere tenuta una condotta che vi contrasti (ed a tal fine sono previste anche sanzioni amministrative per i trasgressori). Inoltre, la giurisprudenza prevalente ritiene, che il rispetto dei limiti normativi, anche per il loro carattere pubblicistico, non implichi una presunzione assoluta di liceità delle immissioni, ben potendo sussistere una situazione che, pur rispettosa dei limiti, si riveli in concreto lesiva, anche solo potenzialmente, del diritto alla salute - ed il principio é stato affermato dalla sentenza Cass. 27/7/2000 n. 9893 riguardante proprio un caso di inquinamento elettromagnetico -. La tutela giudiziaria del diritto alla salute nei confronti della pubblica amministrazione può, infatti, essere preventiva e dare luogo a pronunce inibitorie se, prima ancora che l'opera pubblica venga messa in esercizio nei modi previsti, sia possibile accertare, considerando la situazione che si avrà una volta iniziato l'esercizio, che nella medesima situazione è insito un pericolo di compromissione per la salute di chi agisce in giudizio. Giud. Mon. Galazzi - Sarno ed altri (avv.ti G. ed A. Palmigiano) c. Ministero dell'Interno (Avvocatura dello Stato). TRIBUNALE DI PALERMO, Sez. III CIVILE - 12/11/2008 (Ud. 7/05/2008), sentenza n. 5953

 

SALUTE - Valutazione e gestione della qualità dell'aria ambiente - Fissazione dei valori limite - Diritto di un terzo vittima di danni alla salute alla predisposizione di un piano d'azione - Direttiva 96/62/CE. In materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente, l'art. 7, n. 3, della direttiva del Consiglio 27 settembre 1996, 96/62/CE, come modificata dal regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 29 settembre 2003, n. 1882, dev'essere interpretato nel senso che, in caso di rischio di superamento dei valori limite o delle soglie di allarme, i soggetti dell'ordinamento direttamente interessati devono poter ottenere dalle competenti autorità nazionali la predisposizione di un piano di azione, anche quando essi dispongano, in forza dell'ordinamento nazionale, di altre procedure per ottenere dalle medesime autorità che esse adottino misure di lotta contro l'inquinamento atmosferico. Gli Stati membri hanno come unico obbligo di adottare, sotto il controllo del giudice nazionale, nel contesto di un piano di azione e a breve termine, le misure idonee a ridurre al minimo il rischio di superamento dei valori limite o delle soglie di allarme ed a ritornare gradualmente ad un livello inferiore ai detti valori o alle dette soglie, tenendo conto delle circostanze di fatto e dell'insieme degli interessi in gioco. CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. II, 25/07/2008, Proc. C-237/07

 

SALUTE - Grave patologia psichica della vittima - Omicidio del consenziente - Mancanza del presupposto. In mancanza di elementi di prova univoci della effettiva e consapevole volontà della persona di morire, deve essere data la prevalenza al diritto alla vita indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e volere del soggetto interessato e della percezione che altri possono avere della qualità della vita stessa. Sicché, non sussistono i presupposti della fattispecie di cui all'art. 579 c.p. nel caso in cui la particolare patologia psichica da cui è affetto il soggetto passivo sia tale da incidere sulla piena e consapevole formazione del consenso alla propria eliminazione fisica. Presidente P. Mocali, Relatore M. Cassano. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. I, 28/03/2008 (Ud. 14/02/2008), Sentenza n. 13410

 

DIRITTO SANITARIO - Nozione di malattia giuridicamente rilevante - Configurabilità del delitto di lesioni personali. Ai fini della configurabilità del delitto di lesioni personali, la nozione di malattia giuridicamente rilevante non comprende tutte le alterazioni di natura anatomica, che possono in realtà anche mancare, bensì solo quelle alterazioni da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico ovvero una compromissione delle funzioni dell’organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa. (Cass. Sez. V, 15 ottobre 1998, n. 714, Rocca, Sez. IV, 28 ottobre 2004, n. 3448, Perna). Pagnani. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. IV, 19 marzo 2008, n. 17505

 

SALUTE - Lesioni rilevatesi mortali - Responsabilità del medico - Responsabilità dell’A.s.l. - Risarcimento del danno - Criterio applicabile - Diritto dei congiunti - Danno biologico e danno non patrimoniale - Artt. 1226 e 2056 c.c.. Nell’ipotesi di persona deceduta a causa dell’illecita condotta altrui, sussiste il diritto alla risarcibilità del danno da morte iure hereditatis ai parenti. Il risarcimento del c.d. danno tanatologico (o da morte immediata), sussiste anche in assenza di un apprezzabile lasso di tempo tra la lesione colposa del diritto alla salute e l’evento morte. Nella specie, il c.d. danno biologico ha luogo non al momento del decesso della vittima ma con il prodursi delle lesioni poi rilevatesi mortali. In quanto, al momento delle lesioni il soggetto è ancora in vita e acquista il diritto al risarcimento al danno, mentre, il successivo decesso è circostanza rilevante ai fini del quantum e non dell’an debeatur. Pertanto, la quantificazione del danno non patrimoniale da uccisione impone il ricorso ai criteri di liquidazione equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c.. Infine, in sede civile hanno rilievo le relazioni causali che si presentano come effetto non del tutto imprevedibile (principio della c.d. regolarità causale - Cass. n.4791/2007), o della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”(Cass. SS.UU. n.580/2008). Giud. Barbieri - Z.G. c. Gestione liquidatoria ex U.S.L. n. 12 della Conca Ternana. TRIBUNALE DI TERNI, 4/03/2008

 

SALUTE - Parto cesareo d’urgenza - Pratica della reperibilità - Violazione del contratto di spedalità - Responsabilità della struttura sanitaria - Sussistenza. L’elevato grado d’imprevedibilità che connota il momento preciso della nascita ed i rischi di complicanze connaturali alla gravidanza impongono, ad una struttura ospedaliera che ha contrattualmente assunto l’obbligo di prestare la complessa assistenza sanitaria alle partorienti, di garantire, tramite un’adeguata turnazione del personale medico, una presenza continua in loco di un’equipe immediatamente pronta alle emergenze, senza dover ricorrere, alla pratica della reperibilità. Sicché, la violazione del predetto obbligo scaturente dalla complessa natura del contratto di spedalità comporta la responsabilità della struttura sanitaria per i danni derivati al feto ed ai genitori in conseguenza del parto tardivo. Giud. Tomaiuoli - L.G. ed altri c. A.U.S.L. n. 9 di Trapani ed altri. TRIBUNALE DI MARSALA, 20/02/2008

SALUTE - Parto cesareo d’urgenza (c.d. statim) - Condotta non conforme agli obblighi di perizia e diligenza - Responsabilità del medico (anestesista) - Fattispecie. Si configura la responsabilità del medico, nella specie anestesista, per condotta non conforme agli obblighi di perizia e diligenza, nell’ipotesi in cui diventa necessario praticare un parto cesareo d’urgenza (c.d. statim), praticando l’anestesia spinale in luogo di quella generale che, pur comportando maggiori rischi statistici di complicanze, deve essere comunque praticata allorquando vi sia un grave e concreto rischio alla salute o alla vita della donna o del feto che richieda un cesareo statim. Giud. Tomaiuoli - L.G. ed altri c. A.U.S.L. n. 9 di Trapani ed altri. TRIBUNALE DI MARSALA, 20/02/2008

 

SALUTE - ACQUA - Qualità delle acque destinate al consumo umano - Concentrazione massima in nitrati ed in antiparassitari - Inadempimento di Stato - Direttive 80/778/CEE e 98/83/CE. Non adottando tutte le misure necessarie per conformarsi all'articolo 4 della direttiva 98/83/CE del Conseil, del 3 novembre 1998, relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano, la repubblica francese è venuta meno agli obblighi che gli incombono in virtù delle disposizioni di questa direttiva. (Testo uff.: En ne prenant pas toutes les mesures nécessaires pour se conformer à l’article 4 de la directive 98/83/CE du Conseil, du 3 novembre 1998, relative à la qualité des eaux destinées à la consommation humaine, la République française a manqué aux obligations qui lui incombent en vertu des dispositions de cette directive). CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. VII, 31 Gennaio 2008, Causa C‑147/07

 

SALUTE - Responsabilità per violazione degli obblighi di ospedalizzazione - Ministero della Salute e ASL - Funzioni, obblighi, garanzie e compiti - Tutela della salute - C.d. contratto di spedialità - Responsabilità - Individuazione. In tema di responsabilità per violazione degli obblighi derivanti dal c.d. contratto di spedialità, una semplice struttura sanitaria può essere ritenuta responsabile per ciò che concerne l’obbligo di disporre dei locali idonei, l’obbligo di disporre di personale sia medico sia paramedico che ausiliario competente, sufficiente e presente, l’obbligo di disporre di farmaci e applicazioni terapeutiche efficaci e in corso di validità, l’obbligo di disporre servizi accessori adeguati e tutti quegli ulteriori obblighi inerenti alla adeguatezza ed efficienza organizzativa. Gravano, invece, sul Ministero della Salute obblighi di coordinamento politico-amministrativo dell’intero sistema sanitario nazionale. (Corte di Cassazione Sez. Unite 1/07/2002 sent. n. 9556). G.U. Brena - M. c. Azienda Ospedaliera. TRIBUNALE DI MILANO 24/01/2008, n. 1068

SALUTE - Trasfusione e patologia - Responsabilità medica - Nesso causale - Dimostrazione - Necessità. In tema di responsabilità medica, il nesso causale tra la trasfusione e la patologia deve essere dimostrato in termini di certezza o quasi certezza, non essendo sufficiente la mera probabilità o comunque la verosomiglianza. G.U. Brena - M. c. Azienda Ospedaliera. TRIBUNALE DI MILANO 24/01/2008, n. 1068

 

SALUTE - Esigenze tecniche relative al sangue ed ai componenti sanguigni - Mancata trasposizione entro il termine prescrive - Inadempimento di Stato - Direttiva 2004/33/CE. Non avendo adottato, entro il termine prescritto, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 2004/33/CE della Commissione, del 22 marzo 2004, recante applicazione della direttiva 2002/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che riguarda alcune esigenze tecniche relative al sangue ed ai componenti sanguigni, la Repubblica ceca è venuto meno agli obblighi che gli incombono ai sensi di questa direttiva. (Testo Uff.: En n’ayant pas adopté, dans le délai prescrit, les dispositions législatives, réglementaires et administratives nécessaires pour se conformer à la directive 2004/33/CE de la Commission, du 22 mars 2004, portant application de la directive 2002/98/CE du Parlement européen et du Conseil concernant certaines exigences techniques relatives au sang et aux composants sanguins, la République tchèque a manqué aux obligations qui lui incombent en vertu de cette directive). CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. VII, 8/11/2007, Causa C‑60/07

 

SALUTE - OGM - Indicazione nell’etichetta della presenza di materiale derivato da OGM - Esenzione per il caso di contaminazione accidentale e al di sotto dell’1% - Alimenti destinati a lattanti e bambini - Sent. CGCE 26 maggio 2005. Alla luce dell’interpretazione della normativa comunitaria offerta dalla Corte di giustizia delle Comunità europee (cfr. sent. 26 maggio 2005), l’esenzione dall’obbligo di un’indicazione nell’etichetta di prodotti alimentari della presenza di materiale derivato da taluni OGM, nel caso in cui tale presenza derivi da una contaminazione accidentale e non superi un livello de minimis dell’1%, si applica anche ai prodotti alimentari destinati all’alimentazione particolare dei lattanti e dei bambini nella prima infanzia. Pres. ed Est. Vacirca - Ministero della Salute (Avv. Stato) c. Codacons (avv.ti Rienzi, Acerboni, Giuliano, Samengo e Sanitate) e Federconsumatori (avv.ti Ursini e Sanitate) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV - 26 ottobre 2007 (C.C. 16/10/2007), sentenza n. 5609

 

SALUTE - Gestione e sicurezza di un impianto sciistico - Lesioni riportate da uno sciatore che abbia praticato volontariamente il “fuori pista” in un passaggio pericoloso - Gestore e responsabile della sicurezza - Obbligo di porre ogni cautela per prevenire i pericoli - Elemento soggettivo - Colpa. Sussiste l'obbligo di porre in essere ogni cautela per prevenire i pericoli anche esterni alla pista ai quali lo sciatore può andare incontro in caso di uscita dalla pista medesima (Sez. 4, n. 27861 del 20/04/2004, Imp. Marchelli). Nella specie rispondono per colpa, delle lesioni riportate da uno sciatore che abbia praticato volontariamente il “fuori pista” in un passaggio pericoloso, il gestore e il responsabile della sicurezza di un impianto sciistico se tale pericolo non era stato adeguatamente segnalato sulla pista battuta. Infine, la fonte della posizione di garanzia dei soggetti menzionati non trovi la propria fonte nell’art. 2050 cod. civ., bensì nel contratto concluso con l’utilizzatore dell’impianto di risalita e delle piste dallo stesso servite. Presidente G. S. Coco, Relatore V. Romis. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. IV, del 26/10/2007 (UD.11/07/2007), Sentenza n. 39619

 

SALUTE - Interruzione dell’alimentazione e della idratazione artificiali - Condizioni e limiti - Fattispecie: persona in stato vegetativo da oltre quindici anni. L’idratazione e l’alimentazione artificiali con sondino nasogastrico non costituiscano, in sé, oggettivamente una forma di accanimento terapeutico, pur essendo indubbiamente un trattamento sanitario - pertanto il giudice può, su istanza del tutore, autorizzarne l’interruzione soltanto in presenza di due circostanze concorrenti: a) la condizione di stato vegetativo del paziente sia apprezzata clinicamente come irreversibile, senza alcuna sia pur minima possibilità, secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di recupero della coscienza e delle capacità di percezione; b) sia univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, dalla sua personalità e dai convincimenti etici, religiosi, culturali e filosofici che ne orientavano i comportamenti e le decisioni, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento. Ove l’uno o l’altro presupposto non sussista, deve essere negata l’autorizzazione, perché allora va data incondizionata prevalenza al diritto alla vita, indipendentemente dalla percezione, che altri possano avere, della qualità della vita stessa. Presidente M. G. Luccioli, Relatore A. Giusti. CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. I, del 16 Ottobre 2007 Sentenza n. 21748

 

SALUTE - Responsabilità civile - Danni da fumo - Dicitura “lights” - Pubblicità ingannevole - Onere della prova. L’apposizione sui pacchetti di sigarette della dicitura “lights” costituisce pubblicità ingannevole, in quanto induce il consumatore a ritenere - erroneamente - che con il consumo di questo tipo di sigarette il rischio di danni da fumo per la salute sia ridotto, indipendentemente dall’esplicito divieto di utilizzo di tale dicitura. Essa può rilevare quale fatto idoneo a provocare un danno ingiusto, risarcibile secondo le regole della responsabilità civile; tuttavia l’esistenza del danno non può ritenersi in re ipsa ma va provata in concreto. CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. III, del 04/07/2007 Sentenza n. 15131

 

SALUTE - Attività medico-chirurgica - Esecuzione dell'intervento chirurgico - Responsabilità civile del chirurgo per la condotta degli ausiliari - Art. 1228 c.c.. Il principio fissato dall'art. 1228 c.c. - secondo il quale il debitore che nell’adempimento di un’obbligazione si avvale dell’opera di terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro- si applica anche al rapporto che viene ad instaurarsi - nell'ambito dell'attività medico-chirurgica - tra il medico operatore e i suoi ausiliari, sulla cui condotta è tenuto ad assolvere ad un obbligo di controllo e di vigilanza sia nella fase preparatoria che in quella di esecuzione dell'intervento chirurgico. CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. III, del 14/06/2007, Sentenza n. 13953

 

SALUTE - Integratori alimentari - Presenza di erbe non ammesse dal Ministero della Salute rilevabile dalle etichette - Sequestro e divieto di commercializzazione - Analisi di laboratorio - Necessità - Esclusione - Pericolo per la salute pubblica - Motivazione specifica - Necessità - Esclusione. La presenza nei prodotti erboristici commercializzati come integratori alimentari di piante inserite nella lista delle non ammesse dal Ministro della Salute, rilevabile dalle etichette, risulta di per sé idonea sia a dar conto della pericolosità per la salute pubblica, sia a rendere superflue ulteriori indagini di laboratorio. Il sequestro e il divieto di commercializzazione trovano pertanto fondamento nella presenza delle stesse erbe e non necessitano di ulteriore motivazione, atteso che la loro presenza in tale genere di prodotti è stata valutata dal Ministero della Salute di per se stessa sufficiente a rappresentare un pericolo per la salute pubblica. Diversamente opinando, le apposite verifiche previste dal Piano di vigilanza annuale (art 13 D.Lgs. n. 169/2004) si risolverebbero in una mera rilevazione statistica preliminare ad ulteriori particolari analisi, mentre la valutazione circa la non compatibilità di alcune piante con le caratteristiche alimentari, e non farmacologiche, degli integratori alimentari è stata effettuata per categorie specifiche dalle competenti autorità statali e regionali confluendo nell’allegato 1 del Piano di vigilanza predisposto nel 2005 per il settore integratori alimentari (presentati come prodotti alimentari, e non come prodotti farmacologici). Pres. Petruzzelli, Est. Spiezia - A. s.a.s. (avv.ti Babini e Zini) c. Comune di Firenze (avv.ti Rogai e Sansoni) - T.A.R. TOSCANA, Sez. II - 12 giugno 2007, n. 860

SALUTE - Sostanze vegetali - Limitazione all’uso commerciale - Provvedimento amministrativo generale - Idoneità - Riserva assoluta di legge - Inconfigurabilità.
La limitazione dell’uso commerciale di alcune sostanze vegetali (escludendone l’utilizzazione per uso alimentare) può essere correttamente disposta anche con provvedimento amministrativo generale, non essendo la normazione in materia di commercio delle sostanze alimentari coperta da riserva assoluta di legge. Pres. Petruzzelli, Est. Spiezia - A. s.a.s. (avv.ti Babini e Zini) c. Comune di Firenze (avv.ti Rogai e Sansoni) - T.A.R. TOSCANA, Sez. II - 12 giugno 2007, n. 860

 

SALUTE - Centro estetico - Apparecchiatura laser per la depilazione - Autorizzazione sanitaria - Necessità - Leggi penali speciali - Art. 193 R.D. n. 1265/1934 (t.u.l.s.). Sussiste il reato previsto dall’art. 193 R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 (t.u.l.s.) quando venga svolta una attività consistente in trattamenti di medicina estetica, con l’uso di apparecchiatura laser per la depilazione, senza la prescritta autorizzazione sanitaria, necessaria anche per strutture dotate di attrezzature minime, in cui si eserciti tuttavia attività medica con finalità speculativa da parte di operatori privati. Presidente E. Papa, Relatore C. Petti. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 05/06/2007 (Ud.18/04/2007), Sentenza n. 21806

 

SALUTE - Danni da vaccinazioni (Epatite silente) - Soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusione ed emoderivati - Contagio HCV asintomatico e senza pregiudizi attuali - Diritto all’indennizzo. E’ legittima (ai sensi della tutela accordata dalla legge n. 210 del 1992 ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusione ed emoderivati, della quale sottolinea il carattere assistenziale, e non risarcitorio, a tutela della lesione permanente dell'integrità psico-fisica, quindi della salute come tale, indipendentemente dall'incidenza sulla capacità di produrre reddito, ha riconosciuto il diritto all’indennizzo al soggetto affetto da contagio HCV, comportante sicuramente un danno permanente alla salute, pur in assenza di sintomi e pregiudizi funzionali attuali), la decisione della corte territoriale che ha riconosciuto la tutela de qua in favore di un soggetto affetto, a seguito di trasfusione, da "epatite silente", come tale determinante un danno permanente alla salute, anche in virtù dello stile di vita che tale patologia cronica avrebbe imposto. CORTE DI CASSAZIONE Sez. Lavoro, del 04/05/2007, Sentenza n. 10214

 

SALUTE - Diritto alla salute - Tutela preventiva, sanzionatoria e riparatoria - Esercizio - Artt. 700 c.p.c., 2043 e 2058 c.c.. La tutela sia preventiva, in caso di pericolo per il diritto alla salute, che sanzionatoria e riparatoria nel successivo giudizio di merito, ben possono essere esercitate attraverso l'inibitoria, ex art. 700 c.p.c. e 2058 c.c. costituente una modalità di tutela in forma specifica che particolarmente si attaglia alla lesione del diritto in parola (cfr. Cass. 19.7.85 n. 4263, Cass. 11.9.89 n. 3921, Cass. 27.7.00 n. 9893, Cass. 8.11.06 n. 23735). Ric. Comune di Serre. TRIBUNALE DI SALERNO, Sez. I, 28 aprile 2007, Ordinanza n. 1189

SALUTE - Diritto alla salute - Minaccia al bene-valore - Danno non patrimoniale - Sanzione risarcitoria ex art 2059 c.c. - Tutela ex art. 700 c.p.c.. Il diritto alla salute - va incontro alla sanzione risarcitoria ex art 2059 c.c. (anche per equivalente) quale danno non patrimoniale, per il fatto in sé della lesione, indipendentemente da possibili ricadute sul patrimonio, ed anche a prescindere da previsioni specifiche di legge ordinaria, in quanto lesione di valori costituzionalmente protetti e garantiti, norme costituzionali cogenti (nella specie, dall'art. 32 Cost.) (cfr., ex plurimis, C. Cost. 11.7.03 n. 233; Cass. 12.12.03 n. 19057; Cass. 20.2.04 n. 3399; Cass. 27.7.06 n. 17144). Ne consegue che, in caso di minaccia al bene-valore su indicato, ben può essere azionata, in via preventiva, la tutela ex art. 700 c.p.c. Ric. Comune di Serre. TRIBUNALE DI SALERNO, Sez. I, 28 aprile 2007, Ordinanza n. 1189

 

SALUTE - CONSUMATORI - Alimenti - Mero trasportatore - Obbligo di conservazione  L. n. 283/1962. L'obbligo di osservare la disciplina prevista dalla legge n. 283/1962 incombe anche al mero trasportatore, atteso che l'onere di assicurare le condizioni di conservazione degli alimenti, al fine di tutela della salute pubblica, sussiste in tutte le fasi di distribuzione degli alimenti. Pres. Postiglione, Est. Fiale, Ric. Merlo. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 28 gennaio 2007 (Ud. 19/10/2006), Sentenza n. 2897

 

SALUTE - CONSUMATORI - Alimenti  Trasportatore  Obblighi - Condizioni di conservazione degli alimenti  Destinatari - Prescrizioni igienico - sanitarie. L'obbligo di osservare la disciplina prevista dalla legge n. 283/1962 incombe anche al mero trasportatore, atteso che l'onere di assicurare la condizioni di conservazione degli alimenti, al fine di tutela della salute pubblica, sussiste in tutte la fasi di distribuzione degli stessi. Pertanto, destinatari delle disposizioni dell'art. 5 della legge n. 283/1962, sono tutti coloro che concorrono alla immissione sul mercato di prodotti destinati al consumo e non conformi alle prescrizioni igienico - sanitarie. Pres. Postiglione, Est. Fiale, Ric. Merlo. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 28 gennaio 2007 (Ud. 19/10/2006), Sentenza n. 2897
 

SALUTE - CONSUMATORI - Alimenti - Concetto di "destinazione per la vendita" - L. n. 283/1962. Il concetto di "destinazione per la vendita", enunciato dall'art. 5 della legge 30.4.1962, n. 283, in tema di frodi di alimentari, non consiste soltanto nel possesso di prodotti destinati immediatamente alla vendita, bensì anche nel possesso di prodotti da vendersi successivamente e cioè, in definitiva, in una relazione di fatto, tra il soggetto ed il prodotto, caratterizzato semplicemente dal fine della vendita stessa, senza che sia necessario che la merce si trovi in luoghi destinati ai consumatori [ vedi Cass. : sez. III, 1.4.2003, n. 15185; Sez. III, 22.6.1996, n. 6266; Sez. VI, 4.6.1993, n. 5661; Sez VI, 14.12.1993, n. 11395]. Pres. Postiglione, Est. Fiale, Ric. Merlo. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 28 gennaio 2007 (Ud. 19/10/2006), Sentenza n. 2897
 

SALUTE - CONSUMATORI - Alimenti - Cattivo stato di conservazione  Configurabilità del reato - Prescrizioni normative - Danno per la salute del consumatore. Nella previsione di cui all'art. 5, lett. b), della legge n. 283/1962, non è necessario che il cattivo stato di conservazione si riferisca alle caratteristiche intrinseche delle sostanze alimentari, ma è sufficiente che esso concerna le modalità estrinseche con cui si realizza, le quali devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, a regole di comune esperienza. (Cass. Sez. Un. 19.12.2001, sentenza n. 40, ric. Butti). Sicché, una volta accertata l'inosservanza di accorgimenti igienico - sanitari riferiti alle modalità di conservazione (alla stregua di norme giuridiche di carattere tecnico ma anche di precetti generalmente condivisi dalla collettività), la fattispecie penale si configura senza che sia necessario un previo accertamento sulla commestibilità del prodotto o il verificarsi di un danno per la salute del consumatore ( vedi pure Cass., Sez. III, 27.1.2004, n. 2649, Gargelli). Pres. Postiglione, Est. Fiale, Ric. Merlo. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 28 gennaio 2007 (Ud. 19/10/2006), Sentenza n. 2897

 

SALUTE - Risarcimento danni non patrimoniali - Art. 185 cod. pen. - Giurisprudenza costituzionale - Danno biologico per inabilità temporanea, danno biologico per inabilità permanente, danno morale, danno psichico, danno alla capacità lavorativa specifica e perdita di chances, rimborso spese mediche. Il danno non patrimoniale conseguente alla ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito, non e soggetto, ai fini della risarcibilità, al limite derivante dalla riserva di legge correlata all'art. 185 cod. pen., e non presuppose, pertanto, la qualificabilità del fatto illecito come reato, giacché il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della Legge fondamentale, ove si consideri che il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale (Cass. 31 maggio 2003 n. 8827 e 8828). Evoluzione del pensiero giuridico prontamente recepita dalla giurisprudenza costituzionale (sent. 11 luglio 2003 n. 233). Pres. S. Senese, Rel. A. De Matteis. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. Lavoro, 10 gennaio 2007 (c.c. 26/09/2006), Sentenza n. 238

 

SALUTE - Medicinali commercializzati nei paesi dell'unione europea - Necessità dell'autorizzazione per la commercializzazione in Italia - Sanzioni amministrative. I prodotti medicinali e farmaceutici già in vendita in altri paesi dell’Unione Europea non sono liberamente commerciabili e somministrabili in Italia, ma devono comunque ottenere - con procedura semplificata - l’autorizzazione del Ministero della Salute. CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. II del 08/02/2007, Sentenza n. 2724

 

Salute - Divieto di accanimento terapeutico - Concetto - Manca una definizione condivisa ed accettata - Principi di autodeterminazione e del consenso informato - Principi costituzionali (artt. 2 e 32 Cost.) di tutela della dignità della persona - Lacuna normativa - Rapporto medico-paziente - Interpretazione soggettiva e alla discrezionalità - Natura tecnica ed empirica - Limiti. Il divieto di accanimento terapeutico è un principio solidamente basato e inquadrabili sui principi costituzionali (artt. 2 e 32 Cost.) di tutela della dignità della persona, ma che non è regolato dal diritto. Pur profondamente mutato il modo di intendere il rapporto medico-paziente, e il segno di questa trasformazione è nella rilevanza assunta dal consenso informato, che ha spostato il potere di decisione del medico al paziente. Sul piano pratico del corrispondente diritto del paziente ad esigere e a pretendere che sia cessata una determinata attività medica di mantenimento in vita, lascia il posto, per un'evidente "lacuna" giuridica, all'interpretazione soggettiva e alla discrezionalità e non a una disciplina normativa in materia. Sicché, nel concetto di accanimento terapeutico, i confini nell’ambito dell’ordinamento, sono incerti ed evanescenti e manca una definizione condivisa ed accettata, manca, inoltre, la definizione di quando l’insistere con trattamenti di sostegno vitale sia prassi ingiustificata o sproporzionata. E soprattutto «non esistono linee guida di natura tecnica ed empirica di orientamento del comportamento dei medici». Giudice Salvio - Ric. Piergiorgio Welby. TRIBUNALE CIVILE di Roma Dicembre 2006

 

Salute - Lesione della salute umana - Ricorso all'art. 2043 cod. civ. - Protezione dell'ordinamento - Diritto alla salute - Affievolimento - Esclusione. In tema di lesione della salute umana, anche la Corte costituzionale, con sentenza del 30 dicembre 1987 n. 641, ha dichiarato che è possibile il ricorso all'art. 2043 cod. civ. sia sotto forma della reintegrazione del patrimonio del danneggiato, sia sotto quello della prevenzione dell'illecito. Sicché, la protezione che l'ordinamento vigente apprestata al titolare del diritto alla salute si estrinseca sia nel vietare agli altri consociati di tenere comportamenti che contraddicano il diritto, sia nel sanzionare gli effetti lesivi della condotta illecita, obbligando il responsabile al risarcimento del danno. Il diritto alla salute infatti, appartiene a quella categoria di diritti che non tollerano interferenze esterne che ne mettano in discussione l'integrità, (Cass. ss. uu. 21 marzo 2006, n. 6218). Presidente V. Carbone, Relatore L. F. Di Nanni. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sezione Unite, 8 novembre 2006 (Ud. 12/10/2006) Sentenza n. 23735 (vedi: sentenza per esteso)

 

Salute - Rapporti intersoggettivi - Diritto alla salute - Sovrasta l'amministrazione. Il carattere di assolutezza del diritto alla salute e la sua elaborazione sul versante dei rapporti intersoggettivi ha trovato risconto sia nell'affermazione che esso è sovrastante all'amministrazione di guisa che questa non ha alcun potere, neppure per motivi di pubblico specialmente rilevante, non solo di affievolirlo, ma neanche di pregiudicarlo nel fatto indirettamente, perché, incidendo in un diritto fondamentale, la pubblica amministrazione agisce nel fatto, dal momento che, non essendo giuridicamente configurabile un suo potere in materia, esso per il diritto non provvede, ma esplica comunque e soltanto attività materiale illecita: Cass. ss. uu. 20 febbraio 1992, n. 2092, testualmente ripresa da Cass. ss. uu. 1°agosto 2006, n. 17461. Presidente V. Carbone, Relatore L. F. Di Nanni. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sezione Unite, 8 novembre 2006 (Ud. 12/10/2006) Sentenza n. 23735 (vedi: sentenza per esteso)

 

Salute - Prestazione lavorativa in ambiente inquinato (amianto) - Risarcibilità - Onere probatorio - Risarcimento danni - Danno morale. La situazione di turbamento psichico conseguente al proseguimento della prestazione lavorativa in ambiente inquinato, se non può formare oggetto di prova diretta, al pari di qualsiasi altro stato psichico interiore del soggetto, può essere tuttavia desunta da altre circostanze di fatto esterne, quali la presenza di malattie psico-somatiche, insonnia, inappetenza, disturbi del comportamento o altro. Conseguentemente, il lavoratore che, impiegato in cantiere esposto all’inalazione di polveri di amianto, chiede il risarcimento dei danni per l’esposizione ad agenti patogeni, pur non avendo contratto alcuna malattia, non è liberato dalla prova di aver subito un effettivo turbamento psichico e la prospettata situazione di sofferenze e disagio non può essere desunta dalla mera prestazione lavorativa in ambiente inquinato. La S.C. ha affermato tale principio in controversia in cui i lavoratori deducevano che il patema d’animo, causato dalla consapevolezza della seria e concreta esposizione ultratrentennale all’amianto, non potendo essere oggetto di accertamento o di riscontro medico legale, poteva essere desunto dai dati di comune esperienza. La S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che aveva respinto la domanda di risarcimento per non aver i lavoratori fornito alcuna prova in ordine alla gravità dell’evento ed all’asserito turbamento, né alla dipendenza causale del turbamento dall’esposizione all’agente patogeno. Presidente G. Sciarelli, Relatore G. D'Agostino. CORTE DI CASSAZIONE Sezione Lavoro, 06/11/2006, Sentenza n. 23642

 

Salute - Stranieri extracomunitari - Fattispecie. Lo straniero presente, anche irregolarmente, nel territorio dello Stato italiano ha diritto di fruire di tutte le prestazioni sanitarie indifferibili ed urgenti offerte dalle strutture pubbliche a tutela del diritto costituzionalmente protetto alla salute; tale garanzia comprende non solo le prestazioni rese dall'area del "pronto soccorso" e della medicina d'urgenza, ma si estende a tutte quelle prestazioni essenziali per la vita dello straniero che i presidi sanitari pubblici possono fornire, eventualmente non limitate ad un singolo intervento ma comprensive di tutti gli interventi ritenuti necessari dalla scienza medica per l'eliminazione completa della patologia. (Nella specie, la S.C. ha cassato il decreto del giudice di pace di rigetto all'opposizione al provvedimento di espulsione con la quale lo straniero irregolare faceva valere la sua condizione di temporanea inespellibilità in quanto,già sottoposto ad un intervento alla retina presso un ospedale pubblico italiano, doveva completare un ciclo di terapie laser presso la stessa struttura, al termine delle quali avrebbe dovuto sottoporsi ad un secondo intervento, necessario per conseguire una completa riabilitazione della funzione visiva). Presidente M. Adamo, Relatore L. Macioce. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. I, 22/09/2006 Sentenza n. 20561

 

Salute - Consumatori - Carni avicole - Ordinanza ministeriale che impone un sistema di etichettatura - Legittimità - Principio comunitario “di precauzione”. In forza del Trattato CEE, all’art. 174, par. 2, come riformulato dal Trattato di Maastricht del 1992, che afferma il c.d. “principio di precauzione” (il quale, sia pure espresso nella sedes materiae della tutela dell’ambiente, è stato interpretato estensivamente dalla giurisprudenza e dalla Commissione delle Comunità Europee come incidente “sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante” - v. Comunicazione 02.02.2000 della Commissione CEE), deve ritenersi avere fondamento nell’ordinamento anche costituzionale, la forza cogente di un’ordinanza che impone un sistema di etichettatura e informazione riguardante le carni avicole, al fine di controllarne la provenienza e la sanità, anche a mezzo di misure cautelari quali la sospensione dell’attività. Pres. Petruzzelli, Est. Di Nunzio - G. s.a.s. (avv. Arizzi) c. Ministero della Salute (Avv. Stato) - T.A.R. TOSCANA, Sez. II - 5 ottobre 2006, n. 4259 (vedi: sentenza per esteso)

 

Salute - Amianto - Applicazione delle misure di salvaguardia - Presupposti - Rilascio di fibre aerodisperse nell’ambiente. La normativa volta a prevenire i rischi derivanti dall’amianto individua la pericolosità di tale sostanza in riferimento all’eventualità del rilascio di fibre aerodisperse nell’ambiente, che costituisce, pertanto, il presupposto per l’applicazione delle misure di salvaguardia ivi previste (cfr. art. 2 L. n. 257/92; art. 1 dell’allegato 1 del D.M. del 06/09/94; art. 7 dell’allegato n. 1 al D.M. del 06/09/94). Ne consegue l’illegittimità dell’ordinanza dell’ASL che prescriva la rimozione dell’amianto non in ragione del cattivo stato del materiale rinvenuto nel corso del sopralluogo ma a causa del pericolo conseguente alle modalità dell’intervento di demolizione parziale del fabbricato. Pres. D’Alessandri, Est. Francavilla - G.U. (avv. Violante) c. Comune di Grumo Nevano (avv. Liguori) e altro (n.c.) - T.A.R. CAMPANIA, Napoli, Sez. V - 7 giugno 2006, n. 6786 (vedi: sentenza per esteso)

 

Salute - Indennizzo da lesioni conseguenti a vaccinazioni obbligatorie (L. N. 210/1992) - Controversie relative - Giurisdizione del giudice ordinario. Alla stregua dell’art. 1 della l. 25 febbraio 1992, n.210 - che attribuisce a chiunque, a causa di vaccinazioni obbligatorie, abbia riportato lesioni o infermità, con conseguente menomazione permanente dell’integrità psico-fisica, il “diritto” ad un indennizzo da parte dello Stato - , non è consentito dubitare della consistenza di diritto soggettivo della situazione giuridica, confermata dall’essere chiamata, l’amministrazione, ad operare accertamenti e valutazioni di tipo tecnico, con esclusione di qualunque potere discrezionale. La stessa legge, del resto, all’art.6, stabilisce che avverso il giudizio sanitario della commissione medico-ospedaliera è esperibile l’azione davanti al giudice ordinario competente. Né, peraltro, si configura, in materia, la giurisdizione esclusiva amministrativa, atteso che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004, risulta caducata la previsione relativa alle “attività e prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell’ambito del servizio sanitario nazionale…” (art. 33, comma 2, lett. e) del d.lgs. n.80 del 1998, come sostituito dall'art. 7, lett. a) della l. n. 205 del 2000). Pertanto, nella materia dei pubblici servizi sono rimaste devolute al giudice amministrativo in sede esclusiva solamente le “controversie relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla P.A. o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento disciplinato dalla l. 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché…”. Conseguentemente, le controversie relative a tutte le prestazioni erogate nell’ambito del servizio sanitario nazionale, nella sussistenza di un rapporto obbligatorio tra cittadini e amministrazione, sono devolute alla competenza del giudice ordinario, ai sensi del criterio generale di riparto della giurisdizione definito dall’art. 2 della l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, e presupposto dall’art. 442 del codice di procedura civile. Presidente G. Ianniruberto, Relatore P. Picone. CORTE DI CASSAZIONE Sezioni Unite Civili, 08/05/2006, Sentenza n. 10418

 

Salute - Prodotti alimentari (produzione, commercio e consumo) - Reato di cui all'art. 5 lett. b) e d) legge n. 283 del 1962 - Alimenti in evidente cattivo stato di conservazione - Prelievo campioni per accertamenti di laboratorio - Necessità - Esclusione. Per l'accertamento del reato di cui all'art. 5, lett. b) e d) legge n. 283 del 1962 (disciplina igienica delle sostanze alimentari), ed in particolare per l'accertamento della condotta di detenzione per la vendita di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione, non è necessario procedere al prelievo di campioni ove i prodotti alimentari si presentino all'evidenza mal conservati. (La Corte ha altresì precisato che l'eventuale violazione delle norme sul prelievo di campioni, siccome si inquadra in un'attività preliminare e pre-processuale, non determina alcuna nullità). Pres. Postiglione A. - Est. De Maio G. - Rel. De Maio G. - Imp. Cilla. P.M. Di Popolo A. (Conf.), (Dich. inammissibile, Trib. Lucera, sez. dist. Apricena, 16/12/2004). CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 21/04/2006 (Ud. 21/03/2006), Sentenza n. 14250 (vedi: sentenza per esteso)

 

Salute e sicurezza sul lavoro - Amianto - Accertamento di violazioni delle prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza - Art. 34 D.Lgs. 277/91 - Natura - Atto di polizia giudiziaria - Accertamento di illecito penale - Giurisdizione del TAR - Difetto. L’atto emesso dal Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro, ex art. 34 D.Lgs. 15.8.91 n. 277, relativo ai lavori di demolizione e rimozione dell’amianto, con cui siano state accertate violazioni delle prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza, costituisce il primo passo del procedimento delineato dall’art. 20 del D.Lg. 578/94; ad esso va attribuita natura di atto di polizia giudiziaria diretto all’accertamento di un illecito penale, rispetto al quale il Giudice amministrativo difetta di giurisdizione. Pres. De Zotti, Est. De Piero - R. s.a.s. (avv.ti Ceci, Fregni e Mezzani) c. Regione Veneto (avv.ti Morra e Parisi) e U.S.L.L. n. 21 di Legnago (n.c.) - T.A.R. VENETO, Sez.III - 5 aprile 2006, n. 789

 

Salute - Consumatori - Sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione - Lesione del c.d. "ordine alimentare" - Fattispecie: alterazione organolettica del gusto e del colore del vino. In materia di alimenti, la contravvenzione prevista dalla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. b, che vieta l'impiego nella produzione, la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione, o comunque la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, non è reato di pericolo presunto, ma di danno, in quanto persegue il fine di benessere, consistente nell'assicurare una protezione immediata all'interesse del consumatore a che il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura (Cass. S.U. 9 gennaio 2002 n. 443). In altri termini, l'interesse protetto dalla norma e leso dal comportamento punito va individuato nel rispetto di quello che è stato definito "ordine alimentare", ovvero quello del consumatore a che la sostanza alimentare giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte dalla sua natura (Cass. sez. 3^, 2 settembre 2004 n. 35828). Ciò premesso sull'argomento, va rilevato che la sentenza impugnata, dopo aver rilevato l'alterazione organolettica del gusto e del colore del vino sequestrato e quindi la lesione del c.d. "ordine alimentare", con l'avvio di un processo degenerativo della bevanda, ne ha attribuito la causa al cattivo stato di conservazione del prodotto, ipotizzato come probabile dato causale anche dal perito chimico esaminato in giudizio e confermato dal fatto, emerso in giudizio, che il prodotto aveva subito nel passato una movimentazione anomala, in occasione di lavori di ristrutturazione che avevano interessato il supermercato. Pres. Grassi A. Est. Ianniello A. Rel. Ianniello A. Imp. Mastromartino. P.M. Passacantando G. (Conf.), (Rigetta, Trib. Salerno, 13 Maggio 2004). CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 04/04/2006 (Ud. 22/02/2006), Sentenza n. 11909 (vedi: sentenza per esteso)

Salute - Responsabilità del titolare dell'azienda - Delega di funzioni - In azienda a struttura semplice - Legittimità - Esclusione - Fattispecie. In tema di operatività della delega di funzioni in azienda, rientra tra i compiti dell'amministratore della società l'organizzazione dell'impresa e la vigilanza sull'intero andamento aziendale all'interno di una struttura semplice, atteso che in tali ipotesi non sussiste la necessità di decentrare, in funzione partecipativa di professionalità ed esperienze differenziate, l'esercizio dei poteri di direzione e controllo dell'attività produttiva. (Nella specie la Corte ha ritenuto la responsabilità dell'amministratore di un supermercato con 24 dipendenti per la violazione della L. n. 283 del 1962 per avere detenuto alimenti in cattivo stato di conservazione in quanto con termine di validità già scaduto). Pres. Grassi A. Est. Ianniello A. Rel. Ianniello A. Imp. Mastromartino. P.M. Passacantando G. (Conf.), (Rigetta, Trib. Salerno, 13 Maggio 2004). CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 04/04/2006 (Ud. 22/02/2006), Sentenza n. 11909 (vedi: sentenza per esteso)

Tutela della salute - Lavoro - Danno esistenziale - Nozione - Alterazione delle abitudini di vita - Mezzi di prova - Ricorso alla presunzione - Danno biologico - Differenza. Il danno esistenziale si fonda sulla natura non meramente emotiva ed interiore (propria del cosiddetto danno morale), ma oggettivamente accertabile del pregiudizio, attraverso la prova di scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate se non si fosse verificato l'evento dannoso. Sicché, il danno esistenziale necessita imprescindibilmente delle specifiche allegazioni che solo il soggetto danneggiato può fornire, indicando le circostanze comprovanti l'alterazione delle sue abitudini di vita. L'onere probatorio può assolversi attraverso tutti i messi che l'ordinamento processuale pone a disposizione: dal deposito di documentazione alla prova testimoniale su tali circostanze di congiunti e colleghi di lavoro. Considerato peraltro che il pregiudizio attiene ad un bene immateriale, precipuo rilievo assume rispetto a questo tipo di danno la prova per presunzioni, mezzo peraltro non relegato dall’ordinamento in grado subordinato nella gerarchia delle prove, cui il giudice può far ricorso anche in via esclusiva (tra le tante Cassazione 9834/02) per la formazione del suo convincimento, purché, secondo le regole di cui all’articolo 2727 Cc venga offerta una serie concatenata di fatti noti, ossia di tutti gli elementi che puntualmente e nella fattispecie concreta (e non in astratto) descrivano: durata, gravità, conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro della operata dequalificazione, frustrazione di (precisate e ragionevoli) aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti la avvenuta lesione dell’interesse relazionale, gli effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto. Il danno biologico invece non può prescindere dall'accertamento medico legale. Presidente Carbone - Relatore La Terza. CORTE DI CASSAZIONE Sez. Unite Civile, del 24/03/2006, Sentenza n. 6572 (vedi: sentenza per esteso)

Tutela della salute - Lavoro - Danno esistenziale - Obbligo di decidere iuxta alligata e provata - Art. 115 Cpc.. Il danno esistenziale va sempre e ineluttabilmente allegato dal danneggiato. Se manca l'allegazione, il giudice non potrà ritenere verificati fatti tali da integrare danno esistenziale. Inoltre ciò di cui si da conto è, non già - come si dovrebbe -, il danno conseguenza della lesione, e cioè l’esistenza dei riflessi pregiudizievoli prodotti nella vita attraverso una negativa alterazione dello stile di vita, ma l’esistenza della lesione medesima, essendosi fatto ricorso ad una formula standardizzata, tale da potersi utilizzare in tutti i casi di dedotta dequalificazione, con conseguente rischio di risolvere dette controversie con l’apposizione di un formulario “fisso” e quindi con elusione delle specificità delle singole fattispecie. (Presidente Carbone - Relatore La Terza). CORTE DI CASSAZIONE Sez. Unite Civile, del 24/03/2006, Sentenza n. 6572 (vedi: sentenza per esteso)

Salute - Consumatori - Encefalopatia spongiforme bovina - Divieto di esportazione - Qualità sana, leale e mercantile - Dichiarazione di esportazione - Restituzioni all'esportazione - Condizione di concessione - Carne bovina - Regolamento (CEE) n. 3665/87 - Domanda nazionale di pagamento - Sanzione. L'art. 13 del regolamento della Commissione 27 novembre 1987, n. 3665, recante modalità comuni di applicazione del regime delle restituzioni all'esportazione per i prodotti agricoli, come modificato con il regolamento (CE) della Commissione 2 dicembre 1994, n. 2945, va interpretato nel senso che osta a che una carne bovina oggetto di un divieto all'esportazione previsto dal diritto comunitario a partire da un certo Stato membro verso gli altri Stati membri e gli Stati terzi possa essere considerata di "qualità sana, leale e mercantile" e che esige ai fini della concessione delle restituzioni che l'esportatore dimostri che il prodotto esportato non provenga da uno Stato membro a partire dal quale sono vietate le esportazioni, qualora l'amministrazione nazionale disponga di indizi secondo i quali il prodotto è soggetto ad un divieto all'esportazione. Fleisch-Winter CORTE DI GIUSTIZIA delle Comunità Europee, Sentenza della Corte (Prima Sezione) 10 febbraio 2006, (1° dicembre 2005), nel procedimento C-309/04

 

Salute - Medicinali per uso umano - Autorizzazione all’immissione in commercio di medicinali contenenti la sostanza enalapril - Decisione della Commissione che dispone la modifica del riassunto delle caratteristiche del prodotto - Competenza. La decisione della Commissione 21 maggio 2003, C (2003) 1752, riguardante l’immissione in commercio di medicinali per uso umano contenenti la sostanza enalapril è annullata. TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quinta Sezione) Sentenza, 31 gennaio 2006 procedimento T-273/03

 

Fauna e flora - Salute - Medicinali veterinari - Prodotti che contengono benzathine benzylpénicilline - Decisione della Commissione che ordina la sospensione delle autorizzazioni all'immissione sul mercato - Competenza. La decisione C (2003) 1404 della Commissione, del 22 aprile 2003, riguardante la sospensione delle autorizzazioni all'immissione sul mercato dei medicinali veterinari che contengono la sostanza benzathine benzylpénicilline destinati a essere diretti per via intramuscolare e/o sottocutanea agli animali produttori di prodotti alimentari è annullato. TRIBUNALE DI PRIMO GRADO, COMUNITÀ EUROPEE (QUINTA CAMERA) 31 Gennaio 2006, T-251/03

 

Salute - Agricoltura - Encefalopatie spongiformi trasmissibili - Prevenzione, controllo e eradicazione - Principio di proporzionalità e disciplina comunitaria. Dall’esame della questione proposta non è emerso nessun elemento atto ad inficiare la validità, alla luce del principio di proporzionalità, dell’art. 13, n. 1, prima frase, lett. c), del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 22 maggio 2001, n. 999, recante disposizioni per la prevenzione, il controllo e l’eradicazione di alcune encefalopatie spongiformi trasmissibili, quale modificato dal regolamento (CE) della Commissione 29 giugno 2001, n. 1326, che introduce misure transitorie per consentire il passaggio al regolamento n. 999/2001 e ne modifica gli allegati VII e XI, in combinato disposto con l’allegato VII, punti 2, lett. a), e 1, lett. a), terzo trattino, dello stesso regolamento. CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE, (Terza Sezione) 12 gennaio 2006, procedimento C-504/04 (vedi: sentenza per esteso)

 

Salute - Integratori alimentari - Somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute - condizioni. Mettere in commercio come integratori alimentari i prodotti contenenti “ creatyl” e “ creatina HPCL 99” in quantità superiore per unità ai sei grammi al giorno, accompagnandoli con un depliant pubblicitario che menziona la capacità di ovviare al ridotto tono muscolare può configurare, da un lato, la contravvenzione di cui agli artt. 8 e 23 del D. Lgs. 29 maggio 1991 n. 178, E dall’altro, i reati previsti dagli artt. 445 e 515 cod. pen., in quanto, dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’11/6/1999 della circolare ministeriale 7 giugno 1999 n. 8 contenente “ Le linee guida sugli alimenti adatti a sostenere un intenso sforzo muscolare soprattutto per gli sportivi”, può ritenersi raggiunta la consapevolezza che la creatina, superato un determinato dosaggio, si trasforma da integratore alimentare in sostanza medicinale. Pres. G. Savignano, Rel. F. Mancini. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 12 ottobre 2005 (Ud. 18/05/2005), Sentenza n. 36943
 

Tutela della salute e sicurezza - Ravvicinamento delle legislazioni - Macchine - Direttiva 98/37/CE - Compatibilità di una normativa nazionale che impone all'importatore di verificare la sicurezza di una macchina recante dichiarazione "CE" di conformità. 1) Le disposizioni della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 1998, 98/37/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine ostano all’applicazione di disposizioni nazionali ai sensi delle quali l’importatore in uno Stato membro di una macchina prodotta in un altro Stato membro, munita di marcatura «CE» e accompagnata da dichiarazione di conformità «CE», debba verificare che la detta macchina sia conforme ai requisiti essenziali di sicurezza e di tutela della salute previsti dalla direttiva medesima. 2) Le disposizioni della detta direttiva non ostano all’applicazione di disposizioni nazionali che impongano all’importatore in uno Stato membro di una macchina prodotta in un altro Stato membro di: - verificare, prima della consegna della macchina all’utente, che essa sia munita di marcatura «CE» e di dichiarazione «CE» di conformità, accompagnata da una traduzione nella o nelle lingue dello Stato membro di importazione, nonché di istruzioni per l’uso, accompagnate da una traduzione nella o nelle lingue del detto Stato; - fornire, successivamente alla consegna della macchina all’utente, ogni informazione e collaborazione utili alle autorità nazionali di controllo nell’ipotesi in cui la macchina presenti rischi per la sicurezza o per la tutela della salute, a condizione che tali requisiti non si risolvano nell’assoggettare l’importatore all’obbligo di verificare egli stesso la conformità della macchina ai requisiti essenziali di sicurezza e di tutela della salute previsti dalla direttiva medesima. 3) Gli artt. 10 CE e 249, terzo comma, CE, devono essere interpretati nel senso che essi non vietano ad uno Stato membro di ricorrere a sanzioni penali al fine di garantire utilmente il rispetto degli obblighi previsti dalla direttiva 98/37, purché le sanzioni previste siano analoghe a quelle applicabili alle violazioni del diritto nazionale simili per natura e importanza e presentino, in ogni caso, carattere di effettività, di proporzionalità e di capacità dissuasiva. CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE Sentenza dell'8 settembre 2005 procedimento C-40/04

 

Tutela salute - Danno non patrimoniale - Danno esistenziale - Risarcimento del danno Limiti. L’atipicità dell’illecito aquiliano è limitata al risarcimento del danno patrimoniale, mentre per il danno non patrimoniale non esiste un’astratta categoria di “danno esistenziale” risarcibile, poiché la risarcibilità è limitata ex art. 2059 c.c. ai soli casi previsti dalla legge, per essi intendendosi sia i casi da questa espressamente previsti sia quelli di lesione di specifici valori della persona umana garantiti dalla costituzione. Pres. V. Duva, Rel. A. Segreto. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. III, 15 luglio 2005, Sentenza n. 15022

 

Tutela salute - Responsabilità civile - Risarcimento del danno morale - Danno non patrimoniale da perdita del congiunto. In tema di danno non patrimoniale (sentenze n. 8827 e 8828 del 2003), la domanda di risarcimento del danno morale va interpretata dal giudice di merito, per verificare se la parte aveva inteso richiedere il solo risarcimento del danno morale soggettivo o anche il risarcimento di un’altra voce di danno non patrimoniale ( quale, nel caso di specie, il danno da morte del prossimo congiunto). Pres. V. Duva, Rel. A. Segreto. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. III, 15 luglio 2005, Sentenza n. 15022

 

Tutela della salute - Danni provocati dal fumo - Omissione sui rischi - Soggetto produttore di sigarette e distributore dei tabacchi - Responsabilità - Sussite - Fondamento. In tema di tutela della salute, il soggetto produttore di sigarette, nel caso ometta di informare adeguatamente il consumatore sui rischi che provoca il fumo è responsabile direttamente per la lesione del bene salute anche in mancanza di specifici obblighi di legge. E’ responsabile civilmente anche chi distribuisce i tabacchi, per lo svolgimento di attività pericolosa, in considerazione dell’esistenza del nesso di causalità tra neoplasia polmonare e fumo di sigaretta ormai accertata, secondo un criterio di seria probabilità scientifica. CORTE D’APPELLO ROMA 7 marzo 2005 sentenza n. 1015

 

Salute - Diritto di privacy - Truffa ai danni di terzi - Danno - Lesione del diritto alla riservatezza - - Art. 2043 c.c. Fattispecie: Raccolta fondi attraverso artificiosa prospettazione di inesistenti necessità terapeutiche e senza il consenso. E' configurabile come illecito, ai sensi dell'art. 2043 c.c., ed è quindi risarcibile, laddove sia provato secondo le regole ordinarie, il danno del delitto di truffa, derivante dalla lesione del diritto alla riservatezza, insito nell'art. 2 Cost. e consistente nella tutela dell'intimità della vita privata e familiare dalla conoscenza e curiosità pubblica, intimità che soltanto il relativo protagonista può decidere di pubblicizzare ovvero di difendere da ogni ingerenza -sia pure realizzata con mezzi leciti e non offensiva dell'onore, del decoro e della reputazione - che non trovi giustificazione nell'interesse pubblico alla divulgazione. (Fattispecie relativa ad un caso di truffa consumata attraverso l'apparato organizzativo complesso costituito da false associazioni assistenziali e di beneficenza e consistito nella raccolta di fondi a favore di un minore, con la artificiosa prospettazione di inesistenti necessità terapeutiche e senza il consenso dei genitori del bambino, ai quali l'imputato aveva soltanto prospettato l'organizzazione di un concerto, realmente tenutosi, ottenendo come risposta l'esplicita opposizione del padre del bambino, che lo aveva diffidato per iscritto a non assumere nessuna iniziativa). Presidente B. Oliva, Relatore N. Milo. CORTE DI CASSAZIONE Sezione Sesta Penale, 24 febbraio 2005 (ud. 4 novembre 2004, Sentenza n. 7259

 

Tutela della salute - Inquinamento - Amianto - Lavoro subordinato - Obblighi del datore di lavoro - Tutela delle condizioni di lavoro. Le Ferrovie dello Stato sono responsabili per non aver saputo prevenire e evitare i danni alla salute dei dipendenti dovuti alla prolungata esposizione all’amianto negli anni ’50 e ’60. Presidente S. Mattone, Relatore G. Celerino. CORTE DI CASSAZIONE Sezione Lavoro, del 14 gennaio 2005, Sentenza n. 644
 

Salute - Reati di doping sportivo - Somministrazione o assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive allo scopo di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti - Efficacia precettiva della L. 376/2000 - Convenzione di Strasburgo del 16/11/1989 - L. n. 522/1995. Le disposizioni della legge 376/2000 in materia di reati di doping sportivo (consistenti nella somministrazione o assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive allo scopo di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti) è immediatamente precettiva, indipendentemente dall’emanazione del decreto ministeriale di individuazione delle classi di farmaci o sostanze dopanti, potendosi fare riferimento alle indicazione contenute nella Convenzione di Strasburgo del 16 novembre 1989 di contrasto al doping resa esecutiva dalla legge 29 novembre 1995 n. 522. Presidente G. Savignano - Relatore C. Squassoni CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione III - 2 dicembre 2004 (Ud. 4/11/2004), Sentenza n. 46764

 

Salute - Responsabilità professionale - Medico curante - Reato di lesioni colpose - Fattispecie: omissione di prescrizione di esami. Sussiste il reato di lesioni colpose nei confronti del medico curante, responsabile di aver omesso di prescrivere alla paziente i periodici e necessari esami emato-chimici, che avrebbero consentito di rilevare tempestivamente l’insorgere della malattia renale, causata da un farmaco adoperato per la cura di una pregressa patologia e di cui si conoscevano i possibili effetti nefrotossici. Presidente G. D'Urso, Relatore V. Romis CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione IV - 1° dicembre 2004 (Ud. 28 ottobre 2004), Sentenza n. 46586

 

Salute - Interruzione volontaria della gravidanza dopo i primo novanta giorni - Presupposti. Sulle condizioni che rendono legittima l’interruzione volontaria della gravidanza dopo i primo novanta giorni: occorre non solo che siano accertati processi patologici che determinino un grave pericolo per la salute fisica psichica della donna, ma anche che non sussista possibilità di vita autonoma del feto. Presidente V. Onida - Relatore F. Bile. CORTE COSTITUZIONALE del 26/11/2004, Sentenza n. 366

 

Salute - Responsabilità professionale per omicidio colposo - Sussiste - Responsabilità complessa (medico curante - medico in servizio - radiologo) Diagnosi estremamente generica - Ritardo nell'esecuzione dell'intervento chirurgico. Sussiste la responsabilità di omicidio colposo sia per il medico che ha eseguito l'endoscopia, sia per il medico curante che, chiamato dalla paziente dopo l'esame diagnostico, non ha preso in debita considerazione i sintomi propri della perforazione esofagea, nonché per il medico in servizio presso il dipartimento di endoscopia digestiva - dove la paziente nel frattempo era stata ricoverata - per aver formulato una diagnosi di ingresso estremamente generica e del radiologo per aver redatto un referto incompleto. Fattispecie: è stato processualmente accertato che la morte della paziente in seguito alla perforazione esofagea, era attribuibile ad una iniziale lesione cagionata da un esame endoscopico, ed è stata determinata dalle complicazioni conseguenti al ritardo nell'esecuzione dell'intervento chirurgico. Presidente G. D'Urso - Relatore M. Battisti. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sezione IV - 5 novembre 2004, (Ud. 4/2/2004), Sentenza n. 43210
 

Industrie insalubri - Art. 216 T.U. leggi sanitarie - Prescrizione di distanza dalle abitazioni - Insediamenti abitativi - Configurabilità quale centro abitato - Necessità - Esclusione. L’art. 216 del Testo unico delle Leggi sanitarie (R.D. 1265/1934), nel prescrivere che le industrie insalubri di prima classe debbono essere “tenute lontano dalle abitazioni” (fatta salva la possibilità di adottare specifiche cautele), non opera alcun riferimento alla diversa e più specifica nozione di centro abitato, con la conseguenza che esso è applicabile tutte le volte che l’attività venga a coesistere con insediamenti abitativi, a prescindere dunque se questi configurino o meno un centro abitato in senso proprio. Pres. Petruzzelli, Est. Potenza - T.S. (Avv.ti Lai e De Franco) c. Comune di Siena (Avv. Pisillo) e A.S.L. 7 Siena (Avv. Garzia) - T.A.R. TOSCANA, Sez. II - 8 ottobre 2004, n. 4345

 

Salute - Consenso informato - Informativa completa al paziente - Obbligo - Sussiste - Risarcimento del danno esistenziale - Legittimità. E’ compito della struttura sanitaria provare l’espletamento della prestazione informativa nei confronti del paziente in ordine ai rischi e alle possibili complicazioni dell’intervento. Il mancato o incompleto adempimento, incidendo in via diretta sul diritto del paziente all’autodeterminazione in ordine alle scelte riguardanti la propria salute, obbliga i sanitari a risarcire il danno esistenziale. G. U. Simone - M. c. U.L.S.S. 13. TRIBUNALE DI VENEZIA sez. III, 4 ottobre 2004

 

Salute - Sostanze e preparati pericolosi - Prodotti siccativi contenenti composti del piombo tossici per la riproduzione - Direttiva 76/769/CE - Immissione sul mercato per la vendita - Divieto. Le disposizioni del diritto comunitario relative alle restrizioni in materia di immissione sul mercato di sostanze e preparati pericolosi ed in particolare le disposizioni della direttiva del Consiglio 27 luglio 1976, 76/769/CEE, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative alle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 dicembre 1994, 94/60/CE, vietano l’immissione sul mercato per la vendita al pubblico dei prodotti siccativi contenenti composti del piombo classificati come tossici per la riproduzione. CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, Sez. V - Sentenza 16 settembre 2004, Causa C-404/03

 

Inquinamento - Diritto alla salute - Industria insalubre - Attività di autocarrozzeria - Esercizio dell’industria insalubre di 1° classe di carrozzeria esercitata sotto l’abitazione - Destinazione di uso dei locali e degli edifici - Necessità - Urbanistica - Attestato di idoneità tecnico-sanitaria dei locali - La diversa destinazione urbanistica dei locali vizia irrimediabilmente i provvedimenti autorizzatori.  L’art. 216 Del R. D. n. 1265/1934, tuttora in vigore, che pur in un’epoca di scarsa disciplina urbanistica già ne intravedeva l’importanza, prescrivendo che le industrie insalubri di prima classe dovessero essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni; per essere permesse nell’abitato il titolare, che l’esercitasse dovesse provare che per l’introduzione di nuovi metodi o speciali cautele il loro esercizio non arrecasse nocumento alla salute dei vicini. Prescrizione che deve essere ora evidentemente coordinata con le destinazione di uso dei locali e degli edifici, come si desume dall’art. 3, 7° comma, L. 25.8.1991 n. 287, che sebbene dettato per l’insediamento degli esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande sottintende un principio di carattere generale valevole per tutti casi in cui vi sia comunque uso del territorio. Pres. Iannotta Est. Cerreto - Melis (avv.to Comegna) c. Comune di Roma e altri (avv. Brigato) (Conferma, TAR Lazio, sez. 2°, n. 1656 9.3.2000). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 7 Settembre 2004 (Ud. 4 maggio 2004), Sentenza n. 5854 (vedi: sentenza per esteso)

 

Tutela della salute - Conservanti non dichiarati in etichetta - Concentrazione di acido sorbico in quantità inidonea alla conservazione dell’intero prodotto - Rilevanza penale - Esclusione. L’omessa indicazione nell’etichetta dell’utilizzo di acido sorbico come ingrediente della crema di farcitura a sua volta indicata come ingrediente del prodotto (nella specie: fagottini) non è in sé fattispecie penalmente rilevante, non potendosi concretizzarsi l’ipotesi di predisposizioni di prodotto qualitativamente diverso da quello indicato in etichetta. In quanto la concentrazione di acido sorbico, nella quantità rilevata, non era idonea alla conservazione dell’intero prodotto, e quindi non può dirsi si essere stato posto in vendita un prodotto soggetto all’azione di conservanti non dichiarati. Est. Valletta. TRIBUNALE DI PESCARA 1° luglio 2004

 

Industrie insalubri - Art. 216 T.U.L.S. - Provvedimenti repressivi - Previo accertamento della sussistenza di situazione di pericolo per la salute pubblica - Necessità. La disposizione di cui all’art. 216 TULS, nel contesto normativo generale di settore, prevede che le attività insalubri siano sottoposte a semplice comunicazione, con la conseguenza che gli eventuali provvedimenti repressivi devono assumersi previo concreto accertamento della sussistenza di effettiva situazione di pericolo per la salute pubblica. Pres. Elefante, Est. D’Ottavi - Van Der Linden (Avv.ti Lia e De Bernardinis) c. Comune di San Piero a Sieve (n.c.), A.R.P.A.T. (n.c.), Azienda U.S.L. 10 di Firenze (n.c.) e Robermap s.r.l. (Avv.ti Salimbeni, Pozzolini e D’Amelio) - (Conferma T.A.R. Toscana, Sez.II, n.1777/00) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 7 aprile 2004, n. 1964

 

Salute - Tutela del diritto alla salute - Prestazioni concernenti di diritti civili e sociali - La definizione dei livelli essenziali di assistenza - L. n. 241/1990 - D.P.C.M. 29/11/2001 - Improcedibilità dell’appello. Il D.P.C.M. 29 novembre 2001, recante la definizione dei livelli essenziali di assistenza è atto generale, come tale sottratto all’obbligo di motivazione, ai sensi dell’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241. I livelli essenziali delle prestazioni concernenti di diritti civili e sociali, di cui all’art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione, tra cui devono ricomprendersi anche i livelli essenziali di assistenza (quale criteri per la concreta individuazione delle soglie minime di prestazione idonee a garantire, nel rispetto dei fondamentali principi di uguaglianza e solidarietà, la tutela del diritto costituzionalmente garantita alla salute, ex art. 32 della Costituzione) non costituiscono una “materia” in senso stretto, ai fini del riparto delle competenze legislative fra Stato e Regioni, rappresentando piuttosto “una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni gratuite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle: essi devono essere pertanto fissati con legge. E’ improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il gravame avverso il D.P.C.M. 29 novembre 2001, essendo nelle more intervenuto l’articolo 54 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003), che ha sussulto a livello di fonte primaria (legislativa) i livelli essenziali di assistenza, contenuti nella predetta fonte secondaria. Pres. TROTTA - Est. SALTELLI - TARANTINI (avv.ti G.e G.Pellegrino) c. PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI ed altri (Avvocatura Generale dello Stato) - (Dichiarazione d'improcedibilità dell'appello - Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sezione terza ter, n. 6252 del 10 luglio 2002). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 4 febbraio 2004, sentenza n. 398

 

Salute - Consumatore - Produzione, commercio e consumo - Prodotti alimentari - Reato previsto dall'art. 5 lett. b) della legge n. 283 del 1962 - Detenzione di alimenti in cattivo stato di conservazione - Natura - Reato di danno o di pericolo - Contrasto di giurisprudenza. In tema di disciplina degli alimenti, il reato di cui all'art. 5, lett. b), della legge 30 aprile 1962 n. 283, detenzione per la vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, attesa la natura di reato di pericolo presunto, non esige per la sua configurabilità un previo accertamento sulla commestibilità dell'alimento, nè il verificarsi di un danno per la salute del consumatore. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III - 27.1.2004, Sent. n. 2649

 

Rifiuti - Corte di Giustizia della Comunità Europea - la protezione della salute umana e dell'ambiente - la nozione di rifiuto - gestione dei rifiuti . In tema di gestione dei rifiuti deve intendersi per rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto di cui il produttore o il detentore si disfi, o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi, senza che assuma rilievo la circostanza che ciò avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto o tramite il suo recupero. E ciò sia per l'interpretazione della nozione legislativa nazionale, di cui al decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, sia per le affermazioni della Corte di Giustizia della Comunità Europea, le cui decisioni sono immediatamente e direttamente applicabili in ambito nazionale, secondo cui la nozione di rifiuto non deve essere intesa nel senso di escludere le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica, atteso che la protezione della salute umana e dell'ambiente verrebbe ad essere compromessa qualora l'applicazione delle direttive comunitarie in materia fosse fatta dipendere dall'intenzione del detentore di escludere o meno una riutilizzazione economica da parte di altri delle sostanza o degli oggetti di cui ci si disfa (o si sia deciso o si abbia l'obbligo di disfarsi). Cassazione n. 2125 del 17/01/2003. Tribunale di Grosseto del 12/06/2003, sentenza n. 571 (vedi: sentenza per esteso)

 

Salute - Consumatori - Campionamento di alimenti o bevande e relative analisi - Avviso alle persone interessate dell’inizio delle operazioni - Presupposti - Assistenza di un consulente tecnico - Fattispecie: pane. Nel campionamento di alimenti o bevande e relative analisi, è necessario l’avviso alle persone interessate dell’inizio delle operazioni, eccezione fatta nel caso in cui l’analisi riguardi campioni prelevati da sostanze alimentari deteriorabili, in questi casi, infatti, non è necessario alcun avviso. In tutti gli altri casi, gli interessati hanno la possibilità di chiedere la revisione delle analisi e partecipare al nuovo esame delle sostanze, anche attraverso l’assistenza di un consulente tecnico. (Fattispecie: omesso avviso delle analisi su un campione di pane, in quanto lo stesso non è oggettivamente deteriorabile in uno spazio di tempo ragionevolmente breve, così come confermato dalla esclusione della stessa dall’elenco delle sostanze alimentari deteriorabili di cui al D.M. 16.12.1993). Conforme: Cass. Sez. III, 20 marzo 1997, n. 208455; Cass. Sez. III, 13.11.1997 n. 209723. Pres. Toriello - Est. Grillo - P.M. Albano Imp. Busacca. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, (Ud. 19/03/2003) - Dep. 15/05/2003, sentenza n. 21286

 

Salute - Consumatori - Alimenti e bevande - Vendita di carne contaminate da salmonella - Reato di cui all’art. 5 lett. d) L. 283/1962 - Configurabilità - art. 5 lett. c) L. 283/1962. Rientra nella previsione di cui all’art. 5 lett. d) n. 283 del 1962 la vendita di carni contaminate da salmonella - per il quale «è vietato… vendere… o comunque distribuire per il consumo di sostanze alimentari… insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive…» - e non in quella di cui alla lett. c) della stessa norma che vieta la vendita di sostanze alimentari con cariche macrobiotiche superiori «ai limiti che saranno stabiliti dal regolamento di esecuzione o ordinanze ministeriali», in quanto la previsione di cui all’art. 5 lett. d) rappresenta una norma di chiusura con la quale il legislatore ricomprende le sostanze «comunque» nocive, non inquadrabili nelle ipotesi specifiche contemplate nella stessa lettera nonché in quelle precedenti, nell’ambito di operatività dell’art. 5 succitato. Ne consegue che l’eventuale osservanza dei limiti di cui all’art. 5 lett. c) ed a maggior ragione l’omessa previsione degli stessi non equivale ad un giudizio di assoluta innocuità del prodotto alimentare che, invece può rivelarsi «comunque» nocivo nella previsione di cui all’art. 5 lett. d) n. 283 del 1962. Pres. Svignano - Est. Novarese - Imp. Scotenna - P.M. Iacoviello (concl. Conf.) CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 7 aprile 2003, (UD. 12/02/2003). Sentenza n. 15998

Salute - Consumatori - Alimenti e bevande - Prelievo e analisi di campioni - Violazione delle norme relative a dette operazioni - Utilizzabilità nel giudizio penale - Criteri - Fattispecie in tema di alimenti con cariche microbiche superiori ai limiti prestabiliti - L. 283/1962, art. 5. Le norme che disciplinano il prelievo e le analisi dei campioni (fatta eccezione per l’obbligo di notifica dell’interessato), pur non integrando la fattispecie penale (nella specie il superamento dei limiti coliformi), non possono essere ignorate dal giudice ove in concreto la loro violazione abbia determinato una situazione abnorme che incida sulla rappresentatività dei lavori riscontrati. (In applicazione di tale principi la Corte ha escluso che nel caso in esame l’esecuzione delle analisi oltre il termine ordinario di 24 ore potesse comportare la loro inutilizzabilità in giudizio, in considerazione della non avvenuta scadenza del prodotto confezionato e della sua conservazione alla temperatura dovuta. Pres. Toriello - Est. Postiglione - Imp. De Santis - P.M. Favalli (concl. Conf.). CORTE DI CASSAZIONE penale, Sez. III, 7 aprile 2003,(UD. 12/02/2003). Sentenza n. 18317

 

Alimenti e bevande - Prodotti ittici - Commercializzazione di prodotti nocivi - Precauzione da adottare da parte dei commercianti pur in presenza di controlli pubblici finalizzati a garantire l’igienicità delle operazioni di cattura e successiva commercializzazione - L. 283/1962 art. 5. In tema di disciplina igienica degli alimenti, con particolari riguardo ai prodotti della pesca, finalizzati a garantire l’igienicità delle operazioni di cattura e di successiva commercializzazione dei suddetti prodotti, non sottrae i commercianti al generale dovere di porre in essere ogni opportuna precauzione idonea ad evitare l’immissione sul mercato di prodotti dannosi o, comunque, non conformi alla legge. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che correttamente fosse stata affermata la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 5 lett. d) L. 283/1962, per avere egli detenuto per la vendita pesci della specie era, anche per quanto a conoscenza del medesimo imputato, particolarmente soggetta. Pres. Torriello - Est. Fiale - Imp. Interlandi - P.M. Izzo (concl. Conf.). CORTE DI CASSAZIONE penale, Sez. III, 1 aprile 2003 (UD. 07/02/2003), Sentenza n. 15185

 

Salute - Colpa professionale medica - Lesioni colpose - Nesso di causalità - Leggi statistiche - Falso in atto pubblico per omissione - Cartella clinica - Condizioni. Come per tutti gli altri elementi della fattispecie, anche il nesso causale può essere provato, secondo il meccanismo di cui all’art. 192 c. 2 c.p.p., sulla base di indizi, in quanto gravi, precisi e concordanti. La ricostruzione del nesso di causalità, pertanto, deve essere operata in base a tutti gli elementi in concreto disponibili, dei quali il dato statistico è solo uno dei tanti: sicchè la modesta probabilità di verificazione di un evento secondo determinate modalità non esclude che questo, in concreto, si sia realizzato se in tal senso convergono tutti gli elementi. In tema di colpa medica è applicabile anche in sede penale il disposto di cui all’art. 2236 cod. civ. in ordine al limite della colpa grave, ma solo con riferimento alla imperizia. È configurabile il falso anche nel caso della omessa indicazione di una circostanza se questa doveva essere indicata nell’atto. - Giudice De Marco TRIBUNALE DI MESSINA in composizione monocratica sezione II - sentenza 31/3/2003

 

Acqua - Tutela dall'inquinamento - Inquinamento delle acque e sostanze cancerogene - D.L.vo 152/1999 - Indicazioni dell’agenzia internazionale di ricerca sul cancro (IARC) - D. L.vo n. 258/2000. In tema di inquinamento delle acque e sostanze cancerogene, a seguito delle modifiche apportate al punto 18 della tabella 5 dell’allegato 5 del D.L.vo 152/1999 ad opera del D. L.vo n. 258/2000, sono ora incluse tra le sostanze della medesima tabella 5 esclusivamente quelle “di cui, secondo le indicazioni dell’agenzia internazionale di ricerca sul cancro (IARC), è provato il potere cancerogeno”; occorre dunque che sussistano prove scientifiche non della probabilità, bensì della sicura potenzialità cancerogena della sostanza volta per volta, e detta prova, non può essere fondata su cognizioni personali del giudice o su una perizia dallo stesso disposta, bensì su dati certi, conoscibili adoperando la diligenza dell’uomo medio, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche (Cass. Pen. Sez. III, 1999, n.13694). - Pres. Vitalone - Est. Lombardi - Imp. Grilli CASSAZIONE PENALE, sez. III, 17 marzo 2003, (C.C. 04.02.2003), n. 12361

 

Acque - Tutela dall'inquinamento -- scarico (aldeide formica) - superamento dei limiti tabellari - potenzialità cancerogena non dimostrata - ipotesi criminosa ex art. 59, c. 5 D.L.vo n.152/1999 - non sussiste - illecito amministrativo ex art. 54 D.L.vo n.152/1999 - sussiste. Allorché il superamento, in uno scarico, dei limiti stabiliti dalla tabella 3 del medesimo allegato non riguardi sostanze di cui sia scientificamente dimostrata la potenzialità cancerogena, il fatto non integra l’ipotesi criminosa di cui all’art. 59, comma 5 del D.L.vo n.152/1999, bensì il solo illecito amministrativo di cui all’art. 54. (In specie è stata rilevata una concentrazione di aldeide formica, nelle acque scaricate prima di un successivo procedimento di diluizione vietato ai sensi dell’art. 28, comma 5 D.L.vo n. 258/2000 superiore ai parametri fissati per le aldeidi nella tabella 3 dell’allegato 5 del D.L.vo n. 258/2000). - Pres. Vitalone - Est. Lombardi - Imp. Grilli CASSAZIONE PENALE, sez. III, 17 marzo 2003, (C.C. 04.02.2003), n. 12361

 

La definizione di: danno morale, danno biologico, danno esistenziale - la duplicazioni risarcitorie - il”nomen iuris”” del danno - “danno esistenziale da inquinamento ambientale”. La distinzione tra il danno morale (che considera il dolore e le sofferenze, cd “pretium doloris”, ) , il danno biologico (lesione dell’integra' psico-fisica, suscettibile di accertamento medico-legale e risarcibile indipendentemente dalla capacita' di produzione di reddito del danneggiato ) ed il danno esistenziale (lesione della personalita' del soggetto nel suo modo di essere sia personale che sociale, che si sostanzia nella alterazione apprezzabile della qualita' della vita consistente in “un agire altrimenti” o in un “non poter piu' fare come prima”) In particolare il danno morale attiene alla sfera esclusivamente personale del danneggiato ed alla sua sensibilita' emotiva , mentre il danno esistenziale fa anche riferimento all’ambiente esterno ed al modo di rapportarsi con esso del soggetto leso, nell’estrinsecazione della propria personalita' che viene impoverita o lesa. Pertanto, in linea di principio, le tre voci risarcitorie potranno essere tutte individuabili , distintamente e cumulativamente, e potranno dar luogo, ciascuna, ad autonomo risarcimento Occorre, tuttavia, evitare duplicazioni risarcitorie e sara', quindi, compito del giudicante specificare eventuali accorpamenti di danno sotto la voce del danno non patrimoniale o del danno biologico, che potrebbero anche essere liquidati comprensivi del cd. danno esistenziale. Non assume particolare rilievo il”nomen iuris”” del danno, individuato dal Tribunale, in senso positivo, nella tutela della serenita' domestica e che puo' definirsi quale “danno esistenziale da inquinamento ambientale”. Corte di Appello Milano, Sez. II Civ., 14 febbraio 2003 - massima commentata.

 

La prova della lesione di un diritto costituzionale e' anche prova del danno - il diritto al risarcimento del danno - la necessita' di prova specifica. Un orientamento, seguito anche dalla S.C. , ritiene che la prova della lesione di un diritto costituzionale e' anche prova del danno, nel senso che la lesione e' “in re ipsa” (CASS., 3.4.2001,n. 4881, CASS, 10.5.2001,n. 6507). Occorre, tuttavia, accertare se da tale enunciazione o, comunque, in base ai principi generali del nostro ordinamento, ne discende che l’accertata violazione del diritto fondamentale attribuisca il diritto al risarcimento del danno, anche senza necessita' di prova specifica. Nondimeno, la prova dell’esistenza della lesione non significa che tale prova sia sufficiente ai fini del risarcimento, in quanto deve ritenersi necessaria la prova ulteriore dell’entita' del danno, cosi' come affermato dalla stessa Corte Costituzionale, in relazione al danno biologico da morte (cfr Corte Costt. 27.10.1994,n. 372)Infatti, sottolinea la Consulta , la “…prova della lesione e' , in re ipsa, prova dell’esistenza del danno, non gia' che questa prova sia sufficiente ai fini del risarcimento”, in quanto “e' sempre necessaria la prova ulteriore dell’entita' del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall’art. 1223 cod.civ., costituito dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale), alla quale il risarcimento deve essere (equitativamente) commisurato” (Corte Cost. 27.10.1994,n. 372). Si ritiene che la prova, per le considerazioni dianzi espresse, possa essere agevolata o meno rigorosa, anche mediante il ricorso, in base al prudente apprezzamento del giudicante, alle presunzioni, ai “fatti notori”, alle massime di “comune esperienza”, facendo ricorso ai principi generali in tema di prova, ma senza esonerare il danneggiante dall’onere di allegare i fatti e gli elementi concreti posti a fondamento della richiesta risarcitoria. Corte di Appello Milano, Sez. II Civ., 14 febbraio 2003

La prova del danno attraverso il ricorso alle cd. presunzioni semplici - aspetti cd “interni” della lesione esistenziale - determinazione del “quantum” - criteri - i parametri di valutazione omogenei. Il ricorso alle cd. presunzioni semplici, che dovranno tenere conto non solamente degli aspetti cd “interni” della lesione esistenziale, ma anche e soprattutto delle ripercussioni nell’ambito cd “esterno” .Il criterio risarcitorio, non puo', allo stato, che essere equitativo, ex art. 1226 cod.civ., stante le difficolta' intuitive di pervenire, stante la particolare natura del danno, ad una sua precisa quantificazione. Tuttavia, ai fini della determinazione del “quantum”, occorre individuare , per evitare possibili liquidazioni arbitrarie, parametri di valutazione omogenei che tengano conto di tutti gli elementi della fattispecie;pertanto, a fini esemplificativi, si dovra' tenere conto : a) della personalita' del soggetto leso, b) dell’interesse violato; c) dell’ attivita' svolte dalla vittima; d) delle ripercussioni del fatto illecito sulla personalita' del soggetto leso, e) delle alterazioni, provocate dal fatto illecito, anche nell’ambito familiare e sociale del danneggiato. Corte di Appello Milano, Sez. II Civ., 14 febbraio 2003

Il danno biologico in senso stretto - nozione - la tutela in base al precetto costituzionale violato. Il danno e' rappresentato dalle ripercussioni sulle attivita' non reddituali dei danneggiati,ed, in particolare dalla alterazione delle normali abitudini di vita e non va qualificato, come gia' evidenziato, come danno biologico in senso stretto , in quanto non comporta un’alterazione dello stato di salute o l’insorgere di una malattia , ma consiste in un’alterazione dei normali ritmi di vita che si riflettono sulla personalita' del soggetto danneggiato, incidendo negativamente, come riconosciuto dal Tribunale nella fattispecie, sulle normali attivita' quotidiane e provocando uno stato di malessere diffuso che genera , cumulativamente o alternativamente, ansia , irritazione, difficolta' a far fronte alle normali occupazioni, depressione, pur non cagionando in una vera e propria patologia sotto il profilo medico-legale La tutela deve, quindi ammettersi, in base al precetto costituzionale violato, indipendentemente dalla prova di perdite patrimoniali, in quanto oggetto del risarcimento e' la diminuzione o privazioni di valori della persona inerenti al bene protetto (per tale principio in materia di danno biologico da morte cfr Corte Costt. 27.10.1994,n. 372). Trattandosi di danno “evento” , conseguente alla accertata lesione di un diritto fondamentale dell’individuo ne va riconosciuta “la tutela risarcitoria (minima) a seguito della violazione del diritto costituzionalmente dichiarato fondamentale” (cfr in tema di danno biologico, Corte Cost., 14.7.1986,n. 184). Corte di Appello Milano, Sez. II Civ., 14 febbraio 2003

 

La liquidazione del danno non patrimoniale - accertamento - in merito - Corte Costituzionale - principio generale del “neminem laedere” - “danno esistenziale da inquinamento ambientale”. Si ha verifica un danno non reddituale, quale conseguenza di un evento lesivo che non incide direttamente sulla capacita' di guadagno o patrimoniale dei soggetti lesi, ma che ha ripercussione sui rapporti extra -lavorativi e piu' specificamente familiari, di intrattenimento o svago, sociali, e culturali. In base al combinato disposto degli art. 185 c.p. e 2059 c.c. si dovrebbe accertare, la sussistenza di un fatto costituente anche astrattamente reato, al fine di poter liquidare il danno non patrimoniale. Estendendo il metodo sistematico interpretativo ricavabile dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 184 del 14.7.1986 in tema di danno biologico che, in estrema sintesi, esclude limitazioni risarcitorie a diritti i costituzionalmente garantiti , nel caso in cui, come nella fattispecie, si accerti la lesione del diritto costituzionale alla libera estrinsecazione della propria personalita', non sussistono ostacoli alla risarcibilita' del danno esistenziale da inquinamento acustico anche in mancanza di prova di fatto costituente reato. Si legge, in tale pronuncia che “ se e' vero che l’art. 32 Cost. tutela la salute come diritto fondamentale del privato e se e' vero che tale diritto e' primario e pienamente operante anche nei rapporti tra privati , allo stesso modo come non sono configurabili limiti alla risarcibilita' del danno biologico, quali quelli posti dall’art. 2059 c.c.,non e' ipotizzabile limite alla risarcibilita' dello stesso danno, per se' considerato, ex artt. 2043 c.c. Il risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. e' sanzione esecutiva del precetto primario: ed e' la minima (a parte il risarcimento ex art. 2058 c.c.) delle sanzioni che l’ordinamento appresta per la tutela di un interesse. Tale importante principio , evidenziato dalla Consulta in relazione agli articoli 32 e Cost. e 2043 cod.civ.. risulta applicabile anche in tutti gli altri casi di lesioni di interessi o valori costituzionalmente garantiti, estendendo la pronuncia della Corte Costituzionale, stante l’ampiezza dei principi enunciati, ad ogni lesione di diritti fondamentali, con una lettura costituzionale dell’art. 2043 cod. civ. , nel senso che tale in tale norma devono trovare integrale tutela i diritti fondamentali della persona violati. La stessa S.C. ha riconosciuto che “il citato art. 2043 cod. civ., correlato agli artt. 2 e segg. della Costituzione, va cosi' necessariamente esteso fino a ricomprendere il risarcimento dei danni non solo in senso stretto patrimoniali, ma di tutti i danni che almeno potenzialmente ostacolano le attivita' realizzatrici della persona umana. Per cui, quindi, essendo le norme costituzionali di garanzia dei diritti fondamentali della persona pienamente e direttamente operanti, anche nei rapporti tra privati ( cd “drittwirkung”)- non e' ipotizzabile limite alla risarcibilita' della relativa lesione, per se' considerata (Corte Cost., n. 184/86) , ai sensi dell’art. 2043 cod. civ.” Cassazione, 7.6.2000, n.7713. Il precetto costituzionale integra la norma di garanzia di cui all’art. 2043 cod.civ. e consente di fondare un sistema completo di garanzia del principio generale del “neminem laedere”, che comprende anche la tutela del danno esistenziale, inteso quale violazione di un diritto fondamentale dell’individuo , tutelabile, senza limitazioni risarcitorie, ex art 2043 c.c. che , interpretato ed applicato alla luce dell’art. 2 della Costituzione va esteso fino a ricomprendere la risarcibilita' non solamente dei danni patrimoniali, ma anche di tutti gli altri danni connessi alla mancata realizzazione della persona umana, indipendentemente dalla loro qualificazione giuridica (patrimoniale o non patrimoniale). Corte di Appello Milano, Sez. II Civ., 14 febbraio 2003 - massima commentata.

 

Ogni lesione, di contenuto apprezzabile, di un diritto costituzionalmente protetto non puo', soffrire limitazioni risarcitorie - art. 2059 cod.civ. e il limite della risarcibilita' - precetto costituzionale. Ogni lesione, di contenuto apprezzabile, di un diritto costituzionalmente protetto non puo', soffrire limitazioni risarcitorie da parte del legislatore ordinario. Cio' vale anche, in particolare, in relazione all’art. 2059 cod.civ. che limita la risarcibilita' del danno non patrimoniale ai soli casi di fatto costituente anche reato. Il principio ispiratore della Consulta (Corte Cost., n. 184/86) e' individuabile nella tutela integrale di tutti i diritti della personalita', intesi anche come diritti dell’individuo che, pertanto , vanno risarciti senza limitazione alcuna. La tutela della persona umana costituisce, peraltro, principio informatore di tutte le Costituzioni europee e di quella Americana, la cui centralita' di tutela e' individuabile anche nella nostra Costituzione negli artt. 2, 3 e 32 e non puo' subire limitazioni e condizionamenti da parte del legislatore ordinario. Il precetto costituzionale, improntato alla piene tutela della persona, prevale, quindi, su eventuali limitazioni risarcitorie imposte dal legislatore ordinario. Corte di Appello Milano, Sez. II Civ., 14 febbraio 2003 - massima commentata.
 

Inquinamento acustico - il danno esistenziale nozione - la lesione della personalita' del soggetto - nesso di causalita' tra comportamento lesivo e danno - probabile nesso eziologico tra immissioni rumorose eccedenti la normale tollerabilita' e tentativo di suicidio. Qualunque alterazione, purche' di valenza apprezzabile, di diritti che costituiscono ostacolo alla realizzazione della liberta' individuale va, quindi, tutelata dall’ordinamento. Non e' soltanto il diritto alla serenita' domestica, nel ristretto ambito della propria abitazione, ad essere violato, ma anche la menomazione delle altre attivita' di svago, sociali e culturali che solitamente si svolgono al di fuori della abitazione familiare e costituiscono corollario alla libera estrinsecazione della personalita' che puo' essere lesa sia nell’ambito familiare e privato, sia esterno, cioe' sociale, culturale, ricreativo, senza che insorga necessariamente una vera e propria malattia psichica. Il danno esistenziale e', quindi, individuabile, ove sia accertata una modificazioni peggiorative, purche', come gia' evidenziato, apprezzabile per intensita' e qualita', nella sfera personale del soggetto leso, tra cui va fatta rientrare la alterazione del diritto alla “normale qualita' della vita” e/o “alla libera estrinsecazione della personalita'”. E’, infatti, la lesione della personalita' del soggetto che e' suscettibile di tutela, indipendentemente dallo specifico interesse leso che puo' anche non essere di diretta rilevanza costituzionale (si pensi ad esempio al danno esistenziale da vacanza rovinata), ma va tutelato ogni qual volta configuri alterazione della manifestazione della personalita', tutelata costituzionalmente ex art. 2 Cost.. Occorre anche che sussista il nesso di causalita' tra comportamento lesivo e danno che deve tradursi , oltre che nella consecutivita' temporale tra comportamento lesivo e danno, anche in un giudizio di proporzionalita' o adeguatezza tra il fatto illecito e le conseguenze dannose. (Nella specie il Tribunale ha ritenuto che non vi sia prova certa e dimostrabile con criterio medico legale tra la rumorosita' ambientale e l’episodio di autolesionismo (tentato suicidio) posto in essere. Nella documentazione clinica dell’Ospedale San Paolo, ove l’appellata e' stata ricoverata si legge che “ha sempre goduto di buona salute, da un mese e' in situazione stressante per cui non puo' dormire, sembra che per riuscire a dormire abbia ingoiato 18 capsule di Tavor ed un flacone di Novalgina” (doc. 4), riferendo allo psichiatra dell’Ospedale San Paolo che il Tavor le era stato prescritto dal medico curante nel settembre del 1992 “perche' da quel periodo in poi una fabbrica proprio vicino all’abitazione della paziente inizio' a lavorare giorno e notte impedendo il riposo” (doc. 4). Deve pertanto ritenersi probabile il nesso eziologico tra tentato suicidio e l’eccessiva rumorosita', anche se agevolato dalle particolari condizioni psichiche del paziente, pur non potendosi ritenere, in base ad una valutazione prognostica fondata sul”id quod plerunque accidit”, quale conseguenza logica e casualmente collegata alle immissioni rumorose il tentativo di suicidio della vittima. (Occorre, quindi, accertare caso per caso se l’evento (in specie, tentato suicidio), sia astrattamente idoneo, ancorche' collegabile, in rapporto di connessione causale con le immissioni rumorose eccedenti la normale tollerabilita', e possa essere posto a carico del danneggiante, a titolo di responsabilita'). Nel caso di specie non è stata riconosciuta la sussistenza di tali condizioni in quanto deve ritenersi, in base al senso comune, che la percezione sensoriale della l’eccessiva rumorosita', non possa cagionare, in termini generali, un impatto emotivo tale da causare nella vittima una alterazione psichica talmente intensa da spingerla al suicidio. Il Tribunale, tuttavia, si è limitato al riconoscimento “tout court” della risarcibilita' della lesione del diritto alla serenita' familiare.). Corte di Appello Milano, Sez. II Civ., 14 febbraio 2003 - massima commentata.

 

Salute - Consumatori - Alimenti e bevande - Analisi dei campioni - Comunicazione del risultato delle analisi - Termine di cui all’art. 42 l.n. 580/1967 - Natura - Termine ordinatorio - Inosservanza - Improcedibilità dell’azione penale - Esclusione. Per la comunicazione all’interessato del risultato della prima analisi, l’inosservanza del termine prescritto dall’art. 42 l. 4 luglio 1967, n. 580, sebbene definito perentorio dalla legge stessa, ha natura di termine ordinatorio, pertanto, l’inosservanza non determina la improcedibilità dell’azione penale, ma esclusivamente lo spostamento del termine stabilito per la istanza di revisione. (Nello stesso senso: Cass. Sez. III, 14 luglio 1998, Sinito; Sez. VI, 1 luglio 1977, Colombo, ivi, n. 136752; Cass. Sez. VI, 21 gennaio 1975, Bacchini; Cass. Sez. VI, 28 febbraio 1972, De Luca,) Pres. Vitalone - Rel. Franco - P.M. Geraci (concl. diff.) - Scollo (225289). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III - Ud. 31 gennaio 2003 (dep. 20 maggio 2003), n. 22035

 

Diniego di autorizzazione alla produzione in Italia e commercializzazione all’estero di miscele di olio di oliva e di olio di semi - pericolo per il consumatore - tutela della salute e del consumatore - la disciplina comunitaria e i principi costituzionali. La disparità di trattamento tra imprese nazionali e imprese comunitarie, seppure è irrilevante per il diritto comunitario, non lo è per il diritto costituzionale italiano (Corte Cost., n.443 del 30.12.1997). La disposizione interna è stata quindi dichiarata incostituzionale, tenuto conto che deroghe al principio di libera circolazione dei beni possono essere giustificate, ai sensi dell’art.30 del Trattato U.E. sulla base di specificati motivi di interesse pubblico, tra i quali assumono preminente rilievo, in materia di circolazione di prodotti alimentari, la tutela della salute umana e, nell'interpretazione della giurisprudenza comunitaria, la tutela dei consumatori. (Tra tali esigenze, tuttavia, non rientra anche quella di protezione di tradizioni alimentari, su cui si fondava la norma sulla produzione della pasta). La ratio del divieto non si fonda su esigenze di tutela delle tradizioni alimentari, ma è basata proprio su uno di quei motivi di interesse pubblico (tutela della salute e del consumatore), che possono giustificare un intervento più rigoroso dei singoli stati membri. (Nella specie, dietro il parere espresso dal Ministero delle politiche agricole e richiamato nell’impugnata nota del Ministero delle finanze, Div. XI, n.4397 del 3.9.97, è stato espresso il diniego di autorizzazione alla produzione e commercializzazione all’estero di miscele di olio di oliva e di olio di semi, inoltre, si è sottolineato come l'impossibilità di procedere a controlli diretti sulla composizione delle miscele di oli costituisce un pericolo per il consumatore solo in parte evitabile con un’appropriata etichettatura, che comunque lascia irrisolto il problema di non poter verificare eventuali condotte non corrette delle imprese). Consiglio di Stato, Sez. VI - 31 gennaio 2003 - Sentenza n. 482 (vedi: sentenza per esteso)

 

La richiesta di accesso agli studi compiuti sulla sicurezza dei laboratori sotterranei e delle attività ivi svolte - la sicurezza degli impianti, delle gallerie, e le misure adottate è un interesse che trascende la tutela ambientale - la sicurezza e l’incolumità delle persone che operano all’interno dei laboratori - disciplina sulla trasparenza in materia ambientale. Sebbene il Legislatore abbia ricompreso nell’ambito delle informazioni in materia ambientale non soltanto quelle relative allo stato dei beni ambientali, ma anche quelle relative alle “attività, comprese quelle nocive,… che incidono o possono incidere negativamente sulle predette componenti ambientali” ovvero “le attività o le misure destinate a tutelarle”, nondimeno ritiene il Collegio che la richiesta di accesso agli studi compiuti sulla sicurezza dei laboratori sotterranei e delle attività ivi svolte, al fine di consentire allo stesso soggetto richiedente di poter valutare quali siano i rischi connessi allo svolgimento dell’attività di ricerca ivi svolta, esuli dall’ambito di applicazione della predetta disposizione. Il Collegio, in mancanza di informazioni da parte dell’Istituto intimato, non conosce compiutamente quale sia l’attività propriamente svolta all’interno dei laboratori sotterranei del Gran Sasso, e se vi sia una qualche tipologia di attività che non possa essere divulgata (e correlativamente non possano essere oggetto di esibizione gli eventuali progetti che la riguardano), ma in generale ritiene che la divulgazione degli studi sulla sicurezza delle strutture sotterranee, degli impianti ivi realizzati (a quanto consta, già da molto tempo) per poter svolgere l’attività di ricerca, non possa essere giustificata da ragioni ambientali che risultano adeguatamente soddisfatte attraverso l’acquisizione diretta delle informazioni su tutte le sue componenti. La sicurezza degli impianti, delle gallerie, e le misure adottate perché l’attività di ricerca non arrechi danni a terzi, è un interesse che trascende la tutela ambientale, investendo anche e soprattutto, la sicurezza e l’incolumità delle persone che operano all’interno dei laboratori. Pertanto, ritiene il Collegio, che non possa ragionevolmente fondarsi sulla disciplina sulla trasparenza in materia ambientale, la richiesta di accesso agli studi sulla sicurezza dei laboratori. Né potrebbe ritenersi legittimato l’ordine professionale in questione sulla base della disciplina comune della L. n. 241/90, non essendo istituzionalmente deputato alla cura della sicurezza né dei luoghi, né delle persone che vi operano. Il Consiglio dell’Ordine è legittimato ad agire solo per la cura di interessi collettivi e può richiedere la sola documentazione ad essa pertinente: la sicurezza dei laboratori sotterranei non rientra negli interessi della categoria, non essendo gli ingegneri, liberi professionisti, istituzionalmente deputati alla valutazione dei rischi connessi allo svolgimento dell’attività di ricerca svolta presso i laboratori dell’I.N.F.N. Ritiene il Collegio, però, che nonostante non possa ritenersi ammissibile l’accesso alle informazioni “sugli studi, progetti e dati inerenti alla sicurezza del sistema integrato dei laboratori sotterranei e delle attività ivi svolte, delle gallerie stradali e della compresenza di persone”, nondimeno attraverso l’acquisizione di tutte le altre informazioni richieste con l’istanza del 10/6/02 e relative propriamente ai beni ambientali, l’interesse del ricorrente sia sostanzialmente soddisfatto ben potendo conoscere compiutamente qual’è la condizione attuale del territorio, delle captazioni idropotabili e delle falde idriche, elementi questi che, dalla lettura degli atti, paiono particolarmente significativi per il Consiglio dell’Ordine ricorrente. La conoscenza dei dati in possesso dell’Amministrazione intimata e relativi ai suddetti elementi, può scongiurare quei rischi paventati nel ricorso, e consentire agli iscritti di poter validamente svolgere la loro attività di progettazione. In conclusione, il ricorso deve essere accolto solo in parte, disponendosi l’ordine per l’I.N.F.N. di fornire tutte le informazioni disponibili in forma scritta visiva o sonora relative alle captazioni idropotabili, alle falde idriche del Gran Sasso, allo stato delle acque, dell’aria, del suolo, della flora, della fauna e del territorio interessato, alle attività, alle misure e agli strumenti di tutela delle predette componenti ambientali. TAR LAZIO, SEZ. III TER - Sentenza 15 gennaio 2003 n. 126 (vedi: sentenza per esteso - con commento)

 

Il diritto alle informazioni in materia ambientale spetta a chiunque ne faccia richiesta senza che questi debba dimostrare il proprio interesse. Nel sistema, delineato dalla L. 7/8/90 n. 241, il diritto di accesso ai documenti amministrativi non si atteggia come una sorta di azione popolare diretta a consentire una sorta di controllo generalizzato sull’Amministrazione - giacché da un lato l’interesse che legittima ciascun soggetto all’istanza, da accertare caso per caso, deve essere personale e concreto e ricollegabile al soggetto stesso da uno specifico nesso, e dall’altro la documentazione richiesta deve essere direttamente riferibile a tale interesse oltre che individuata o ben individuabile - (C.d.S. Sez. VI 17/3/2000 n. 1414; 3/11/2000 n. 5930), si innesta la disciplina speciale, di origine comunitaria, che riguarda propriamente la libertà di accesso alle informazioni in materia di ambiente. Il D.Lgs. 24 febbraio 1997 n. 39, nel suo settore di applicazione, stravolge il sistema comune ampliando sia soggettivamente che oggettivamente l’accesso alle informazioni ambientali, ed introducendo quell’azione popolare che la giurisprudenza aveva negato in relazione alla disciplina contenuta nella L. n. 241/90. Il legislatore, nel prevedere che il diritto alle informazioni in materia ambientale spetta a chiunque ne faccia richiesta senza che questi debba dimostrare il proprio interesse, ha svincolato l’accesso da una particolare posizione legittimante del richiedente, dando per presupposto, attesa la particolare rilevanza del bene in questione, l’interesse all’informazione sulle condizioni ambientali e consentendo altresì il controllo diffuso su detti beni. Anche dal punto di vista oggettivo vi è stata un’estensione del diritto di accesso, che non riguarda più soltanto i documenti (anche se estensivamente individuati) ma le “informazioni relative all’ambiente” intese come “qualsiasi informazioni in forma scritta, visiva, sonora o contenuta nelle basi di dati riguardante lo stato delle acque, dell’aria, del suolo, della fauna, della flora, del territorio e degli spazi naturali, nonché le attività, comprese quelle nocive, o le misure che incidono o possono incidere negativamente sulle predette componenti ambientali e le attività o le misure destinate a tutelarle, ivi compresi le misure amministrative e i programmi di gestione dell’ambiente”. TAR LAZIO, SEZ. III TER - Sentenza 15 gennaio 2003 n. 126 (vedi: sentenza per esteso - con commento)


Competenza legislativa esclusiva delle Regioni - la competenza concorrente in materia di tutela della salute - la competenza esclusiva dello Stato. L’entrata in vigore della modifica del titolo V° della Costituzione che, invertendo il precedente criterio contenuto nell’originario testo dell’art. 117, ha riconosciuto alle Regioni competenza legislativa esclusiva in tutte le materie non riservate alla competenza esclusiva dello Stato e la competenza concorrente in materia di tutela della salute. Ed invero, come emerge dalla ricostruzione del quadro normativo, la riforma, pur ampliando indubbiamente l’ambito delle competenze regionali specie in importanti materie a legislazione concorrente, ha mantenuto ferma la riserva della legislazione dello Stato quanto alla determinazione dei principi generali. E ciò vuol dire che le regioni devono adeguarsi, nell’esercizio della loro potestà legislativa, ai principi medesimi, specialmente laddove l’intervento in un ambito di materia finisce per interferire con competenze dello Stato, coinvolgendo trasversalmente altre materie soggette a competenza esclusiva (ambiente) e concorrente (ordinamento della comunicazione e governo del territorio). Ora, anche dopo l’entrata in vigore della riforma costituzionale la legge- quadro detta i principi fondamentali in materia di protezione dalle esposizioni a campi magnetici, elettrici ed elettromagnetici e l’esercizio della competenza concorrente da parte delle regioni, sarebbe comunque subordinata all’emanazione di un’apposita legge: la Corte Costituzionale ha, in proposito, affermato che nella fase di transizione dal vecchio al nuovo sistema di riparto di competenze, la legislazione regionale concorrente dovrà svolgersi nel rispetto dei principi fondamentali comunque risultanti dalla legislazione statale già vigente (sentenza 26.6.2002 n.282). Nello stesso senso: TAR Toscana sez. I, del 16 gennaio 2003 sentenze nn. 10-11. TAR Toscana - Firenze sez. I, del 16 gennaio 2003 sentenza n. 12 (vedi: sentenza per esteso)

 

Protezione degli occhi e della vista dei lavoratori - Dispositivi speciali di correzione in funzione dell'attività svolta - Trasposizione. incompleta.("Inadempimento di uno Stato - Art. 9, n. 3, della direttiva 90/270/CEE - Protezione degli occhi e della vista dei lavoratori - Dispositivi speciali di correzione in funzione dell'attività svolta- Trasposizione incompleta") (2002/C 323/22). Causa C-455/00, Commissione delle Comunità europee (agente: signor A. Aresu) contro Repubblica italiana (agente: signor U. Leanza, assistito dal signor D. Del Gaizo, avvocato), avente ad oggetto un ricorso diretto a far dichiarare che:
- non garantendo esami periodici degli occhi e della vista a tutti i lavoratori che utilizzano attrezzature dotate di videoterminali di cui all'art. 2, lett. c), della direttiva del Consiglio 29 maggio 1990, 90/270/CEE, relativa alle prescrizioni minime in materia di sicurezza e di salute per le attività lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminali (quinta direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE) (GU L 156, pag. 14),
- non assicurando un esame oculistico supplementare in tutti i casi in cui ciò risulti necessario in base ai periodici esami degli occhi e della vista, e- non definendo le condizioni alle quali devono essere forniti ai lavoratori interessati dispositivi speciali di correzione in funzione dell'attività svolta, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti a norma dell'art. 9, nn. 1-3, della detta direttiva, la Corte (Sesta Sezione), composta dal sig. R. Schintgen, presidente della Seconda Sezione, facente funzione di presidente della Sesta Sezione, dal sig. V. Skouris, dalle sig.re F. Macken e N. Colneric (relatore) e dal sig. J. N. Cunha Rodrigues, giudici, avvocato generale: D. Ruiz-Jarabo Colomer, cancelliere: R. Grass, ha pronunciato il 24 ottobre 2002 una sentenza il cui dispositivo è del seguente tenore:
1) Non definendo le condizioni alle quali devono essere forniti ai lavoratori interessati dispositivi speciali di correzione in funzione dell'attività svolta, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'art. 9, n. 3, della direttiva del Consiglio 29 maggio 1990, 90/270/CEE, relativa alle prescrizioni minime in materia di sicurezza e di salute per le attività lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminali (quinta direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE).
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese. (1) GU C 79 del 10.3.2001. Corte di Giustizia Europea  (Sesta Sezione) 24 ottobre 2002 nella causa C-455/00: Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana (1) (GUCE C 323 del 21.12.2002)

 

Amianto - Tutela dei lavoratori dipendenti da rischio dell’amianto. La tutela dei lavoratori dipendenti da rischio dell’amianto si estende anche alle lavorazioni che si svolgano con modalità tali da comportare rischi di esposizione alle polveri di amianto o di materiali contenenti amianto. Cassazione Penale sezione III del 10 luglio 2002, sentenza n. 26273

 

Sicurezza alimentare - norma di pericolo - tutela anticipata - qualità dell'alimento - diritto dei consumatori all'affidamento ed alla tranquillità nei confronti del rischio di alterazione degli alimenti - interpretazione analogiaca con la materia della sicurezza sul lavoro - cattivo stato di conservazione - precauzioni igienico-sanitarie. Con una recentissima decisione, le Sezioni Unite sono tornate ad occuparsi del tema, ribadendo che - in linea generale - si è in presenza di norma di pericolo, anche se potrebbe ravvisarsi l'esistenza di un ulteriore interesse protetto dalla disposizione in esame. Sostiene, in estrema sintesi, Ia sentenza, che accanto alla tutela anticipata, ormai riconosciuta, della qualità dell'alimento (mediante la sanzione di modalità di conservazione potenzialmente pericolose), l'art. 5 punisce le violazioni del diritto dei consumatori all'affidamento ed alla tranquillità nei confronti del rischio di alterazione degli alimenti: nei casi di cattiva conservazione dell'alimento, e indipendentemente dall'avvenuta alterazione del prodotto, tale interesse risulterebbe oggetto non di mero pericolo, ma di vera e propria lesione diretta (Cass. Sez. Un., sent. n. 442/2002, udienza 19 dicembre 2001). Una volta considerato l' art. 5. lett. b) della legge del 1962 quale disposizione che sanzione il mero pericolo di alterazione delle qualità del prodotto, deve concludersi per la non rilevanza di uno degli argomenti considerati centrali dal ricorrente: il contrasto asseritamente insanabile fra l'accusa odierna e la circostanza che il Pubblico Ministero ebbe a dissequestrare le bottiglie d'acqua in esito alle analisi chimiche eftettuate, analisi che escludevano l'alterazione del prodotto. Si tratta di argomento che porta a conclusioni palesemente inaccettabili: applicando simile interpretazione alla materia della sicurezza sul lavoro, infatti, dovrebbe andare immune da censure il responsabile del cantiere o dell'opificio quando, pur in assenza di obbligatorie misure di cautela antinfortunistica, si accerti che in concreto nessuno dei dipendenti ha subito incidenti o riportato lesioni. Ciò che le disposizioni in tema di sicurezza alimentare, come il citato art. 5, lett. b) intendono garantire, infatti, è che i responsabili della manipolazione e conservazione dei prodotti evitino di ricorrere a modalità inadeguate di confezionamento, trasporto, custodia, e così via. La giurisprudenza ha, infatti, chiarito, in linea con significative posizioni dottrinarie, che: "Quale sia il bene protetto dalla norma incriminatrice lo si desume dal contenuto dello stesso art. 5 l. 283/62, poiché corrisponde a quello tutelato dalle altre fattispecie criminose in esso inserito, rispelto alle quali quella di cui alla lett. b) si pone come residuale. Le altre contravvenzioni previste dall'art. 5 hanno natura di reato di pericolo concreto e puniscono la detenzione per la vendita di sostanze alimentari che per le loro caratteristiche sono pericolose per la salute o comunque non genuine, come è dato di riscontrare nell'ipotesi criminosa prevista dalla disposizione contenuta sotto la lett. a). Anche Ia contravvenzione di cui alla lett. b) mira a tutelare la genuinità e commestibilità del prodotto alimentare ma, a differenza delle altre contravvenzioni contenute nello stesso articolo, configura un reato che è di pericolo presumo. La norma, infatti, non richiede che la sostanza alimentare sia pericolosa ... Quindi, perché ricorra il cattivo stato di conservazione non occorre, come sostiene il ricorrente, che la sostanza alimentare risulti alterata. E' sufficiente che nelle modalità di conservazione del prodotto (sistemi di confezionamento, luogo di conservazione, esposizione all'aria o al sole, stivaggio, trasporto, ecc) non sono osservate le precauzioni igienico-sanitarie dirette a evitare che il prodotto stesso possa subire un'alterazione che ne comprometta la genuità o la commestibilità, precazuoni che possono essere prescritte da leggi o regolamenti o che possono trovare la loro fonte in regole di comune esperienza." (Cass. Sez. III, sent. n. 9229 del 19/9-13/10/1997, N., Rv.208679). Corte di Cassazione III sez. penale - Sentenza del 24/04/2002, n. 15491

 

Conservazione delle acque minerali - commercializzazione e conservazione del prodotto - il vetro è certamente un contenitore assolutamente neutro e "sicuro" rispetto alla possibilità di provocare alterazioni del contenuto - permane la validità delle cautele - rischio di alterazione del prodotto e delle sue caratteristiche. Va escluso che il D.lgs. n. 105 del 1992 detti disposizioni in tema di conservazione delle acque minerali, con la conseguenza che "deve ritenersi che la norma di cui all'art. 47 del d.m. 20 gennaio 1927, la quale sancisce prescrizioni in tema di conservazione delle acque minerali, è tuttora in vigore perché non abrogata, né espressamente né implicitamente dal d. leg. 105/92 o dal d.m. 542/92". Sul punto si rinvia anche a Sez. III, sent. 11278 del 7/11-30/12/1996, F., Rv 207031. Da tali considerazione deve concludersi, che la disciplina introdotta con il decreto legislativo n. 105 del 1992 abroga il decreto ministeriale del 1927 nella parte in cui le sue disposizioni sono sostituite dalle nuove, ma non ne comporta l'abrogazione nella parte non interessata dalle modifiche, quella concernente le modalità di commercializzazione e conservazione del prodotto. E' dato notorio che all'epoca dell'emanazione del citato decreto ministeriale non esisteva certo l'abitudine di far ricorso per le acque a contenitori in materiale plastico o in derivati dal petrolio, e che il contenitore più diffuso era quello in vetro. Ed è dato altrettanto notorio che il vetro è certamente un contenitore assolutamente neutro e "sicuro" rispetto alla possibilità di provocare alterazioni del contenuto; assai più a rischio sono, sotto questo punto di vista, proprio i moderni contenitori, per i quali si è reso necessario fissare caratteristiche chimiche e costruttive che eliminino la possibilità di rilascio di particelle e sostanze in danno del prodotto in essi contenuto. Una volta constatato che la normativa del 1927 con riferimento a contenitori (come quelli in vetro) non suscettibili di subire modificazioni a seguito del contatto con luce e calore disponeva ugualmente il divieto di esporre le bottiglie di acqua alla luce e al calore del sole, non può derivarsi, come invece sostiene il ricorrente, che quelle cautele sono superate oggi dalle garanzie di qualità dei contenitori in PET desumibili dal rispetto del decreto 22 luglio 1998, n. 338. Osserva la Corte che, anche nella ipotesi interpretativa che porta all'abrogazione dell'intero decreto ministeriale 20 gennaio 1927, permane la validità delle cautele che almeno fin da allora hanno sconsigliato di esporre per un tempo significativo le bottiglie (e i contenitori) di acqua alla luce e al calore del sole. La prassi in tal senso instauratasi, infatti, si pone in linea con la constatazione che l'acqua non trattata e non sterilizzata, è un prodotto alimentare "vivo" - ed in questo consiste il valore alimentare ecommerciale delle acque "minerali"; come tutti i prodotti "vivi" anche l'acqua è soggetta a subire modificazioni allorché viene isolata dal suo ambiente naturale e "forzata" all'interno di contenitori stagni che impediscono i normali interscambi che avvengono fra l'acqua, l'aria, la luce e le altre forme di energia e che modificano le reazioni che in natura l'acqua conosce allorché viene sottoposta ad aumento di temperatura o di esposizione continua ai raggi del sole. Da questo punto di vista l'acqua non può essere considerata in modo significativamente diverso da altri liquidi alimentari quali l'olio e il vino, cui sono applicabili i principi contenuti nella sentenza delle Sezioni Unite, sent. n. 442/2002, udienza 19 dicembre 2001 (v . anche Cass. Sez. III, sent. 11278 del 7/11-30/12/1996; Cass. Sez. III, sent. n. 9229 del 19/9-13/10/1997, n.,Rv. 208679;) che espressamente afferma, fra l'altro, la correttezza del "richiamo... a regole di esperienza per definire cattivo uno stato di conservazione delle vivande". Proprio la situazione di "innaturalità" in cui un prodotto "vivo" viene costretto si pone alla base della necessità di evitare modalità di conservazione e commercializzazione che favoriscano il rischio di alterazione del prodotto e delle sue caratteristiche. Sotto questo profilo appare del tutto riduttiva la prospettazione del ricorrente che esclude la sussistenza di tale rischio guardando esclusivamente alla non alterabilità del contenitore. Corte di Cassazione III sez. penale - Sentenza del 24/04/2002, n. 15491.

 

Inadempimento di uno Stato - Mancata trasposizione della direttiva 98/51/CE (2002/C 84/37) quantità massime di residui - norme applicabili alle carni macinate - stabilimenti e intermediari operanti nel settore dell’alimentazione degli animali (Pubblicata su GUCE C 84/23 del 6.4.2002) Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana (GU C 176 del 24.6.2000) Nella causa C-148/00, Commissione delle Comunità europee (agenti: inizialmente sig.ra S. Dragone e sig. F. P. Ruggeri Laderchi, quindi sig.ra S. Dragone e sig. L. Visaggio) contro Repubblica italiana (agente: sig. U. Leanza, assistito sig. G. De Bellis) avente ad oggetto un ricorso diretto a far dichiarare che, non avendo adottato, e comunque non avendo comunicato alla Commissione, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alle direttive:

- del Consiglio 25 giugno 1997, 97/41/CE, che modifica le direttive 76/895/CEE, 86/362/CEE, 86/363/CEE e 90/642/CEE, che fissano le quantità massime di residui rispettivamente sugli e negli ortofrutticoli, sui e nei cereali, sui e nei prodotti alimentari di origine animale e su e in alcuni prodotti di origine vegetale, compresi gli ortofrutticoli (GU L 184, pag. 33);

- del Consiglio 16 dicembre 1997, 97/76/CE, che modifica la direttiva 77/99/CEE e la direttiva 72/462/CEE per quanto riguarda le norme applicabili alle carni macinate, alle preparazioni di carni e a taluni altri prodotti di origine animale (GU 1998, L 10, pag. 25), e

- della Commissione 9 luglio 1998, 98/51/CE, che stabilisce alcune misure di applicazione della direttiva 95/69/CE del Consiglio che fissa le condizioni e le modalità per il riconoscimento e la registrazione di taluni stabilimenti e intermediari operanti nel settore dell’alimentazione degli animali (GU L 208, pag. 43), la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato e delle suddette direttive, la Corte (Quarta Sezione), ha pronunciato il 6 dicembre 2001 una sentenza il cui dispositivo è del seguente tenore: 1) Non avendo adottato, entro il termine prescritto, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva della Commissione 9 luglio 1998, 98/51/CE, che stabilisce alcune misure di applicazione della direttiva 95/69/CE del Consiglio che fissa le condizioni e le modalità per il riconoscimento e la registrazione di taluni  stabilimenti e intermediari operanti nel settore dell’alimentazione degli animali, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tale direttiva. 2) La Repubblica italiana è condannata alle spese. Sentenza della Corte Giustizia Europea (Quarta Sezione) causa C-148/00, 6 dicembre 2001.

 

Affievolimento del diritto alla salute per fatto della Pubblica Amministrazione - competenza del giudice amministrativo. La giurisprudenza tende a ricondurre alla competenza esclusiva del giudice ordinario la conoscenza delle controversie nelle quali il singolo lamenti la lesione del diritto alla salute anche per fatto della pubblica amministrazione (cfr. Cass, civ. un. 20 novembre 1992 n. 12386). Questa giurisprudenza, tuttavia, non è condivisibile in quanto non distingue tra l’ipotesi in cui tale diritto possa e venga fatto valere come bene tutelato in assoluto, escludendo che sussista il potere dell’amministrazione di degradarlo o comprimerlo nell’esercizio dei poteri autoritativi di cui essa dispone (situazione che si verifica nella forma dell’affievolimento e che investe molti diritti tutelati come tali, come la proprietà, l’iniziativa economica, la libertà di circolazione etc.), e quella in cui la tutela venga azionata in funzione dell’annullamento di atti autoritativi che possono, in qualche misura ed a certe condizioni, comprimere il diritto stesso per assicurare, nella misura ed alle condizioni fissate dal legislatore, il perseguimento di altri interessi ritenuti, anch’essi, con il primo compatibili. Tale distinzione non solo è consona ai principi costituzionali sul riparto delle giurisdizioni, amministrativa ed ordinaria, ma garantisce una tutela piena alle situazioni giuridiche soggettive che talvolta convivono, in funzione dei poteri diversi e diversamente incisivi che, dove non esista giurisdizione esclusiva spettano all’uno o all’altro ordine di giudici. T.a.r.Veneto, II sez., Sent. n. 236 del 13/02/2001

 

Acqua priva del requisito della potabilità - l’inadempimento della P.A. - responsabilità contrattuale - diritto al risarcimento del danno - la prova del danno patrimoniale sofferto - il potere discrezionale del giudice di liquidare il danno, in via equitativa - risarcimento del danno alla salute come danno biologico. L’inadempimento è fonte di responsabilità contrattuale alla quale si accompagna il diritto al risarcimento del danno e dal rispetto di queste regole non è esentata la P.A. ove non adempia le prestazioni assunte iure privatorum. L’inesatto adempimento, (acqua priva del requisito della potabilità) pertanto, comporta la condanna del Comune al risarcimento dei danni causati all’attrice. Pur tuttavia, trattandosi di danni patrimoniali, questi andavano provati. L’attrice, pertanto, avrebbe dovuto dare la prova del danno patrimoniale sofferto, lasciando poi la quantificazione equitativa a questo Giudice. La prova dell’entità del danno non era certo difficoltosa o impossibile, per cui l’attrice avrebbe ben potuto assolvere all’onere probatorio, ex art. 2697 C.C. (Cfr. Cass. Civ. Sent. n. 1489 del 11.02.1987). Ancora sul punto: “il potere attribuito al giudice dall'art. 1226 cod. civ. non esonera l'interessato dall'onere di offrire gli elementi probatori in ordine alla sua esistenza” (Cfr. Cass. Civ. Sent. n. 11163 del 24.12.1994). “L'esercizio in concreto del potere discrezionale del giudice di liquidare il danno, in via equitativa, nonché l'accertamento del relativo presupposto, costituito dall'impossibilità o dalla rilevante difficoltà di precisare il danno nel suo esatto ammontare, non sono suscettibili di sindacato in sede di legittimità quando la relativa decisione sia sorretta da motivazioni immuni da vizi logici o errori di diritto.” (Cfr. Cass. Civ. Sent n. 7067 del 09.06.1992). Non avendo l’attrice adempiuto a tale onere, la richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali va rigettata.E’ invece da risarcire il danno alla salute, determinato dalla eccessiva concentrazione di sodio, che, inteso come danno biologico, pur non potendo essere quantificato, va però liquidato equitativamente dal Giudice stante la effettività e riscontrabilità dello stesso e la impossibilità di provare l’incidenza del pregiudizio economico. Giudice di Pace Coordinatore di Reggio Calabria sentenza del 27.11.2000 (vedi: sentenza per esteso)

 

Acqua potabile - inquinamento - assenza del requisito della potabilità - inadempimento contrattuale - la riduzione del 50% del canone. Il cloruro superiore alla norma è pericoloso per la salute, essendo responsabile dell’ipertensione arteriosa e può determinare anche intossicazioni (Sent. n. 218/98 del 10.06.1998 - Giudice di Pace di Reggio Calabria). Non avendo l’acqua pertanto il requisito della potabilità vi è un inadempimento contrattuale sanzionato dal D.P.R. n. 236 del 24/05/19888 che da’ attuazione alla Direttiva C.E.E. n. 80/778 concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano, ai sensi dell’art. 15 della Legge n. 183 del 16.04.1987. In detto decreto sono indicati i requisiti di potabilità dell’acqua. Detto provvedimento è applicabile in quanto non derogato dal D.L. n. 66/89. Da ciò discende l’applicabilità al caso di specie dell’art. 13 del provvedimento C.I.P. n. 26/75 che prevede la riduzione del 50% del canone. Giudice di Pace Coordinatore di Reggio Calabria sentenza del 27.11.2000 (vedi: sentenza per esteso)

 

Diritto alla salute - tutela del risarcimento del danno e tutela preventiva - l'attribuzione di poteri ablatori ordinati a procurare alla pubblica amministrazione la disponibilità di beni - messa in pericolo della salute. Contrariamente a quanto ha affermato la corte d'appello, non è necessario che il danno si sia verificato, perché il titolare del diritto possa reagire contro la condotta altrui, se essa si manifesta in atti suscettibili di provocarlo. In termini generali, può dirsi che la protezione apprestata dall'ordinamento al titolare di un diritto si estrinseca prima nel vietare agli altri consociati di tenere comportamenti che contraddicano il diritto e poi nel sanzionare gli effetti lesivi della condotta illecita obbligando il responsabile al risarcimento del danno. Con specifico riferimento al diritto alla salute, sarebbe contraddittorio affermare che esso non tollera interferenze esterne che ne mettano in discussione l'integrità e ammettere che alla persona sia data la sola tutela del risarcimento del danno e non anche quella preventiva. La Corte costituzionale, nella sentenza 30 dicembre 1987 n. 641, ha espressamente affermato che, in tema di lesione della salute umana, è possibile il ricorso all'art. 2043 cod. civ. e che si è così in grado di provvedere non solo alla reintegrazione del patrimonio del danneggiato, ma anche di prevenire e sanzionare l'illecito. D'altro canto, dalla promessa che l'attribuzione di poteri ablatori ordinati a procurare alla pubblica amministrazione la disponibilità di beni, non può derivare l'effetto che ne risulti compromesso il diritto alla salute, questa Corte ha già in altre occasioni tratto l'enunciazione del principio per cui il privato può chiedere al giudice ordinario provvedimenti non di sola condanna al risarcimento del danno (Sez. Un. 16 luglio 1983 n. 4889; 10 dicembre 1984 n. 6476), ma anche di condanna ad un fare (Sez. Un. 20 febbraio 1992 n. 2092), in confronto della pubblica amministrazione o di concessionari di pubblici servizi. E perciò può essere chiesto al giudice di inibire all'amministrazione il comportamento costituito dal porre in esercizio un impianto che, iniziando a funzionare con le modalità previste, è accertato possa determinare una situazione di messa in pericolo della salute. L'inibitoria, d'altro canto, può tradurre in comando un accertamento dal quale risulti in quali condizioni e con quali accorgimenti l'opera può essere posta in esercizio ed il pericolo per la salute può essere evitato. Cass. civ., sez. III, 27 luglio 2000, n. 9893. (vedi sentenza per esteso)

 

Diritto alla conservazione dello stato di salute - provvedimenti della pubblica amministrazione - inefficacia. Il diritto alla salute, posto a base della domanda, è infatti un diritto fondamentale dell'individuo, che l'art. 32 Cost. protegge direttamente (Corte cost. 26 luglio 1979 n. 88; 14 luglio 1986 n. 184; 18 dicembre 1987 n. 559; 27 ottobre 1988 n. 992; 22 giugno 1990 n. 307; 18 aprile 1996 n. 118). La Corte costituzionale, nella sentenza 22 giugno 1990 n. 307, ha in particolare considerato che un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiono normali in ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili. Ha aggiunto, con riferimento all'ipotesi di ulteriore danno alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio, compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica, che a giustificare la misura sanitaria non è da solo sufficiente il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività, per tale rilievo 'esige che in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, restando così limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo comporti un rischio specifico, ma non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri. Da ciò è conseguita l'affermazione che la legge deve prevedere un equo ristoro del danno alla salute subito dal singolo in conseguenza dell'essersi dovuto sottoporre ad un trattamento obbligatorio. Se ne trae, logicamente, la conclusione, che siano da considerare prive di efficacia giuridica le determinazioni contenute nei provvedimenti della pubblica amministrazione, per la parte in cui possano risultare lesive della conservazione dello stato di salute, anche quando i provvedimenti adottati costituiscano in sé manifestazione di un potere ad altri fini previsto dalla legge (Sez. Un. 6 ottobre 1979 n. 5172). Cass. civ., sez. III, 27 luglio 2000, n. 9893. (vedi sentenza per esteso)

 

Somministrazione e modificazione attraverso trattamenti illeciti con sostanze ad effetti anabolizzanti su animali destinati alla vendita. Si configura il reato di cui all'art. 5 1. 30 aprile 1962 n. 283 in caso di detenzione per vendere animali, modificati nella loro composizione naturale a seguito di trattamenti illeciti con sostanze ad effetti anabolizzanti, in concorso con l'illecito amministrativo di cui all'art. 3 d.lg. 118 del 1992 che punisce la somministrazione di dette sostanze. Cassazione penale sez. III, 21 ottobre 1999

 

Definizione di “sostanza alimentare” - concetto di “genuinità”- vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine - momento della consumazione del reato e configurabilità del tentativo ex art. 516 c.p.. Per "sostanza alimentare" si intende qualsiasi materia, solida, liquida o gassosa, destinata all'alimentazione, cioè al nutrimento corporale. Perciò, senza violare il principio di cui all'art. 1 c.p. e senza ricorrere ad alcuna interpretazione estensiva o analogica, deve affermarsi che il reato previsto e punito dall'art. 516 c.p. ha per oggetto materiale non solo le sostanze alimentari solide, ma anche quelle liquide, come le bevande. Il concetto di "genuinità”, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 516 c.p., non è soltanto quello naturale, ma anche quello formale fissato dal legislatore con l'indicazione delle caratteristiche e dei requisiti essenziali per qualificare un determinato tipo di prodotto alimentare. Infatti, il reato di cui all'art. 516 c.p. si consuma nel momento in cui la sostanza è messa in vendita o altrimenti in commercio, il che si verifica quando la merce esce dalla disponibilità del produttore per entrare nel mercato, onde, anche per il reato in questione, è configurabile il tentativo che si realizza quando ancora la merce non è uscita dalla disponibilità del produttore, ma questi ha compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco alla commercializzazione effettiva del prodotto non genuino (nella specie, è stato ritenuto il tentativo nella condotta dell'imputato che, trasferendo spumante - risultato non genuino - già imbottigliato ed etichettato dallo stabilimento di produzione a un deposito separato, aveva compiuto atti idonei, diretti in modo non equivoco alla messa in commercio del vino stesso). Cassazione penale sez. III, 5 giugno 1998, n. 8662.

 

Gomme da masticare contenenti fluoruro ed evosina. Per le gomme da masticare contenenti fluoruro di sodio ed evosina, sostanze che i consulenti tecnici nominati dal pretore hanno ritenuto essere tossiche nei casi di assunzione prolungata alle dosi massime consigliate, si configura la fattispecie di reato prevista dall'art. 5 lett. D) l. n. 283 del 1962 e, costituendo pericolo per la salute pubblica, anche la fattispecie prevista dall'art. 444 c.p.). Pretura Milano, 14 novembre 1998 

 

Disciplina igienica dei prodotti destinati all'alimentazione. Il divieto previsto dall'art. 5 l. 30 aprile 1962 n. 283, opera sia per chi detiene per destinarle al commercio sostanze alimentari, contenenti residui di prodotti usati in agricoltura per la protezione delle piante, tossiche per l'uomo, sia per chi le vende, salvo che non ricorra esonero da responsabilità, ai sensi dell'art. 19 l. cit., per le ipotesi in cui i predetti non abbiano la possibilità di controllare le qualità e le condizioni dei prodotti; pertanto, anche il legale rappresentante di una società cooperativa avente come oggetto sociale il conferimento di prodotti agricoli per la commercializzazione è destinatario del precetto, essendo irrilevante l'estraneità della società alle modalità della loro coltivazione e decisiva la materiale disponibilità, sia pure temporanea, dei prodotti da immettere sul mercato, sui quali il predetto è tenuto ad adottare tutte le cautele necessarie affinché sia assicurata la loro conformità a legge sia sotto il profilo dell'esercizio del potere di organizzazione e di direzione inteso a pretendere dai soci corrette pratiche colturali, sia sotto il profilo dell'esercizio dei controlli igienico - sanitari esperibili che non sono incompatibili con la breve durata della detenzione nè con la deperibilità dei prodotti. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso avverso condanna per avere l'imputato, quale legale rappresentante di società cooperativa s.r.l., detenuto a fine di distribuirla per il consumo insalata contenente sostanze tossiche per l'uomo (clorzaconil), usate in agricoltura, in misura superiore a quella consentita, la S.C. ha osservato altresì che "correttamente, poi, e' stata qualificata colposa la condotta del ricorrente, essendo emerso che egli non si è in alcun modo attivato per impedire ai soci della cooperativa di usare prodotti nocivi per la salute dei consumatori"). Cassazione penale sez. III, 10 aprile 1997, n. 4441

 

Frode tossica - frode con danno alla salute e L. n. 283/62. Non e' fondata - in riferimento agli art. 3 comma 1, e 27, comma 3 cost. - la q.l.c. dell'art. 6 comma 5, della l. 30 aprile 1962 n. 283 (Modifica degli art. 242, 243, 247, 250 e 262 del testo unico delle leggi sanitarie approvato con r.d. 27 luglio 1934 n. 1265. Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande), secondo il quale in caso di condanna per frode tossica o comunque dannosa alla salute non si applicano le disposizioni degli art. 163 e 175 del c.p., che rispettivamente disciplinano i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale; e ciò perchè la norma non viola il principio di eguaglianza, in quanto non si riferisce soltanto alle singole enumerate fattispecie contravvenzionali di cui alla legge citata, ma estende il previsto divieto a tutte le ipotesi di condanna (qualunque sia la natura del reato), nelle quali l'elemento del pericolo per la collettività, rappresentato dalla tossicità dell'alimento o della bevanda o comunque dalla sua possibile nocività per la salute, si accompagni a quello della frode e quindi anche ai delitti di comune pericolo mediante frode, che concernono la produzione e la vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, che sono disciplinati nel c.p., nel libro II, al capo II del titolo VI; ne' dall'altra parte la disposizione impugnata contrasta col principio, affermato nel comma 3 dell'art. 27 cost., secondo il quale le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, in quanto gli elementi di pericolo potenzialmente connesso ad ogni comportamento fraudolento nella produzione e nel commercio di sostanze alimentari fanno apparire non irragionevole la scelta del legislatore di realizzare, nelle frodi alimentari tossiche o comunque dannose alla salute, l'equilibrio tra le diverse finalità della pena, collegando la rieducazione ad alcuni aspetti dell'illecito ed attribuendo all'effettività dell'espiazione una specifica finalità di prevenzione, retribuzione e difesa sociale. Corte costituzionale 8 aprile 1997, n. 85.

 

Fornitura di acqua non potabile per consumo umano e art. 444 c.p. - differenza tra “non potabilità” e “nocività”. Il reato previsto all'art. 21 comma 1 d.P.R. 24 maggio 1988 n. 236, è ipotizzabile a carico di chi fornisce al consumo umano acque non potabili, ed ha natura sussidiaria rispetto ad altri reati più gravi eventualmente configurabili, integrando un aspetto sanzionatorio residuale posto a tutela dei requisiti dell'acqua destinata al consumo umano. Poichè la nozione di non potabilità dell'acqua non va confusa con quella di nocività dell'acqua, ne consegue che, qualora ricorrano gli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 444 c.p. - commercio di sostanza nocive - l'applicazione di tale ultima norma non può ritenersi esclusa in base al principio di specialità e ciò, non solo perchè trattasi di ipotesi delittuosa più grave rispetto a quella contravvenzionale di cui al cit. d.P.R. n. 236 del 1988, ma anche perchè le due norme sono preordinate ad assolvere una funzione legale diversa, essendo la prima diretta alla tutela del bene giuridico della salute pubblica, e la seconda a garantire la qualità dell'acqua anche sotto il profilo della potabilità. Cassazione penale sez. I, 13 luglio 1995, n. 9823.

 

Reato di fornitura al consumo umano di acque non idonee e concorso per omissione di organi tecnici - punibilità anche nel caso di negligenza, imprudenza, imperizia o violazioni di specifiche prescrizioni. Nel reato di fornitura al consumo umano di acque non idonee, di cui all'art. 21 d.P.R. 24 maggio 1988, n. 236, possono concorrere anche e soprattutto gli organi tecnici del comune con le loro omissioni nell'ambito delle proprie competenze. (Fattispecie relativa ad inammissibilita' di ricorso avverso sentenza di condanna proposto da responsabile della ripartizione dell'ufficio idrico, il quale aveva dedotto che l'adozione di misure atte ad avvertire la popolazione e/o ad adeguare la qualita' delle acque competeva al sindaco). (In caso di erogazione di acqua destinata al consumo umano non conforme ai requisiti legali di qualità per colpa costituita da negligenza, imprudenza o imperizia o per violazione di specifiche prescrizioni di cui al d.P.R. 24 maggio 1988 n. 236 o di altre norme tecniche, è punibile, ex art. 21 del citato decreto, il responsabile dell'acquedotto pubblico. Pretura Rovigo 7 febbraio 1990) Cassazione penale sez. III, 18 gennaio 1995, n. 161.

   

 

Assistenza sanitaria - farmaci prescrivibili - criteri - prontuario terapeutico - responsabilità del medico - reati     ^                                      

   

DIRITTO SANITARIO - Danno derivante da trattamento chirurgico - Responsabilità contrattuale - Termine di prescrizione - Art.2946 c.c. - Applicabilità. Ove un soggetto deduca di aver subito un danno in ragione di una prestazione medico - chirurgica, a prescindere dal fatto che convenga in giudizio il singolo professionista o la struttura all'interno della quale ha subito il trattamento, si è in presenza di una ipotesi di responsabilità contrattuale. Ne consegue che, per la relativa azione di risarcimento, trova applicazione il termine prescrizionale decennale di cui all'art. 2946 c.c. e non quello di cui all'art. 2947 c.c. Fattispecie in tema di richiesta di risarcimento dei danni biologico e morale riportate da un paziente per effetto di complicanze seguite ad intervento chirurgico, avanzata nei confronti della Casa di Cura presso la quale è stato praticato l'intervento e della Un. S.p.A. assicuratrice della prima per la responsabilità civile. Giud. Mon. Angarano - Li. Mi. (avv.ti A.M. e O.Va.) - c. Casa di Cura S.p.A. e Un. S.p.A. TRIBUNALE DI BARI, Sez. II CIVILE, 6/04/2011 (ud. 31/03/2011)

DIRITTO SANITARIO - Danno derivante da trattamento chirurgico - Responsabilità della struttura sanitaria ove è stato eseguito l'intervento - Responsabilità per comportamento degli ausiliari - Sussistenza. Ove un soggetto deduca di aver subito un danno in ragione di una prestazione medico - chirurgica, a prescindere dal fatto che convenga in giudizio il singolo professionista o la struttura all'interno della quale ha subito il trattamento, si è in presenza di una ipotesi di responsabilità contrattuale. L'ente convenuto risponde anche del comportamento dei suoi ausiliari ex art. 1228 c.c., a prescindere dal fatto che siano inquadrati come lavoratori dipendenti o meno, purché siano inseriti nell'organizzazione dell'azienda ospedaliera. Fattispecie in tema di richiesta di risarcimento dei danni biologico e morale riportate da un paziente per effetto di complicanze seguite ad intervento chirurgico, avanzata nei confronti della Casa di Cura presso la quale è stato praticato l'intervento e della Un. S.p.A. assicuratrice della prima per la responsabilità civile. Giud. Mon. Angarano - Li. Mi. (avv.ti A.M. e O.Va.) - c. Casa di Cura S.p.A. e Un. S.p.A. TRIBUNALE DI BARI, Sez. II CIVILE, 6/04/2011 (ud. 31/03/2011)

 

DIRITTO SANITARIO - Danno derivante da trattamento chirurgico - Colpa medica - Onere della prova. In caso di preteso risarcimento del danno derivante da colpa medica, mentre il paziente è tenuto alla prova del titolo in ragione del quale era legittimato ad esigere la prestazione sanitaria dal singolo professionista o dalla struttura, dell'evento lesivo, del nesso di causalità tra la condotta e quest'ultimo e del danno conseguente, senza necessità di estendere la prova alla sussistenza della colpa, spetta, al contrario ai soggetti tenuti alla prestazione dimostrare la correttezza, secondo la miglior scienza ed esperienza del trattamento sanitario prestato. (Cass. n. 23918/2006; Cass. n. 11488/2004). Fattispecie in tema di richiesta di risarcimento dei danni biologico e morale riportate da un paziente per effetto di complicanze seguite ad intervento chirurgico, avanzata nei confronti della Casa di Cura presso la quale è stato praticato l'intervento e della Un. S.p.A. assicuratrice della prima per la responsabilità civile. Giud. Mon. Angarano - Li. Mi. (avv.ti A.M. e O.Va.) - c. Casa di Cura S.p.A. e Un. S.p.A. TRIBUNALE DI BARI, Sez. II CIVILE, 6/04/2011 (ud. 31/03/2011)

 

DIRITTO SANITARIO - Danno derivante da trattamento chirurgico - Assicurazione da responsabilità civile - Indennizzo diretto - Esclusione. Nell'assicurazione della responsabilità civile, l'obbligazione dell'assicuratore al pagamento dell'indennizzo all'assicurato è autonoma e distinta dall'obbligazione risarcitoria dell'assicurato verso il danneggiato. Da ciò consegue che, non sussistendo un rapporto immediato e diretto tra l'assicuratore ed il terzo, quest'ultimo, in mancanza di una normativa specifica come quella della responsabilità civile derivante dalla circolazione stradale, non ha azione diretta nei confronti dell'assicuratore. (Cass. n. 8885/2010).  Fattispecie in tema di richiesta di risarcimento dei danni biologico e morale riportate da un paziente per effetto di complicanze seguite ad intervento chirurgico, avanzata nei confronti della Casa di Cura presso la quale è stato praticato l'intervento e della Un. S.p.A. assicuratrice della prima per la responsabilità civile. Giud. Mon. Angarano - Li. Mi. (avv.ti A.M. e O.Va.) - c. Casa di Cura S.p.A. e Un. S.p.A. TRIBUNALE DI BARI, Sez. II CIVILE, 6/04/2011 (ud. 31/03/2011)

 

DIRITTO SANITARIO - Responsabilità dell’Ente gestore del servizio sanitario e del medico dipendente ospedaliero - c.d. contatto sociale. La responsabilità dell'ente gestore del servizio sanitario, al pari del medico dipendente ospedaliero, deve qualificarsi contrattuale, non già per l'esistenza di un pregresso rapporto obbligatorio insorto tra le parti, bensì in virtù di un rapporto contrattuale di fatto originato dal "contatto sociale" (cfr. Cass. sez.III 22.1.1999 n.589; Cass. 11.3.2002, n.3492; Cass. 14.7.2003 n.11001; Cass. 21.7.2003 n.11316; 28.5.2004 n.10297; Cass. 19.4.2006 n.9085). Giud. Agostinacchio. TRIBUNALE DI BARI, 8 luglio 2009, n. 2300

DIRITTO SANITARIO - Responsabilità professionale del medico - Inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria - Principio dell'onere della prova - Valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa. Il paziente che agisce in giudizio deducendo l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria deve provare il contratto e allegare l'inadempimento del sanitario, restando a carico del debitore l'onere di provare l'esatto adempimento. Più precisamente, consistendo l'obbligazione professionale in un'obbligazione di mezzi, il paziente dovrà provare l'esistenza del contratto e l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento, restando a carico del sanitario o dell'ente ospedaliero la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile. La distinzione tra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà non rileva dunque - come voleva la precedente giurisprudenza - quale criterio di distribuzione dell'onere della prova, ma dovrà essere apprezzata per la valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, restando comunque a carico del sanitario la prova che la prestazione era di particolare difficoltà. (Cass. 28.5.2004 n.10297). Giud. Agostinacchio. TRIBUNALE DI BARI, 8 luglio 2009, n. 2300

DIRITTO SANITARIO - Responsabilità professionale dei medico - Esecuzione della prestazione - Mancato o inesatto risultato della prestazione - Difetto di diligenza - Onere della prova. In tema di onere della prova che va accentuando il principio della vicinanza della prova, inteso come apprezzamento dell'effettiva possibilità per l'una o per l'altra parte di offrirla. Infatti, nell'obbligazione di mezzi il mancato o inesatto risultato della prestazione non consiste nell'inadempimento, ma costituisce il danno consequenziale alla non diligente esecuzione della prestazione. In queste obbligazioni in cui l'oggetto è l'attività, l'inadempimento coincide con il difetto di diligenza nell'esecuzione della prestazione, cosicché non vi è dubbio che la prova sia "vicina" a chi ha eseguito la prestazione; tanto più che trattandosi di obbligazione professionale il difetto di diligenza consiste nell'inosservanza delle regole tecniche che governano il tipo di attività al quale il debitore è tenuto” (Cass. 10297/2004, più volte cit.). Giud. Agostinacchio. TRIBUNALE DI BARI, 8 luglio 2009, n. 2300

 

DIRITTO SANITARIO - Trasparenza delle misure che regolano la fissazione dei prezzi delle specialità medicinali per uso umano - Blocco dei prezzi - Riduzione dei prezzi - Verifica delle condizioni macroeconomiche - Art. 4 Direttiva 89/105/CEE. L’art. 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/105/CEE, riguardante la trasparenza delle misure che regolano la fissazione dei prezzi delle specialità per uso umano e la loro inclusione nei regimi nazionali di assicurazione malattia, deve essere interpretato nel senso che, sempreché le condizioni poste da tale disposizione siano rispettate, le autorità competenti di uno Stato membro possono adottare misure di portata generale consistenti nella riduzione dei prezzi di tutte le specialità medicinali o di certe loro categorie, anche qualora l’adozione di simili misure non sia preceduta da un blocco di tali prezzi. Pertanto, l’art. 4, n. 1, della direttiva 89/105 deve essere interpretato nel senso che, sempreché le condizioni poste da tale disposizione siano rispettate, possono essere adottate misure di riduzione dei prezzi di tutte le specialità medicinali o di certe loro categorie più volte nel corso di un unico anno e nel ripetersi di molti anni. Inoltre, l’art. 4, n. 1, della direttiva 89/105 deve essere interpretato nel senso che non osta a che misure di controllo dei prezzi di tutte le specialità medicinali o di certe loro categorie siano adottate sulla base di stime di spesa, sempreché le condizioni poste da tale disposizione siano rispettate e tali stime si fondino su elementi obiettivi e verificabili. Infine, l’art. 4, n. 1, della direttiva 89/105 deve essere interpretato nel senso che spetta agli Stati membri determinare, nel rispetto dell’obiettivo di trasparenza perseguito da tale direttiva nonché delle prescrizioni della suddetta disposizione, i criteri in base ai quali deve essere effettuata la verifica delle condizioni macroeconomiche di cui alla disposizione stessa e che tali criteri possono consistere nella spesa farmaceutica esclusivamente, nel complesso delle spese sanitarie ovvero in altri tipi di spesa. CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. IV, 02/04/2009, proc. riuniti da C-352/07 a C-356/07, da C-365/07 a C-367/07 e C-400/07

DIRITTO SANITARIO - Specialità medicinali per uso umano - Trasparenza delle misure che regolano la fissazione dei prezzi - Decisione motivata - Necessità - Blocco e riduzione dei prezzi - Art. 4 n.2, Dir. n. 89/105/CEE. L’art. 4, n. 2, della direttiva 89/105 deve essere interpretato nel senso che: gli Stati membri devono prevedere comunque la possibilità, per un’impresa interessata da una misura di blocco o di riduzione dei prezzi di tutte le specialità medicinali o di certe loro categorie, di chiedere una deroga al prezzo imposto in forza di tali misure. Essi sono tenuti ad assicurare che sia adottata una decisione motivata in merito ad un ogni richiesta di questo tipo, e la partecipazione concreta dell’impresa interessata consiste, da un lato, nella presentazione di un esposto sufficiente dei motivi particolari che giustificano la sua richiesta di deroga e, dall’altro, nella trasmissione di informazioni particolareggiate supplementari nel caso in cui le informazioni fornite a sostegno di tale richiesta siano insufficienti. CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. IV, 02/04/2009, proc. riuniti da C-352/07 a C-356/07, da C-365/07 a C-367/07 e C-400/07

 

DIRITTO SANITARIO - Trattamento chirurgico - Omessa acquisizione del consenso informato del paziente - Esito fausto dell'intervento eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis - Rilevanza penale ex artt. 582 e 610 c.p. - Esclusione. Nei casi in cui il medico sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, e tale intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si sia concluso con esito fausto, nel senso che dall’intervento stesso è derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute, in riferimento, anche alle eventuali alternative ipotizzabili, e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte del paziente medesimo, tale condotta è priva di rilevanza penale, tanto sotto il profilo della fattispecie di cui all’art. 582 cod. pen., che sotto quello del reato di violenza privata, di cui all’art. 610 cod. pen.. Presidente T. Gemelli, Relatore A. Macchia, Ric. Mazzini. CORTE DI CASSAZIONE Sezioni Unite Penali, 21 gennaio 2009 (Ud. 18/12/2008), n. 2437

 

DIRITTO SANITARIO - Valutazione penalistica del comportamento del medico - Consenso informato del paziente alla somministrazione del trattamento sanitario - Causalità tra la condotta colposa e l’evento dannoso - Fattispecie: Prescrizione di farmaci off label: vale a dire, la somministrazione di medicinali per finalità terapeutiche diverse da quelle riconosciute ai farmaci stessi. La valutazione penalistica del comportamento del medico, che abbia cagionato un danno per il paziente, non subisce variazioni a seconda che l’attività sia stata svolta con o in assenza del consenso: «il giudizio sulla sussistenza della colpa e quello sulla causalità tra la condotta colposa e l’evento dannoso non presenta differenze di sorta a seconda che vi sia stato o non il consenso informato del paziente». Da tutto ciò il corollario conclusivo, secondo il quale il consenso informato del paziente alla somministrazione del trattamento sanitario non può costituire, ove lo stesso trattamento abbia cagionato delle lesioni, un elemento per affermare la responsabilità a titolo di colpa di quest’ultimo, a meno che la mancata sollecitazione del consenso gli abbia impedito di acquisire la necessaria conoscenza delle condizioni del paziente medesimo (sulla libertà di autodeterminazione del paziente, come limite al dovere medico di intervenire, v. Cass., Sez. IV, 4 luglio 2005, n. 38852, p.m. in proc. Del Re; Cass., Sez. IV, 23 gennaio 2008, n. 16375, p.c. in proc. Di Domenico. Per una posizione volta a privilegiare la possibilità di risolvere i casi in cui l’atto medico è affetto da vizi del consenso, facendo ricorso agli istituti della cosiddetta colpa impropria, attraverso la utilizzazione delle «categorie dell’erronea supposizione della causa di giustificazione (art. 59, c. 4, c.p.) e dell’eccesso colposo nella causa stessa (art. 55 c.p.)», v. Cass., Sez. V, 16 settembre 2008, n. 40252, Beretta). Ruocco. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. IV, 24 giugno 2008, n. 37077

 

SALUTE - Responsabilità della struttura sanitaria e responsabilità del medico - Contratto di spedalità” o di “assistenza sanitaria” - Inadempimento degli obblighi - Riparto dell’onere probatorio. La responsabilità della struttura sanitaria è di tipo contrattuale sul rilievo che l’accettazione del paziente in ospedale, ai fini di un ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto. (Cass. nn. 1698 e 9085 del 2006; Cass. 28/05/2004, n. 10297; Cass. 21/07/2003, n. 11316; Cass. 14/07/2003, n. 11001; Cass. 11/03/2002 n. 3492). Tale contratto, viene considerato atipico e qualificato come “contratto di spedalità” o di “assistenza sanitaria”, ove l’obbligazione principale consiste nel fatto di fornire al paziente l’opera professionale posta in essere dai medici dipendenti dell’ente stesso. Sicché, ai fini del riparto dell’onere probatorio, il paziente danneggiato deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto di assistenza sanitaria e l’insorgenza, o l’aggravamento della patologia dovuta ad inadempimento, mentre rimane a carico della struttura sanitaria dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato o che, pur esistendo, esso non è stato etiologicamente rilevante. Giud. Magaletti - G.D. c. Ospedale Oncologico di Bari. TRIBUNALE DI BARI 17/04/2008

 

SALUTE - Lesioni rilevatesi mortali - Responsabilità del medico - Responsabilità dell’A.s.l. - Risarcimento del danno - Criterio applicabile - Diritto dei congiunti - Danno biologico e danno non patrimoniale - Artt. 1226 e 2056 c.c.. Nell’ipotesi di persona deceduta a causa dell’illecita condotta altrui, sussiste il diritto alla risarcibilità del danno da morte iure hereditatis ai parenti. Il risarcimento del c.d. danno tanatologico (o da morte immediata), sussiste anche in assenza di un apprezzabile lasso di tempo tra la lesione colposa del diritto alla salute e l’evento morte. Nella specie, il c.d. danno biologico ha luogo non al momento del decesso della vittima ma con il prodursi delle lesioni poi rilevatesi mortali. In quanto, al momento delle lesioni il soggetto è ancora in vita e acquista il diritto al risarcimento al danno, mentre, il successivo decesso è circostanza rilevante ai fini del quantum e non dell’an debeatur. Pertanto, la quantificazione del danno non patrimoniale da uccisione impone il ricorso ai criteri di liquidazione equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c.. Infine, in sede civile hanno rilievo le relazioni causali che si presentano come effetto non del tutto imprevedibile (principio della c.d. regolarità causale - Cass. n.4791/2007), o della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”(Cass. SS.UU. n.580/2008). Giud. Barbieri - Z.G. c. Gestione liquidatoria ex U.S.L. n. 12 della Conca Ternana. TRIBUNALE DI TERNI, 4/03/2008

 

SALUTE - Errori diagnostici o terapeutici dei sanitari - Lesioni determinate da colpa medica - Querela - Termine - Decorrenza. Per la presentazione della querela, il termine inizia a decorrere dal momento in cui la persona offesa abbia avuto la piena cognizione di tutti gli elementi di natura oggettiva e soggettiva che consentono la valutazione sulla consumazione del reato, precisando che nel caso di lesioni determinate da colpa medica tale momento non può essere identificato con quello in cui la stessa persona offesa ha avuto consapevolezza dell'esistenza della patologia che lo affligge, bensì con quello, eventualmente successivo, in cui è venuta a conoscenza della possibilità che sulla menzionata patologia abbiano influito errori diagnostici o terapeutici dei sanitari che lo hanno curato. Presidente A. Morgigni, Relatore C.G. Brusco. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. IV, 3/04/2008 (Ud. 30/01/2008) Sentenza n. 13938

 

SALUTE - Intervento chirurgico non acconsentito - Morte del paziente - Scelte terapeutiche del medico errate - Qualificazione del reato - Consenso del paziente - Funzione. La prestazione di un trattamento chirurgico senza il consenso del paziente deceduto in seguito all'operazione non integra la fattispecie dell'omicidio preterintenzionale, atteso che per la configurabilità di quest'ultimo è necessario il dolo diretto intenzionale - e non meramente eventuale od indiretto - delle lesioni o delle percosse cui consegue l'evento morte. Le finalità curative che comunque muovono il sanitario, anche quando questi agisca senza il consenso del paziente, risultano, invece, concettualmente incompatibili con un dolo di questo genere, non potendosi sostenere che egli operi con la consapevole intenzione di porre in essere "atti diretti a" commettere il reato di lesioni. Pertanto, qualora la morte del paziente sia comunque addebitabile alle errate scelte terapeutiche del medico, questi risponderà del meno grave delitto di omicidio colposo. Infine, la prestazione da parte del paziente del consenso al trattamento costituisce un vero e proprio presupposto di liceità dell'attività del medico, cui non è attribuibile un generico ed incondizionato diritto di curare, atteso che l'ordinamento riconosce allo stesso paziente, non solo la facoltà di scegliere tra diverse soluzioni terapeutiche, ma altresì quella di eventualmente rifiutare qualsiasi terapia o di interromperla in qualunque momento. Presidente L. Marini, Relatore P. Piccialli. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. IV, 14/03/2008 (Ud. 16/01/2008), Sentenza n. 11335

 

SALUTE - Responsabilità del medico - Psichiatra sospensione imprudente del trattamento farmacologico - Fattispecie: Omicidio doloso commesso dal paziente e concorso colposo del medico nel delitto. E’ configurabile il concorso colposo nel delitto doloso, sia nel caso in cui la condotta colposa concorra con quella dolosa alla causazione dell'evento secondo lo schema del concorso di cause indipendenti, sia in quello di vera e propria cooperazione colposa, purchè in entrambi i casi il reato del partecipe sia previsto dalla legge anche nella forma colposa e nella sua condotta siano effettivamente presenti tutti gli elementi che caratterizzano la colpa. In particolare è necessario che la regola cautelare inosservata sia diretta ad evitare anche il rischio dell'atto doloso del terzo, risultando dunque quest'ultimo prevedibile per l'agente. Nella fattispecie è stata confermata la condanna del medico psichiatra, il quale, sospendendo in maniera imprudente il trattamento farmacologico cui era sottoposto il paziente ricoverato in una comunità, ne aveva determinato lo scompenso, ritenuto la causa della crisi nel corso della quale lo stesso paziente aveva aggredito ed ucciso uno degli operatori che lo accudivano. Presidente L. Marini, Relatore C.G. Brusco. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. IV, 11/03/2008 (Ud.14/11/2007) Sentenza n. 10795

 

DIRITTO SANITARIO - Trattamento medico-chirurgico - Mancanza di un valido consenso informato - Omicidio preterintenzionale - Esclusione - Art. 584 cod. pen. - Fondamento. In tema di trattamento medico-chirurgico, qualora, in mancanza di un valido consenso informato ovvero in presenza di un consenso prestato per un trattamento diverso, il chirurgo esegua un intervento da cui derivi la morte del paziente, non è configurabile il reato di omicidio preterintenzionale, poichè la finalità curativa comunque perseguita dal medico deve ritenersi concettualmente incompatibile con la consapevole intenzione di provocare un’alterazione lesiva della integrità fisica della persona offesa invece necessaria per l’integrazione degli atti diretti a commettere il reato di lesioni richiesti dall’art. 584 cod. pen.. Dunque, il consenso espresso da parte del paziente a seguito di una informazione completa sugli effetti e le possibili controindicazioni di un intervento chirurgico, è vero e proprio presupposto di liceità dell’attività del medico che somministra il trattamento, al quale non è attribuibile un generale diritto di curare a prescindere dalla volontà dell’ammalato. Il medico, infatti, di regola e al di fuori di taluni casi eccezionali (allorchè il paziente non sia in grado per le sue condizioni di prestare il proprio consenso o dissenso, ovvero, più in generale, ove sussistano le condizioni dello stato di necessità di cui all’art. 54 cod. pen.), non può intervenire senza il consenso o malgrado il dissenso del paziente. Il consenso informato, ha come contenuto concreto la facoltà, non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche eventualmente di rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche quella terminale. Tale conclusione, fondata sul rispetto del diritto del singolo alla salute, tutelato dall’art. 32 della Costituzione (per il quale i trattamenti sanitari sono obbligatori nei soli casi espressamente previsti dalla legge), sta a significare che il criterio di disciplina della relazione medico-malato è quello della libera disponibilità del bene salute da parte del paziente in possesso delle capacità intellettive e volitive, secondo una totale autonomia di scelte, che può comportare il sacrificio del bene stesso della vita e che deve sempre essere rispettata dal sanitario. p.c. in proc. Huscer. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. IV, 16 gennaio 2008, n. 11335

 

SALUTE - Responsabilità del medico - Interruzione della gravidanza - Aborto colposo - Condotta penalmente rilevante - Vitalità del feto - Rilevanza Esclusione - Fattispecie: il medico curante aveva omesso di intervenire con tempestivo parto cesareo. In tema di aborto colposo, la condotta penalmente rilevante è costituita dalla violazione delle regole cautelari volte a prevenire lo specifico evento considerato dalla norma incriminatrice, e cioè l’interruzione della gravidanza e la morte del feto, a nulla rilevando l’eventuale assenza di vitalità del feto e dunque l’impossibilità di vita autonoma. (Fattispecie in cui, a fronte di una condanna per aborto colposo, per essere stato accertato che il medico curante aveva omesso di intervenire con tempestivo parto cesareo, avendo trascurato la corretta valutazione della paziente ed in particolare gli esiti del tracciato cardiotocografico che presentava chiare anomalie sintomatiche di sofferenza fetale, la Corte ha rilevato l’incongruità delle deduzioni difensive che prospettavano dubbi circa la vitalità del feto). Presidente L. R. Calabrese, Relatore M.S. Di Tomassi. CORTE DI CASSAZIONE Sez. V Penale, 20/07/2007 (Ud. 20/04/2007), Sentenza n. 29352

 

SALUTE - Esercizio abusivo della professione - Interventi di detartarizzazione - Art. 348 c.p. - Fattispecie. Soltanto l’igienista dentale in luogo del medico dentista, - e non già l’assistente di poltrona - può, a seguito della normativa contenuta nella legge 26 febbraio 1999, n. 42 e D.M. 15 marzo 1999, n. 137, eseguire operazioni di detartarizzazione. Nel caso di specie, relativi a fatti commessi prima dell’entrata in vigore della suddetta normativa, è stato stabilito, pur nel silenzio della previgente normativa, che le operazioni di detartarizzazione, in quanto consistenti in atti invasivi sulla persona del paziente, dovevano ritenersi comunque riservate ai soli medici abilitati. Presidente S. F. Mannino, Relatore G. Paoloni. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. VI, del 24/04/2007 (Ud. 07/02/2007), Sentenza n. 16527

 

Salute - Medico - Responsabilità civile - Mancata interruzione di gravidanza - Malformazione del feto - Aborto "eugenetico" - Esclusione - Diritto di informazione - Configurabilità. Non è configurabile un diritto a “non nascere” o a "non nascere se non sano”, essendo per converso tutelato dall'ordinamento - anche mediante sanzioni penali - il diritto del concepito a nascere, pur se con malformazioni o patologie. E’ da escludersi pertanto la configurabilità del c.d. aborto eugenetico, che prescinda dal pericolo derivante alla salute della madre dalle malformazioni del feto. Presidente G. Fiduccia, Relatore M. Massera. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III Civile, 14/07/2006, Sentenza n. 16123

 

Salute - Interruzione di gravidanza dopo il novantesimo giorno - Presupposti - Risarcimento del danno per la lesione del diritto all'interruzione della gravidanza. A norma dell'art. 6 lett. b) della legge n. 194 del 1978, per la possibilità giuridica di ricorrere all'interruzione di gravidanza dopo il novantesimo giorno non è sufficiente la presenza di anomalie o malformazioni del nascituro, ma è necessario che tale presenza determini processi patologici in atto consistenti in un "grave" pericolo per la salute fisica o psichica della madre. La parte che richiede il risarcimento del danno per la lesione del diritto all'interruzione della gravidanza in conseguenza della violazione da parte dei sanitari del diritto all'informazione deve pertanto provare che, quantomeno in termini di probabilità scientifica, la patologia necessaria per ricorrere all'interruzione di gravidanza sarebbe stata manifesta in conseguenza della informazione da parte dei medici. Presidente G. Fiduccia, Relatore M. Massera. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III Civile, 14/07/2006, Sentenza n. 16123

 

Salute - Malformazioni del feto - Diritto all’informazioni dello stretto congiunto - Esclusione. Non è configurabile il diritto dello stretto congiunto (nel caso, sorella) del nato ad essere informato in ordine alle malformazioni del feto. Presidente G. Fiduccia, Relatore M. Massera. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III Civile, 14/07/2006, Sentenza n. 16123

 

Salute - Tutela del concepito e l'evoluzione della gravidanza - C.d. "diritto a nascere". L'ordinamento positivo tutela il concepito e l'evoluzione della gravidanza esclusivamente verso la nascita, e non anche verso la "non nascita", essendo pertanto al più configurabile un "diritto a nascere" e a "nascere sani", suscettibile di essere inteso esclusivamente nella sua positiva accezione, sia sotto il profilo privatistico della responsabilità contrattuale o extracontrattuale o da "contatto sociale", sia sotto il profilo latamente pubblicistico, della predisposizione di tutti gli istituti normativi e di tutte le strutture di tutela, cura e assistenza della maternità idonei a garantire (nell'ambito delle umane possibilità) di nascere sano. Cass., 29/4/2004, n. 14488. Presidente G. Fiduccia, Relatore M. Massera. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III Civile, 14/07/2006, Sentenza n. 16123

 

Salute - Medico - Obbligo di esatta informazione - Risarcimento del danno - Tutelato dell'ordinamento. Il risarcimento del danno per il mancato esercizio del diritto all’interruzione della gravidanza non consegue automaticamente all’inadempimento dell’obbligo di esatta informazione cui il medico è tenuto in ordine alle possibili anomalie o malformazioni del nascituro, essendo al riguardo necessaria la prova della sussistenza delle condizioni previste dagli artt. 6 e 7 L. n. 194 del 1978 per ricorrere all’interruzione della gravidanza, pur sussistendo il diritto del concepito a nascere, anche se con malformazioni o patologie, e ad essere propriamente - anche mediante sanzioni penali - tutelato dall'ordinamento, Cass. 24/3/1999, n. 2793. Presidente G. Fiduccia, Relatore M. Massera. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III Civile, 14/07/2006, Sentenza n. 16123

 

Salute - Medici - Giudizi disciplinari - Diritto di difesa tecnica - Esclusione - Mera facolta’. Nel procedimento disciplinare promosso a carico di un medico, l'incolpato ha la facoltà di avvalersi della assistenza di un difensore o di un esperto di fiducia, ma l'affermazione di tale facoltà di difesa non impone, nel silenzio della legge, alcun obbligo procedimentale a carico dell'organo disciplinare, dalla cui violazione possa conseguire l'illegittimità del procedimento. Ne consegue che l'assenza di un difensore tecnico non è causa di nullità del procedimento (e non confligge con i principi costituzionali del diritto di difesa), posto che sia l'ordine sia il professionista discutono di vicende tecniche che entrambi sono perfettamente in grado di valutare in base alla propria esperienza e professionalità. Presidente G. Fiduccia, Relatore M. Finocchiaro. CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. III, 23/05/2006, Sentenza n. 12118

 

Salute - Brevetti - Medicinali - Nozione di "composizione di principi attivi" - Ravvicinamento delle legislazioni - Istituzione di un certificato protettivo complementare per i medicinali - (C-431/04). La nozione di «composizione di principi attivi di un medicinale», ai fini dell’art. 1, lett. b), del regolamento (CEE) del Consiglio 18 giugno 1992, n. 1768, sull’istituzione di un certificato protettivo complementare per i medicinali, non comprende una composizione costituita da due sostanze delle quali soltanto una è dotata di effetti terapeutici propri per una determinata indicazione, mentre l’altra consente di ottenere una forma farmaceutica del medicinale necessaria all’efficacia terapeutica della prima sostanza per la medesima indicazione. Massachusetts Institute of Technology. CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE, 04/05/2006, Procedimento C-431/04

 

Tutela della salute - Condotta omissiva del medico - Responsabilita’ - Nesso causale - Omicidio colposo - Leggi statistiche. Nell’accertamento del nesso causale tra la condotta omissiva del medico e l’evento letale incorso al paziente, le leggi statistiche sono uno degli elementi di valutazione che il giudice deve prendere in esame unitamente a tutte le altre emergenze del caso concreto, sicché l’affermazione del nesso causale non può fondarsi soltanto sul calcolo statistico ma deve trovare giustificazione nell’apprezzamento di tutti gli specifici fattori che connotano la vicenda concreta. La Corte chiarisce che il giudice, muovendo dalle leggi statistiche, deve verificare se esse siano adattabili al caso in esame, prendendo in considerazione le caratteristiche specifiche capaci di smentirne in concreto l’efficacia esplicativa, e verificando altresì se siano compatibili con l’età, il sesso, le condizioni generali del paziente, con eventuali altri fenomeni morbosi, con la sensibilità individuale ad un determinato trattamento farmacologico. Presidente D. Nardi, Relatore F. Monastero. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. IV, 12/04/2006 (UD.09/02/2006), Sentenza n. 12894

 

Salute - Responsabilità medica - Responsabilità extracontrattuale - Violazione dell’obbligo del consenso informato. Importante decisione della Corte di cassazione civile in tema di responsabilità del sanitario (e di riflesso della struttura per cui egli agisce) per violazione dell’obbligo del consenso informato. Affrontando per la prima volta la questione, la Corte afferma che la responsabilità del sanitario per violazione dell’obbligo del consenso informato discende dalla tenuta della condotta omissiva di adempimento dell’obbligo di informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente venga sottoposto e dalla successiva verificazione, in conseguenza dell’esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con essa, di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, mentre, ai fini della configurazione di siffatta responsabilità è del tutto indifferente se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno, svolgendo rilievo la correttezza dell’esecuzione agli effetti della configurazione di una responsabilità sotto un profilo diverso, cioè riconducibile, ancorché nel quadro dell’unitario “rapporto” in forza del quale il trattamento è avvenuto, direttamente alla parte della prestazione del sanitario (e di riflesso della struttura ospedaliera per cui egli agisce) concretatesi nello svolgimento dell’attività di esecuzione del trattamento. In altri termini, secondo la Corte, la correttezza o meno del trattamento non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, in quanto è del tutto indifferente ai fini della configurazione della condotta omissiva dannosa e dell’ingiustizia del fatto, la quale sussiste per la semplice ragione che il paziente, a causa del deficit di informazione, non è stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, con la conseguenza che, quindi, tale trattamento non può dirsi avvenuto previa prestazione di un valido consenso ed appare eseguito in violazione tanto dell'art. 32, secondo comma, della Costituzione (a norma del quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge), quanto dell'art. 13 della Costituzione (che garantisce l'inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica), e dall'art. 33 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (che esclude la possibilità d'accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità; ex art. 54 cod. pen.), donde la lesione della situazione giuridica del paziente inerente alla salute ed all’integrità fisica per il caso che esse, a causa dell’esecuzione del trattamento, si presentino peggiorate. Per converso, sul piano del danno-conseguenza, venendo in considerazione il mero peggioramento della salute e dell’integrità fisica del paziente, rimane del tutto indifferente che la sua verificazione sia dovuta ad un’esecuzione del trattamento corretta o scorretta. Presidente V. Duva, Relatore R. Frasca. CORTE DI CASSAZIONE Sezione Terza Civile, del 14 marzo 2006, Sentenza n. 5444

 

DIRITTO SANITARIO - Attività medica - Manifestazione del consenso del paziente - Necessità - Assenza del consenso - Arbitrarietà del trattamento medico-chirurgico - Rilevanza penale - Art. 50 c.p.. L’attività medica richiede per la sua validità e concreta liceità la manifestazione del consenso del paziente, che non si identifica con quello di cui all’art. 50 c.p., ma costituisce un presupposto di liceità del trattamento; derivandone da ciò che la mancanza o la invalidità del consenso determinano la arbitrarietà del trattamento medico-chirurgico e, quindi, la sua rilevanza penale, in quanto compiuto in violazione della sfera personale del soggetto e del suo diritto di decidere se permettere interventi estranei sul proprio corpo. Caneschi. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. VI, 14 febbraio 2006, n. 11640

 

Salute - Terapia Di Bella - Acquisto dei farmaci - Rimborsabilità dei farmaci da parte del SSN - Condizioni. La Corte ricostruisce la complessa problematica connessa alla cosiddetta terapia antitumorale Di Bella, per verificare la configurabilità del diritto dell'assistito al rimborso da parte del SSN delle spese sostenute per l'acquisto dei farmaci (nel periodo precedente alla conclusione con esito non favorevole della relativa sperimentazione, sancita con ordinanza ministeriale 20 novembre 1998) e distingue il periodo precedente all'entrata in vigore del D.L. 16 giugno 1998,n. 186 convertito in legge 30 luglio 1998, n. 257 (18 giugno 1998) dal periodo successivo. Nel periodo che va fino al 17 giugno 1998, a seguito della sentenza Corte cost. n. 185 del 1998, il diritto alla salute del paziente è assicurato dalla diretta somministrazione del farmaco, con onere a carico del SSN, alla sola condizione che il medico curante ne abbia ritenuto l'indispensabilità,mentre per il periodo successivo alla entrata in vigore del D.L. 16 giugno 1998, n.186 il diritto al rimborso delle spese sostenute per l'acquisto dei farmaci necessari per seguire il multitrattamento Di Bella è subordinato alla condizione che l'accesso alla sperimentazione sia avvenuto nei centri specializzati autorizzati, sulla base dell'attestazione del medico curante di inefficacia dei trattamenti convenzionali, e della sua richiesta di somministrazione al paziente del trattamento Di Bella, o in alternativa il diritto al rimborso sussiste sulla base della somministrazione del multitrattamento sotto l'esclusiva responsabilità del medico curante, ma soltanto se il responsabile del centro autorizzato non abbia ritenuto opportuna la terapia. Presidente S. Senese, Relatore G. Amoroso. CORTE DI CASSAZIONE Sezione Lavoro, del 13 gennaio 2006, Sentenza n. 520

 

Salute - Medici responsabilità - Intervento chirurgico - Informazione - Obbligo - Inadeguata o non completa informazione - Conseguenze - Intervento correttamente eseguito - Autonoma risarcibilità del danno da consenso disinformato - Limiti - C.d. “diritto alla scelta” - Fattispecie. Nonostante l'intervento sia stato correttamente eseguito, l'incompleta informazione fornita dal medico al paziente sui postumi dell'intervento costituisce un inadempimento contrattuale che obbliga al risarcimento del danno subito, nei fatti può ritenersi comunque leso il diritto del paziente ad una scelta consapevole anche del momento in cui sottoporsi all'operazione (Trib. Venezia 4/10/2004). Nella specie il medico e l'ospedale sono stati condannati al risarcimento del danno subito dal paziente che, se avesse avuto conoscenza dei postumi dell'intervento, avrebbe potuto scegliere di sottoporsi all'operazione in un altro momento (sul tema si veda: Cass. 23/05/2001 n. 7027; Cass. 16/05/2000, n. 6318; Cass. 06/10/1997, n. 9705; Cass. 24/9/1997, n. 9374). Est. Braccialini - D.S.c. Asl. TRIBUNALE DI GENOVA, 10 gennaio 2006

 

Salute - Reato - Rapporto di causalità - Morte del paziente come conseguenza del delitto ex art. 348 cod. pen. - Concorrente condotta negligente di un medico effettivo - Concorso di cause - Condizioni (artt. 40, 41, 348, 586, cod. pen.). In una fattispecie nella quale un paziente era deceduto per una malattia non tempestivamente rilevata dall’imputato, soggetto che si era abusivamente attribuito la qualità di medico e che in tale veste aveva tenuto “in cura” la persona offesa, la Corte di Cassazione ha ritenuto che fosse corretta la impostazione della accusa (invece disattesa dal Gip e dal Tribunale del riesame ) secondo cui si trattava di una condotta atta ad essere inquadrata nella fattispecie di cui all’art. 586 cod. pen. (morte come conseguenza di altro delitto, quello cioè di cui all’art. 348 cod. pen.). La singolarità della decisione sta peraltro nel rilievo, riferito alla configurazione del rapporto di causalità in generale, che la circostanza che assieme al medico “abusivo” avesse operato e assunto determinazioni cliniche anche un medico effettivo, non era valsa ad escludere il detto rapporto di causalità ai sensi del comma 2 dell’art. 41 cod. pen. Infatti, perché si configurasse la esclusione del rapporto nel concorso di cause, occorreva che fosse possibile assegnare al medico abusivo “un ruolo così minimo e trascurabile da qualificare il vero medico quale unico referente per spiegare la morte del paziente”. Ha aggiunto la Suprema Corte che “la frattura della continuità fra condotta ed evento viene riconosciuta, dall’art. 41, soltanto in riferimento ad ipotesi di risicatissima compartecipazione eziologia e di concorrente apporto di terzi che risulti eccezionale e del tutto sovrastante”. E’ stato infine sottolineato che il concorso era individuabile anche dal punto di vista della partecipazione psichica posto che l’esito tragico della terapia (farmaci omeopatici) imposta alla paziente (affetta, come di seguito accertato, da un grave linfoma, non riconosciuto dall’imputato nonostante gli esami ecografici) era “astrattamente rappresentabile e forse del tutto prevedibile”. Presidente P.F. Marini, Relatore G.G. Sandrelli. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. V, 25/10/2005, (Ud.04/10/2005), Oridnanza n. 39246

 

Salute - Somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute - Integratori alimentari - Prodotti contenenti “ creatyl” e “ creatina HPCL 99” - Condizioni - Artt. 8 e 23 D. Lgs. n. 178/1991 - Artt. 445 e 515 c.p.. Mettere in commercio come integratori alimentari i prodotti contenenti “ creatyl” e “ creatina HPCL 99” in quantità superiore per unità ai sei grammi al giorno, accompagnandoli con un depliant pubblicitario che menziona la capacità di ovviare al ridotto tono muscolare può configurare, da un lato, la contravvenzione di cui agli artt. 8 e 23 del D. Lgs. 29 maggio 1991 n. 178, E dall’altro, i reati previsti dagli artt. 445 e 515 cod. pen., in quanto, dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’11/6/1999 della circolare ministeriale 7 giugno 1999 n. 8 contenente “ Le linee guida sugli alimenti adatti a sostenere un intenso sforzo muscolare soprattutto per gli sportivi”, può ritenersi raggiunta la consapevolezza che la creatina, superato un determinato dosaggio, si trasforma da integratore alimentare in sostanza medicinale. Presidente G. Savignano, Relatore F. Mancini. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 12 ottobre 2005 (Ud. 18/05/2005), Sentenza n. 36943

 

Tutela della salute - Attività medico-chirurgica - Responsabilità del medico - Risarcimento dei danni - Azione - Omessa diagnosi di malformazioni del feto. In tema di responsabilità del medico per omessa diagnosi di malformazioni del feto, e conseguente nascita indesiderata, il risarcimento dei danni che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento del ginecologo all’obbligazione di natura contrattuale gravante su di lui, spetta non solo alla madre ma anche al padre, in quanto su entrambi grava il complesso di diritti e doveri che derivano dalla procreazione. Pres. P. Vittoria, Rel. I. Purcaro. CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. III, 20/10/2005, Sentenza n. 20320

 

DIRITTO SANITARIO - Tutela della salute - Somministrazione di vaccino in assenza del medico - Omissione e negligenze specifica del medico - Cumulo di cariche - Ininfluenza - Criterio della probabilità e idoneità della condotta - Applicabilità - Criterio della certezza degli effetti della condotta - Esclusione. L’omissione specifica, puntuale, da parte del medico, non può non assumere una colorazione particolare alla luce del cumulo, della qualità di Responsabile del Servizio igiene pubblica e di Coordinatore sanitario, e che, oltre a fondare una responsabilità di tipo specifico derivante da violazione di obblighi di servizio realizzata a mezzo di comportamenti puntuali caratterizzati da manifesto disinteresse, evidenti omissioni e negligenze di particolare gravità (Corte conti, sez. giur. Molise, sent. n. 2 del 2000), vale a rendere credibile, nella specie, la tesi secondo la quale il convenuto avrebbe autorizzato o tollerato (nei due casi la sostanza non muta, agli effetti del presente giudizio) la somministrazione del vaccino in assenza del medico, tanto nella fase esecutiva quanto in quella di anamnesi. Il criterio della certezza degli effetti della condotta omessa risulta espressamente abbandonato da Cass. 4 marzo 2004, n. 4400 in favore di quello della probabilità degli stessi e dell'idoneità della condotta a produrli ove posta in essere, essendosi affermato che l'aggravamento della possibilità che, a causa dell'inadempimento del medico, un effetto negativo si produca, può essere apprezzato anche in termini di perdita di chances "non essendo dato esprimere, in relazione ad un evento esterno ... non più suscettibile, di verificarsi, certezze di sorta, nemmeno di segno morale, ma solo semplici probabilità di un'eventuale diversa evoluzione della situazione stessa” Cass. 21.6.2004, n. 11488. Pres. NICOLETTI - Rel. ATELLI. CORTE DEI CONTI Sez. Giurisd.le Reg. LOMBARDIA 14 novembre 2005 (ud.13.1.2005), Sentenza n. 695 (vedi: sentenza per esteso)

DIRITTO SANITARIO - Salute - Personale paramedico - Potere di somministrazione delle domande e raccolta dell’anamnesi - Limiti - Standard minimo di diligenza - Obblighi di servizio del medico. La somministrazione delle domande e raccolta dell’anamnesi possono anche aver luogo senza la presenza fisica del medico (ad esempio, possono svolgersi tramite distribuzione ad opera di personale paramedico di un questionario ai pazienti presenti nella sala d’attesa mentre il medico pratica le vaccinazioni nell’adiacente ambulatorio), ma la decisione finale va presa, nel corso della stessa sessione vaccinale, sempre ed esclusivamente dal medico. Va dunque considerato, tale comportamento, contraddistinto da macroscopiche omissioni e contrario a regole deontologiche elementari, in quanto posto in essere senza adottare quelle cautele, cure o conoscenze che costituiscono lo richiesto con specifico riguardo all’attività medica esercitata. Pres. NICOLETTI - Rel. ATELLI. CORTE DEI CONTI Sez. Giurisd.le Reg. LOMBARDIA 14 novembre 2005 (ud.13.1.2005), Sentenza n. 695 (vedi: sentenza per esteso)

DIRITTO SANITARIO - Tutela della salute - Responsabilità del medico - Inosservanza di elementari cautele organizzative - Fattispecie: somministrazione del vaccino all’utenza in assenza del medico. Sussiste la responsabilità da grave negligenza è caratterizzata imprudenza ed imperizia, anche nella plurima qualità di medico di turno, Responsabile del Servizio e di Coordinatore sanitario, riconducibile - prima e più ancora che alla inosservanza delle metodiche diagnostiche e terapeutiche dettate dalla scienza medica in quella disciplina, secondo il livello raggiunto dalla ricerca e impiegato normalmente nella pratica nosografia, tenendo conto dei mezzi impiegati al riguardo e perciò del comportamento medico conforme alle regole della deontologia professionale che postulano il suo scrupoloso impegno, con diligenza superiore alla media nell’uso di tutte le tecniche dettate dalla scienza clinica e di ogni altro accorgimento suggerito dalla comune esperienza - all’inosservanza di elementari cautele organizzative intese a evitare che, al di fuori dell’orario stabilito e in assenza del medico, l’ambulatorio potesse continuare ad operare, e fosse dunque possibile la somministrazione del vaccino all’utenza. Inoltre, la responsabilità va affermata anche alla luce e in ragione della condotta omissiva di speciale gravità tenuta in ordine alla mancata promozione dell’azione disciplinare e alla mancata irrogazione della relativa sanzione. Omissione, questa, tale da rendere credibile, nella fattispecie, che fosse autorizzato o tollerato la somministrazione del vaccino in assenza del medico, tanto nella fase esecutiva quanto in quella di anamnesi, e comunque inammissibilmente idonea a ingenerare nel rimanente personale una percezione di non rischiosità, parimenti dal punto di vista disciplinare, di analoghi comportamenti devianti. Pres. NICOLETTI - Rel. ATELLI. CORTE DEI CONTI Sez. Giurisd.le Reg. LOMBARDIA 14 novembre 2005 (ud.13.1.2005), Sentenza n. 695 (vedi: sentenza per esteso)

 

DIRITTO SANITARIO - Salute - Danni da errore diagnostico del medico - Risarcimento - Sussiste - Soggetti - Colpevole inadempimento del sanitario - Fattispecie: malformazioni del nascituro. Spetta anche nei confronti del padre del concepito, il risarcimento dei danni che costituiscono conseguenza immediata e diretta del colpevole inadempimento del sanitario. Sicchè, si producono gli “effetti protettivi” per i danni da errore diagnostico del medico sulle malformazioni del nascituro causate da “contratto di prestazione d'opera professionale”. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. III, 20/10/2005, Sentenza n. 20320
 

DIRITTO SANITARIO - Salute - Esercizio abusivo della professione medica - Attività di optometrista - Misurazione della vista - Configurabilità del reato - Esclusione. La condotta dell’optometrista che effettua una correzione prismatica, non configura il reato di abusivo esercizio della professione medica, in quanto si tratta di un’attività consistente nella semplice misurazione della potenza visiva con prescrizione di lenti correttive, che non implica necessariamente una diagnosi medico oculistica diretta ad individuare malattie o imperfezioni dell’occhio per fini terapeutici. Sicché, legittimamente l'ottico può misurare la vista ai clienti e prescrivere l'utilizzo di lenti a contatto per correggere i disturbi visivi perché questa attività non è riservata agli oculisti ma, anzi, è propria degli ottici optometristi. Pres. Sansone - Rel. Mannino - P.M. Galati. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. VI, 4.09.2003 (c.c. 24.06.2003), sentenza n. 35101

 

DIRITTO SANITARIO - Salute - Obbligo di reperibilità del medico - Licenziamento individuale - Lavoro subordinato. Il contenuto della condizione di “reperibilità” prevista per il personale medico implica l’obbligo per il medico di mettersi in condizione di poter essere reperito con mezzi ordinari e con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico, estesa anche al controllo del corretto funzionamento degli strumenti a sua disposizione - teledrin e telefono, fisso o mobile, etc. -, nonchè delle proprie condizioni fisiche (eventualmente con richiesta di sostituzione, in caso di eccessiva stanchezza), dovendosi escludere la legittimità di una prassi che consenta il reperimento del medico di turno a mezzo delle forze dell'ordine o del servizio 118. Presidente G. Sciarelli, Relatore C. Di Iasi. CORTE DI CASSAZIONE Sezione Lavoro, 14 luglio 2005, Sentenza n. 14816

 

DIRITTO SANITARIO - Salute - Struttura di cura privata ed un'azienda sanitaria locale - Controversia - Giurisdizione - G.A. - Limiti - Indennità, canoni ed altri corrispettivi - Concessioni di pubblici servizi - Sanita’. La controversia tra una struttura di cura privata ed un'azienda sanitaria locale concernente il pagamento di prestazioni sanitarie erogate in regime di convenzione, poiché non attiene alla validità o alla determinazione del contenuto della convenzione intercorsa tra il soggetto privato e l'A.S.L., ma solo al corrispettivo preteso dal privato concessionario, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario. La Corte ha ritenuto che, dopo la parziale dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 33 del d.lgs. n. 80 del 1998, come modificato dall'art. 7 della legge n. 205 del 2000, pronunciata dalla Corte costituzionale (sentenza n. 204 del 2005, rilevante nella specie per la naturale retroattività delle sentenze di accoglimento), per effetto della quale le controversie relative a concessioni di pubblici servizi (come l'esercizio del servizio sanitario nazionale da parte di soggetti privati) sono devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva, escluse le indennità, canoni ed altri corrispettivi, ritorna ad essere applicabile il criterio di riparto della giurisdizione già presente nell'art. 5 della legge n. 1034 del 1971, prima delle modifiche apportate con il suddetto art. 33. Presidente V. Carbone, Relatore F. Roselli. CORTE DI CASSAZIONE Sezioni Unite Civili, 6 luglio 2005, Ordinanza n. 14198

 

DIRITTO SANITARIO - Salute - Colpa professionale del medico-chirurgo e paramedico - Decorso post-operatorio - Affidamento del paziente a personale paramedico - Morte del paziente - Responsabilità - Fattispecie. Sussiste la responsabilità per colpa professionale del personale medico e paramedico, qualora si ometta di assicurare la dovuta protezione nei confronti di un paziente nella fase post-operatoria, indipendentemente dal fatto che siano stati rispettati il proprio turno di lavoro e le regole che presiedono agli obblighi contrattuali, in quanto ogni operatore di una struttura sanitaria è portatore di una posizione di garanzia verso il paziente, la cui salute va tutelata contro un qualunque pericolo che ne minacci l’integrità. Ne consegue la responsabilità per la morte del paziente sia del medico-chirurgo che, dopo avere eseguito un’operazione chirurgica, pur perfettamente riuscita, lo abbia affidato nelle mani di personale paramedico non in grado di fornire idonea assistenza post-operatoria, sia del medico di guardia che, pur rimanendo a disposizione nella propria stanza durante il turno di servizio, abbia omesso di informarsi sulla presenza di pazienti in situazioni di emergenza, sia del personale infermieristico per non avere raccolto durante la notte le richieste allarmate di intervento da parte dei familiari del paziente. Presidente G. S. Coco, Relatore E. Calmieri. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sezione IV, 11 marzo 2005 (Ud. 1° dicembre 2004), Sentenza n. 9739

 

DIRITTO SANITARIO - Salute - Fumatore - Abuso di sigarette - Malattia contratta - Nesso di causalità tra prova diretta ed immediata tra la patologia denunciata e il fumo attivo - Necessità. In mancanza di prova diretta ed immediata tra la patologia denunciata (carcinoma della laringe) e il fumo attivo, non può ritenersi sussistente il nesso di causalità tra malattia contratta dal fumatore e l’abuso di sigarette. Giud. Unic. Molfino - R. Ministero della Sanità e altri. TRIBUNALE DI NAPOLI, 15 dicembre 2004
 

DIRITTO SANITARIO - Salute - Procedure e varie - Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo- Fattispecie: pagamento di forniture di prodotti sanitari e farmaceutici - medici convenzionati esterni per l'espletamento di prestazioni sanitarie. L'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo risulta ancorata all'elemento funzionale, cioè al soddisfacimento diretto di bisogni di interessi generali (cfr. Cass.civ., SS.UU., 30 marzo 2000, n. 71, che ha escluso la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine a controversia inerente il pagamento di forniture di prodotti sanitari e farmaceutici effettuate ad Azienda sanitaria locale da parte di Case farmaceutiche); in tale ambito si inscrive anche Cass.civ., SS.UU. n. 532 del 3 agosto 2000 che, parimenti, esclude la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alle convenzioni concluse dal Servizio sanitario nazionale con medici convenzionati esterni per l'espletamento di prestazioni sanitarie; analogamente, per l'esclusione di attività strumentali consistenti nella acquisizione di servizi (cfr. Cass. civ., SS.UU., 22 luglio 2002, n. 10726, in fattispecie concernente attività progettuale svolta da libero professionista in favore di una A.S.L.). CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 05 ottobre 2004 (C.C. 13 luglio 2004), Sentenza n. 6489

 

DIRITTO SANITARIO - Salute - Esercizio abusivo della professione medica - Attività di optometrista - Misurazione della vista - Configurabilità del reato - Esclusione. La condotta dell’optometrista che effettua una correzione prismatica, non configura il reato di abusivo esercizio della professione medica, in quanto si tratta di un’attività consistente nella semplice misurazione della potenza visiva con prescrizione di lenti correttive, che non implica necessariamente una diagnosi medico oculistica diretta ad individuare malattie o imperfezioni dell’occhio per fini terapeutici. Pres. Sansone - Rel. Mannino - P.M. Galati. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. VI 4.09.2003 (c.c. 24.06.2003), sentenza n. 35101

 

DIRITTO SANITARIO - Salute - Colpa professionale medica - Lesioni colpose - Nesso di causalità - Leggi statistiche - Falso in atto pubblico per omissione - Cartella clinica - Condizioni. Come per tutti gli altri elementi della fattispecie, anche il nesso causale può essere provato, secondo il meccanismo di cui all’art. 192 c. 2 c.p.p., sulla base di indizi, in quanto gravi, precisi e concordanti. La ricostruzione del nesso di causalità, pertanto, deve essere operata in base a tutti gli elementi in concreto disponibili, dei quali il dato statistico è solo uno dei tanti: sicchè la modesta probabilità di verificazione di un evento secondo determinate modalità non esclude che questo, in concreto, si sia realizzato se in tal senso convergono tutti gli elementi. In tema di colpa medica è applicabile anche in sede penale il disposto di cui all’art. 2236 cod. civ. in ordine al limite della colpa grave, ma solo con riferimento alla imperizia. È configurabile il falso anche nel caso della omessa indicazione di una circostanza se questa doveva essere indicata nell’atto. - Giudice De Marco TRIBUNALE DI MESSINA in composizione monocratica sezione II - sentenza 31/3/2003

 

DIRITTO SANITARIO - Commette i reati di abuso d'ufficio, truffa aggravata e violazioni al dovere di fedeltà alla P.A. il medico che “consiglia” il ricovero presso una clinica privata del paziente proveniente dalla struttura pubblica. La manifestazione della necessità di accertamenti e interventi tempestivi unita a quella dei lunghi tempi della struttura pubblica, accompagnata dal diniego della possibilità di sollecito ricovero presso di essa, costituisce un argomento certamente idoneo ad indurre la parte interessata (e gravemente preoccupata per un possibile esito letale) ad accettare la prospettazione dell'imputato di ricorrere alla struttura privata. (In specie un medico è stato indagato per abuso d'ufficio e truffa aggravata per aver dirottato in una clinica privata pazienti gravi che si erano rivolti alla struttura pubblica, facendosi pagare parcelle salate per prestazioni effettuate come professionista privato). La Suprema Corte ha ribadito che il medico, anche di fronte alle lunghe liste d'attesa e alla carenza di posti letto, deve fare tutto il possibile per operare immediatamente il paziente in una struttura pubblica, e, se ciò non sia possibile, avviarlo presso un'altra struttura disponibile, purché pubblica. Del resto la Corte territoriale ha individuato le violazioni di legge con riferimento al dovere di fedeltà alla P.A. e al mancato apprestamento del ricovero del paziente presso altra struttura pubblica proprio sul paradigma del capo di imputazione che contestava al G. di avere fatto ricoverare presso una clinica privata il paziente proveniente dalla struttura pubblica da cui egli dipende e nel non essersi attivato nell'ambito della medesima struttura pubblica al fine di consentire l'immediato intervento. Corte di Cassazione, Sezione II Penale, del 13 gennaio 2003 sentenza n. 960 (vedi: sentenza per esteso)

 

DIRITTO SANITARIO - Attività medico-chirurgica - Trattamento terapeutico giudicato necessario - Limiti. In tema di attività medico-chirurgica (in mancanza di attuazione della delega di cui all’art. 3 della legge 28 marzo 2001, n. 145, con la quale è stata ratificata la Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997 sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina), deve ritenersi che il medico sia sempre legittimato ad effettuare il trattamento terapeutico giudicato necessario per la salvaguardia della salute del paziente affidato alle sue cure, anche in mancanza di esplicito consenso, dovendosi invece ritenere insuperabile l’espresso, libero e consapevole rifiuto eventualmente manifestato dal medesimo paziente, ancorchè l’omissione dell’intervento possa cagionare il pericolo di un aggravamento dello stato di salute dell’infermo e, persino, la sua morte. P.G. in proc. Volterrani. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. I, 29 maggio 2002, n. 26446

 

DIRITTO SANITARIO - Condotta illecita del chirurgo - Configurabilità di reati e casi di esclusione - Artt. 582, 584 e 610 c.p.. L’agire del chirurgo sulla persona del paziente contro la volontà di costui, salvo l’imminente pericolo di morte o di danno sicuramente irreparabile ad esso vicino, non altrimenti superabile, esita in una condotta illecita capace di configurare più fattispecie di reato, quali violenza privata (art. 610 c.p., la violenza essendo insita nella violazione della contraria volontà), lesione personale dolosa (art. 582 c.p.) e, nel caso di morte, omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.). Ric. Cicarelli. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. IV, 27 marzo 2001, n. 36519

 

DIRITTO SANITARIO - C.d. operazione chirurgica demolitiva - Lesione dell’integrità fisica - Fattispecie. In tema di trattamento medico-chirurgico, qualora, in assenza di urgente necessità, venga eseguita una operazione chirurgica demolitiva, senza il consenso del paziente, prestato per un intervento di dimensioni più ridotte rispetto a quello poi eseguito, che ne abbia determinato la morte, non è configurabile il reato di omicidio preterintenzionale, poichè, per integrare quest’ultimo, si richiede che l’agente realizzi consapevolmente ed intenzionalmente una condotta diretta a provocare una alterazione lesiva dell’integrità fisica della persona offesa. Nella specie, la disamina si concentra, essenzialmente sull’elemento soggettivo, giacchè «se è vero che la connotazione finalistica della condotta (la finalità terapeutica) è irrilevante - non essendo richiesto il dolo specifico per i reati di lesioni volontarie e percosse - è altrettanto vero che la formulazione dell’art. 584 cod. pen. (“atti diretti a”) fa propendere per la tesi, non da tutti condivisa, che l’elemento soggettivo richiesto per l’omicidio preterintenzionale, quanto all’evento voluto, sia costituito dal dolo diretto o intenzionale con esclusione quindi del dolo eventuale. Ric. Barese. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. IV, 9 marzo 2001, n. 28132

 

DIRITTO SANITARIO - Trattamento sanitario - trattamento obbligatorio - rischio del sacrificio della salute - diritto alla conservazione dello stato di salute - provvedimenti della pubblica amministrazione - inefficacia. Il diritto alla salute, posto a base della domanda, è infatti un diritto fondamentale dell'individuo, che l'art. 32 Cost. protegge direttamente (Corte cost. 26 luglio 1979 n. 88; 14 luglio 1986 n. 184; 18 dicembre 1987 n. 559; 27 ottobre 1988 n. 992; 22 giugno 1990 n. 307; 18 aprile 1996 n. 118). La Corte costituzionale, nella sentenza 22 giugno 1990 n. 307, ha in particolare considerato che un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiono normali in ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili. Ha aggiunto, con riferimento all'ipotesi di ulteriore danno alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio, compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica, che a giustificare la misura sanitaria non è da solo sufficiente il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività, per tale rilievo 'esige che in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, restando così limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo comporti un rischio specifico, ma non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri. Da ciò è conseguita l'affermazione che la legge deve prevedere un equo ristoro del danno alla salute subito dal singolo in conseguenza dell'essersi dovuto sottoporre ad un trattamento obbligatorio. Se ne trae, logicamente, la conclusione, che siano da considerare prive di efficacia giuridica le determinazioni contenute nei provvedimenti della pubblica amministrazione, per la parte in cui possano risultare lesive della conservazione dello stato di salute, anche quando i provvedimenti adottati costituiscano in sé manifestazione di un potere ad altri fini previsto dalla legge (Sez. Un. 6 ottobre 1979 n. 5172). Cass. civ., sez. III, 27 luglio 2000, n. 9893. (vedi sentenza per esteso)

 

DIRITTO SANITARIO - Assistenza sanitaria - farmaci prescrivibili a prescindere del prontuario terapeutico - duplice criterio dell’efficacia e dell’economicità del farmaco. In tema di assistenza farmaceutica offerta dal S.s.n., la limitazione, prevista dalla relativa disciplina legislativa, secondo cui i farmaci prescrivibili a carico del S.s.n. sono quelli indicati nel prontuario terapeutico in base al duplice criterio dell'efficacia terapeutica e dell'economicità del prodotto è compatibile con la tutela del diritto alla salute come fondamentale diritto dell'individuo (v. Corte cost. ord. n. 396 del 1990). Tuttavia, in base all'art. 10, comma 2, del d.l. n. 463 del 1983, convertito nella l. n. 638 del 1983 - che, almeno parzialmente, vincola la formazione, nell'ambito del prontuario terapeutico, dell'elenco di farmaci per i quali non è dovuta, da parte degli utenti, alcuna quota di partecipazione alla relativa spesa - il criterio dell'economicità non può portare ad escludere l'esenzione dalla compartecipazione alla spesa per un farmaco che risulti indispensabile ed insostituibile per il trattamento di gravi condizioni o sindromi che esigono terapie di lunga durata (o di altre forme morbose gravi parimenti contemplate dall'art. 10, comma 2, del d.l. n. 463 del 1983 cit.). Ne consegue che, nell'ipotesi considerata, il farmaco stesso, ancorché non compreso nel prontuario terapeutico, va posto a carico del S.s.n., previa disapplicazione del prontuario terapeutico stesso, nella parte in cui non comprende un farmaco dotato delle caratteristiche dinanzi descritte, perché in contrasto con la suddetta disposizione legislativa. Infatti, i farmaci prescrivibili a carico del S.s.n. sono quelli indicati nel prontuario terapeutico in base ai criteri dell'efficacia terapeutica e dell'economicita' del prodotto; ciò nonostante, ove un farmaco (nella fattispecie un vaccino antiallergico) sia per un dato paziente indispensabile e insostituibile rimedio terapeutico capace di tutelarne il diritto alla salute, quale diritto ad ottenere cure adeguate, il mancato inserimento nel prontuario non puo' costituire un ostacolo alla sua rimborsabilità da parte del S.s.n. Cassazione civile sez. lav., 14 febbraio 2000, n. 1665.

 

DIRITTO SANITARIO - Concetto clinico di malattia e rilevanza penale. Il concetto clinico di malattia richiede il concorso del requisito essenziale di una riduzione apprezzabile di funzionalità, cui può anche non corrispondere una lesione anatomica, e di quello di un fatto morboso in evoluzione, a breve o lunga scadenza, verso un esito che potrà essere la guarigione perfetta, l’adattamento a nuove condizioni di vita oppure la morte. Deriva da ciò che non costituiscono malattia, e quindi non possono integrare il reato di lesioni personali, le alterazioni anatomiche, cui non si accompagni una riduzione apprezzabile della funzionalità. P.C. in proc. Francolini. CORTE DI CASSAZIONE, sentenza Sez. IV, 14 novembre 1996, n. 10643

 

DIRITTO SANITARIO - Formazione del prontuario terapeutico - disapplicazione - il criterio di economicità e il criterio dell’indispensabilità e dell’insostituibilità - rimborso delle spese per farmaci fuori prontuario. Nella formazione del "prontuario terapeutico" secondo i criteri della efficacia terapeutica e della economicità dei farmaci di cui all'art. 10 d.l. 12 settembre 1983 n. 463, conv. con modificazioni dalla l. 11 novembre 1983 n. 638, il criterio della economicità non può escludere la esenzione dalla compartecipazione alla spesa, ove il farmaco risulti indispensabile ed insostituibile per il trattamento di gravi condizioni o sindromi morbose che esigono terapie di lunga durata, o di altre forme morbose gravi, parimenti contemplate dal comma 2 dell'art. 10, con la conseguenza che, in tali circostanze, il farmaco stesso, ancorché non compreso nel prontuario approvato con decreto ministeriale, va posto a carico del servizio sanitario nazionale, previa disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo nella parte in cui non comprende farmaci indispensabili. (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, la quale aveva rigettato la domanda di ammissione al rimborso di vaccino antiallergico, trascurando le risultanze dell'accertamento tecnico d'ufficio, secondo cui la terapia iposensibilizzante in questione era indispensabile e insostituibile). Infatti, secondo la Cassazione civile sez. lav., 11 settembre 1996, n. 8241, la domanda giudiziale di rimborso della spesa per un farmaco non compreso nel prontuario farmaceutico nazionale (nella specie vaccino antiallergico) ma che risulti esser indispensabile ed insostituibile non può esser rigettata in ragione della mancata inserzione del farmaco nel menzionato prontuario (che va in tal caso disapplicato dal giudice ordinario) non rilevando inoltre in senso contrario che il suddetto farmaco sia stato somministrato a fini preventivi anziché curativi. Cassazione civile sez. lav., 3 ottobre 1996, n. 8661. 

DIRITTO SANITARIO - Il criterio di economicità e la disapplicazione del “prontuario terapeutico” nei casi in cui contrasti con la norma di legge. Nella disciplina dettata dall'art. 10 del d.l. n. 463 del 1983 (convertito nella legge n. 638 del 1983) in tema di erogazione di farmaci a carico del servizio sanitario nazionale, il criterio di economicità, che limita l'assistenza farmaceutica alle manifestazioni morbose di maggiore incidenza sul diritto alla salute, non può escludere la generale esenzione della compartecipazione alla spesa, ove il farmaco risulti indispensabile o insostituibile per il trattamento di forme morbose gravi; il farmaco stesso - ancorché non compreso nel prontuario terapeutico - va quindi posto a carico del servizio nazionale, previa disapplicazione del prontuario stesso in quanto contrastante con la norma di legge. (Nella specie, dalla S.C. e' stata confermata la sentenza impugnata che aveva escluso il diritto alla erogazione di un vaccino antiallergico, non compreso nel prontuario farmaceutico, per il quale non si prospettava alcuna ipotesi di generale esenzione dalla compartecipazione alla spesa, ne' l'utilizzazione per la terapia di una grave condizione morbosa). Cassazione civile sez. lav., 9 giugno 1994, n. 5593

 

DIRITTO SANITARIO - Assenza di necessità ed urgenza terapeutiche - Scelta dell'intervento operatorio - Fattispecie del reato di omicidio preterintenzionale se dalle lesioni derivi la morte. Il chirurgo che, in assenza di necessità ed urgenza terapeutiche, sottopone il paziente ad un intervento operatorio di più grave entità rispetto a quello meno cruento e comunque di più lieve entità del quale lo abbia informato preventivamente e che solo sia stato da quegli consentito, commette il reato di lesioni volontarie, irrilevante essendo sotto il profilo psichico la finalità pur sempre curativa della sua condotta; sicchè egli risponde del reato di omicidio preterintenzionale se da quelle lesioni derivi la morte. Ric. Massimo. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. V, 21 aprile 1992, n. 5639

 

Legittimazione attiva dell’ente territoriale a tutela di un diritto proprio della collettività (es. diritto alla salute) - Privacy.  ^

 

Salute - Tutela della salute - Responsabilità extracontrattuale - Non indossare il giubbotto catarifrangente può escludere la responsabilità del conducente per l'investimento della vittima. Non versa in colpa il conducente che in ora notturna abbia investito in autostrada un pedone sceso dalla vettura in panne alla ricerca di soccorso senza aver indossato il giubbotto catarifrangente, causandone la morte in quanto tale evento presenta i caratteri della imprevedibilità e della inevitabilità, sia per le modalità con cui sui è prodotto, sia in relazione ai tempi di avvistamento e ai riflessi psicofisici necessari ad evitare l'investimento. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. III, 21/09/2005, Sentenza n. 18615
 

Salute - Privacy - Trattamento di dati sensibili - Riservatezza dei cd. dati sensibili - Casistica operatoria - Esigenza di tutela del diritto di difesa - Rilevante interesse pubblico - Legittimità - Art. 16 D.L.vo n. 135/1999. In linea di principio, il trattamento di dati sensibili è consentito negli stretti limiti previsti da espresse e specifiche disposizioni di legge, mentre è, di norma, tassativamente vietata la diffusione di informazioni idonee a rivelare lo stato di salute delle persone. Nondimeno l’art. 16 del d. lgs. n. 135 del 1999 considera come rilevante interesse pubblico, ai fini del trattamento dei dati da parte di soggetti pubblici, il soddisfacimento delle esigenze volte a consentire l’esercizio dell’accesso, nell’ipotesi in cui se ne manifesti l’assoluta necessità al fine di far valere un diritto di difesa. Pres. Iannotta - Est. Corradino (Riforma T.A.R. della Campania, - Napoli - sez. V, 25 settembre 2003, n. 11649). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 7 Settembre 2004 (Ud. 4 maggio 2004), Sentenza n. 5873

 

Legittimazione attiva dell’ente territoriale a tutela di un diritto proprio della collettività (es. diritto alla salute). Sussiste la legittimazione attiva dell'ente territoriale ogni qualvolta esso, nella sua controversa qualità di ente esponenziale degli interessi della collettività insediata nel proprio territorio, agisce a tutela di un diritto proprio della collettività quale certamente ha quello alla salute e, ad esempio ulteriore, quello della salubrità ambientale od ancora all'integrità del territorio et similia (cfr. Cass. S.U. 400/91; Cass. 3807/98, nonchè tra le tante TAR Lazio 1.8.85 n. 1229; TAR Piemonte 4.6.1988 n. 241; C. Stato 559/97; Tribunale Parma 21.7.00; Pretura Bari 12.4.89). Trib. Parma, Sez. Staccata di Fidenza, ord. 12 marzo 2001, n. 915