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Commento alla sentenza della Corte Costituzionale n. 244 del 2011
 

LEONARDO SALVEMINI

 


La corte costituzionale boccia il sistema legislativo regionale della responsabilità del produttore e dell’autosmaltimento ideato dalla Regione Veneto.


Si tratta di principi nuovi non rinvenibili in alcuna disposizione statale cui spetta la competenza legislativa esclusiva in materia di ambiente. ( art. 117 II co lett. s), anche se condivisibili in un contesto più ampio di politiche per l’ambiente, privi di profili giuridici adeguati a sostegno.


La Corte costituzionale interviene, quindi, nuovamente in materia di rifiuti nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2, della legge della Regione Veneto 21 gennaio 2000, n. 3 (Nuove norme in materia di gestione dei rifiuti), nonché del combinato disposto dei commi 2 e 3 della medesima disposizione legislativa regionale, promosso dal Tribunale amministrativo regionale del Veneto nel procedimento vertente tra la Alles - Azienda Lavori Lagunari Escavo Smaltimenti s.p.a. ed altra azienda XY spa e la Regione Veneto.


Nel corso di un giudizio avente ad oggetto la impugnazione di due provvedimenti amministrativi emessi da organi della Regione Veneto relativamente alla autorizzazione, con la apposizione di taluni limiti, alla gestione di una discarica di rifiuti speciali non pericolosi, il Tribunale amministrativo regionale del Veneto, con ordinanza ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2, della legge della Regione Veneto 21 gennaio 2000, n. 3 (Nuove norme in materia di gestione dei rifiuti), nonché, in riferimento agli stessi parametri costituzionali ed all’art. 120 della Costituzione, del combinato disposto dei commi 2 e 3 della medesima disposizione legislativa regionale.


Nel riferire i fatti di causa il giudice rimettente precisa che i ricorrenti nel giudizio a quo hanno congiuntamente avviato un procedimento per l’approvazione della realizzazione, in territorio veneto, di un impianto di smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi.


In base agli accordi fra loro intervenuti, la XY s.p.a. aveva posto a disposizione della Alles s.p.a. un terreno affinché quest’ultima avviasse le procedure per ottenere l’approvazione di un impianto per lo smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi che la prima avrebbe progettato, realizzato e gestito. Infine, la ricettività di tale impianto sarebbe stata riservata, nella misura del 60% «dei volumi autorizzati», a rifiuti prodotti da Alles, mentre per il restante 40% potevano essere conferiti rifiuti prodotti da terzi, eventualmente anche fuori Regione.


Il Tar riferisce che nel primo dei provvedimenti impugnati viene precisato che la discarica in questione deve intendersi «in conto proprio» con possibilità di conferimento di rifiuti in «conto terzi» nei limiti di quanto previsto dall’art. 33, commi 2 e 3, della legge regionale n. 3 del 2000, mentre, nel secondo di essi, si chiarisce che il quantitativo massimo ammissibile di rifiuti in «conto terzi» sarà pari al 25% del quantitativo complessivamente concesso, conformemente alla previsione dell’art. 33, comma 2, della legge regionale n. 3 del 2000.


Il Tar osserva che i due provvedimenti impugnati risulterebbero essere lesivi della posizione dei ricorrenti sotto due profili. Secondo il primo, in quanto è in essi prevista la possibilità di conferire rifiuti speciali non pericolosi in conto terzi nella discarica in questione entro il limite del 25% della sua capacità ricettiva (là dove le parti si erano accordate per consentire che il 40% dei rifiuti conferibili fossero provenienti da terzi); in base al secondo, in quanto, essendo prevista, fra le limitazioni al conferimento di rifiuti per conto di terzi, l’osservanza di quanto disposto dal comma 3 del ricordato art. 33 della legge regionale n. 3 del 2000, la possibilità di conferire rifiuti speciali prodotti al di fuori del territorio regionale era subordinata alla condizione – prevista appunto dalla disposizione ultima citata – che nella Regione nel cui territorio essi fossero stati prodotti mancasse un impianto più vicino adeguato alla smaltimento.


Proprio in merito a questa disposizione che il Tar remittente ritiene doveroso interrogarsi sulla sua perdurante vigenza, per concludere in senso negativo.


Il Tar richiama la consolidata giurisprudenza costituzionale in tema di rifiuti che riconducibile alla «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.


Inoltre, l’art. 1, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), richiama il ben noto principio di cedevolezza.


Infatti, prevede che «le disposizioni normative regionali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge nelle materie appartenenti alla legislazione esclusiva statale continuano ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni statali in materia»; che, successivamente alla approvazione della legge n. 131 del 2003, è entrato in vigore il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), il quale, in applicazione della competenza legislativa statale in materia di tutela dell’ambiente, ha dettato compiutamente la disciplina della gestione dei rifiuti; che, pertanto, ove una disposizione legislativa regionale, emanata anteriormente alla entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006, fosse incompatibile o contrastante con altra disposizione contenuta in quest’ultimo, detta normativa regionale dovrebbe essere ritenuta tacitamente abrogata; che, riguardo al caso di specie, il comma 3 dell’art. 33 della legge regionale n. 3 del 2000, nel prevedere che lo smaltimento dei rifiuti prodotti al di fuori della Regione Veneto in impianti situati all’interno della Regione medesima sia subordinato alla mancanza di altri impianti idonei più vicini ubicati nella Regione ove essi sono stati prodotti, confliggerebbe con i principi contenuti nell’art. 182, comma 3, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006 (nel testo vigente al momento del deposito della ordinanza di rimessione); che, pertanto, dovrebbe ritenersi venuta meno, a seguito della entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006, la condizione, che limita la possibilità di smaltire i rifiuti speciali non pericolosi di provenienza extraregionale nelle discariche ubicate nella Regione Veneto, dettata dal comma 3 dell’art. 33 della legge regionale n. 3 del 2000.


La corte, tra tutte le sentenze in tema, tra cui la n. 10 del 2009 ha più volte affermato il contrasto di una disposizione avente lo stesso tenore di quella ora citata coi principi costituzionali dettati in materia .


Non solo, con la richiamata pronuncia, ha dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge della Regione Puglia 31 ottobre 2007, n. 29 (Disciplina per lo smaltimento dei rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, prodotti al di fuori della Regione Puglia, che transitano nel territorio regionale e sono destinati a impianti di smaltimento siti nella Regione Puglia), che, appunto, limitava lo smaltimento dei rifiuti speciali extraregionali alla sola ipotesi in cui le strutture ubicate nella Regione in questione costituissero gli impianti appropriati più vicini al luogo di produzione dei rifiuti medesimi.


In quel caso la dichiarazione di illegittimità costituzionale si era resa necessaria in quanto, essendo la disposizione normativa censurata successiva al d.lgs. n. 152 del 2006, non aveva potuto operare (a differenza di quanto, invece, ritiene essere avvenuto nel caso ora in esame) il meccanismo della abrogazione tacita di cui all’art. 1, comma 3, della legge n. 131 del 2003. Precisa ancora il rimettente che, là dove non avesse ritenuto operante il meccanismo di abrogazione tacita, avrebbe sollevato la questione di legittimità costituzionale della disposizione in questione non diversamente da quanto verificatosi relativamente alla citata disposizione della Regione Puglia.


Aggiunge il Tar che, pur ritenuta la abrogazione tacita del comma 3 dell’art. 33 della legge della Regione Veneto n. 3 del 2000 nella sola parte in cui esso subordina la possibilità di smaltire i rifiuti speciali non pericolosi provenienti da fuori regione alla condizione che nella regione di produzione non ci siano impianti idonei più vicini, il predetto comma 3 permane in vigore nella parte in cui, letto insieme al precedente comma 2, determina che la quota del 25% della capienza degli impianti di smaltimento siti nel Veneto riservata al conferimento di rifiuti speciali «in conto terzi» (cioè prodotti da soggetti diversi da coloro i quali sono stati autorizzati alla realizzazione della discarica) sia riferibile non solo ai rifiuti prodotti nella Regione Veneto ma anche a quelli di provenienza extraregionale.


Il Tar correttamente aggiunge che tale combinato disposto si pone, però, in contrasto con l’art. 120 della Costituzione, che, secondo la lettura datane nella sentenza n. n. 505 del 2002, vieta alle Regioni di adottare provvedimenti che ostacolino la libera circolazione delle cose anche soltanto limitatamente ad una loro quantità, nonché con gli artt. 117, secondo comma, lettera s), 3 e 41 della Costituzione.


L’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione in questione determinerebbe l’accoglimento del ricorso di fronte al giudice amministrativo .


Infatti, il Tar osserva che i provvedimenti impugnati, che si fondano sull’art. 3, commi 2 e 3, della legge regionale n. 3 del 2000, indicano, in sostanza, nella misura del 25% della capienza della discarica il volume dei rifiuti «in conto terzi» che possono essere in essa conferiti, là dove l’accordo intervenuto fra i ricorrenti nel giudizio a quo prevede che possano essere conferiti rifiuti di terzi per il 40% della capienza della discarica.
Esaminando il solo comma 2 del citato art. 33, che è dal rimettente interpretato nel senso che esso, come tale, sarebbe riferibile alla sola ipotesi di rifiuti di provenienza intraregionale, emerge il contrasto con gli artt. 117, secondo comma, lettera s), 3 e 41 della Costituzione nella parte in cui limita al 25% della capienza della discarica la quota di rifiuti conferibili da terzi.


È chiaro che né dalla disciplina statale né da quella comunitaria emerge il principio secondo il quale non è ammesso nelle discariche lo smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi conferiti da soggetti «diversi dai produttori» (recte dai gestori), risultando, anzi, consentito lo smaltimento «per conto terzi». Il prevedere, viceversa, dei limiti quantitativi allo smaltimento di rifiuti conferiti da soggetti diversi dal titolare dell’impianto, «determina la creazione di un ostacolo allo smaltimento del rifiuto speciale non pericoloso in uno degli impianti appropriati più vicini», introducendo limitazioni in funzione del soggetto gestore della discarica e non al fine di perseguire la razionalizzazione della rete integrata degli impianti tecnicamente idonei, in tal modo violando l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione al principio fondamentale della legislazione statale volto allo smaltimento dei rifiuti presso gli impianti specializzati più prossimi.


Afferma, infatti, il ricorrente che l’applicazione della normativa censurata potrebbe portare ad una maggiore movimentazione dei rifiuti ove l’impianto adeguato più vicino, ancorché non pienamente sfruttato, sia già saturo per la quota nella disponibilità dei terzi.


La norma sembrerebbe in contrasto con l’art. 41 della Costituzione in quanto essa pregiudicherebbe sia la posizione dei gestori degli impianti di smaltimento, penalizzati dalla ingiustificata creazione di ostacoli alla libera circolazione delle merci, sia quella dei produttori di rifiuti i quali, in un settore nel quale è problematica la programmazione della quantità di rifiuti da smaltire, sono soggetti a vincoli nella circolazione di questi tali da comportare il sorgere di inefficienze.


I privati nei loro atti costitutivi e memorie, sostanzialmente confermano e supportano a vario titolo, quanto esposto dal Tar in sede di remissione.


La Regione Veneto chiede, viceversa, che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata e riservandosi di argomentare più diffusamente in una successiva memoria.


La difesa della Regione ha chiesto, preliminarmente, che gli atti siano restituiti al giudice a quo, stante il mutamento del complessivo quadro normativo di riferimento, dovuto alle modificazioni introdotte, attraverso il decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205 (Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive), a numerose disposizioni contenute nel d.lgs. n. 152 del 2006, molte delle quali indicate dallo stesse rimettente a sostegno dei propri dubbi sulla legittimità costituzionale della disposizione censurata.


Nel merito della impugnazione del comma 3 dell’art. 33 della legge regionale n. 3 del 2000, la Regione Veneto sostiene che la questione sia inammissibile per aberratio ictus in quanto la disposizione in base alla quale è previsto che sia possibile conferire rifiuti prodotti da chi non sia il titolare della discarica nella sola misura del 25% della capacità ricettiva delle singole discariche è contenuta nel comma 2 della norma censurata.


La Regione ritiene che, con riferimento alla violazione dell’art. 120 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2, della legge regionale n. 3 del 2000 sia infondata. A suo avviso, infatti, il citato comma 2 «non è rivolto a porre un limite all’ingresso di rifiuti speciali extraregionali, ma solo a sviluppare il principio di responsabilità del produttore nella gestione dei rifiuti». Poiché la ratio dell’art. 120 della Costituzione è di impedire che le Regioni adottino disposizioni volte ad ostacolare l’ingresso in esse di cose provenienti da altre Regioni, mentre il comma 2 dell’art. 33 della legge regionale n. 3 del 2000 prende in esame solo il profilo soggettivo di chi conferisce i rifiuti restando del tutto irrilevante il luogo di provenienza degli stessi, non risulta limitata, per effetto di tale disposizione, la libera circolazione delle cose fra le Regioni.


Inoltre, la Regione osserva che, onde escludere la violazione dell’art. 120 della Costituzione, basterebbe interpretare il citato art. 33, comma 2, della legge regionale n. 3 del 2000 nel senso che esso ha ad oggetto i soli rifiuti speciali prodotti nella Regione Veneto.


Quanto alla asserita violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera s), 3 e 41 della Costituzione, la difesa regionale osserva che il sistema veneto di gestione dei rifiuti speciali si fonda sulla scelta di ridurre lo smaltimento di essi in discarica responsabilizzando chi li produce; scelta perseguita – nell’esercizio delle competenze legislative regionali in tema di «governo del territorio» e di «tutela della salute» – attraverso la riduzione delle discariche «in conto terzi» e l’incentivazione degli impianti di stoccaggio.


Precisa la Regione che attraverso il sistema adottato nel Veneto, volto a privilegiare il meccanismo dell’autosmaltimento dei rifiuti, non si realizza l’effetto, paventato dal rimettente, della maggiore movimentazione dei rifiuti, dovuto al fatto che chi li produce, non essendo titolare di discarica, debba andare in cerca di una discarica che abbia la quota del 25% della sua capienza ancora disponibile. Ciò in quanto il produttore potrà liberamente conferire i rifiuti presso un impianto di stoccaggio, ove i medesimi saranno trattati. La porzione di essi che residuerà al trattamento potrà, quindi, essere conferita senza limitazioni dal titolare dell’impianto di stoccaggio nella propria discarica trattandosi di rifiuti da lui stesso prodotti.
La difesa regionale ritiene infondata la questione con riferimento all’art. 3 della Costituzione, vista la ragionevolezza di un sistema che mira a ridurre lo smaltimento dei rifiuti speciali non pericolosi in discarica in assenza di un preventivo trattamento degli stessi ed anche la questione della violazione dell’art. 41 della Costituzione, posto che, in una visione bilanciata con l’utilità sociale della libertà di iniziativa economica, non stupisce che i gestori degli impianti di smaltimento possano ricevere senza limiti i rifiuti solo se essi stessi si occupino del loro trattamento e recupero. Quanto ai produttori di rifiuti, essi non sono soggetti ad altro vincolo che non sia volto ad incentivare il conferimento dei rifiuti negli impianti di trattamento e recupero.


Infine, la difesa regionale osserva che deve ritenersi inammissibile e, comunque, infondata, la richiesta di estendere in via consequenziale la dichiarazione di illegittimità costituzionale anche al comma 1 dell’art. 33 della legge regionale n. 3 del 2000, dato che è su tale disposizione che si fonda il sistema basato sulla responsabilità del produttore e sull’auto - smaltimento. D’altra parte, se questo è il principio su cui il sistema si fonda, esso non può essere illegittimo in via consequenziale: semmai il rimettente avrebbe dovuto sollevare la questione in via prioritaria su tale disposizione basilare e, in via consequenziale, sulle altre che ne derivava.


In conclusione la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2, della legge della Regione Veneto 21 gennaio 2000, n. 3 (Nuove norme in materia di gestione dei rifiuti), limitamente alle parole «non superiore al venticinque per cento della capacità ricettiva»; e la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 2 e 3 del medesimo art. 33 della legge della Regione Veneto n. 3 del 2000, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 41, 117, secondo comma, lettera s), e 120 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo del Veneto con l’ordinanza in epigrafe.


Tale esito si fonda sulle seguenti considerazioni svolte dalla Corte.


Innanzitutto alcune preliminari.


Pur avendo la difesa regionale dedotto, onde sollecitare la restituzione degli atti al rimettente affinché valuti la perdurante non manifesta infondatezza e rilevanza della questione di legittimità costituzionale, l’avvenuto mutamento, successivo alla adozione della ordinanza con la quale è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale, del quadro normativo di riferimento in conseguenza dell’entrata in vigore del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205 (Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive), che ha modificato talune disposizione del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), indicate dallo stesso rimettente come espressive di principi violati dalle disposizioni censurate, la Corte ritiene di potere ugualmente procedere all’esame del prospettato dubbio di costituzionalità.


Infatti, se è ben vero che, per effetto del comma 1 dell’art. 9 del d.lgs. n. 205 del 2010, è stato introdotto nel d.lgs. n. 152 del 2006 l’art. 182-bis, il quale prevede che l’attività di smaltimento dei rifiuti debba svolgersi «in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o di raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi», è altrettanto vero che ab origine identico principio era contenuto nel previgente art. 182, comma 3, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006.


Ora è evidente che può certamente escludersi che, al riguardo, sia intervenuto un mutamento del quadro normativo che possa giustificare un riesame da parte del giudice a quo della non manifesta infondatezza e rilevanza della prospettata questione di legittimità costituzionale.


Sempre in via preliminare, ritiene la Corte di dovere circoscrivere l’oggetto del suo esame alla sola indagine sulla legittimità costituzionale del comma 2 dell’art. 33 della legge regionale n. 3 del 2000, esulando, invece, da esso la valutazione della costituzionalità del combinato disposto dei commi 2 e 3 della medesima norma legislativa.


La corte afferma che è viziata da un’evidente aberrazione interpretativa la tesi assunta dal giudice rimettente secondo la quale la estensione dell’oggetto della disposizione contenuta nel comma 2 del citato art. 33 della legge regionale n. 3 del 2000 anche ai rifiuti prodotti al di fuori della Regione Veneto consegua alla applicazione in combinato disposto anche del comma 3 del ricordato art. 33, mentre il comma 2 del citato articolo di legge, nel fissare la quota di riserva del 25% della capacità ricettiva dell’impianto di smaltimento per i rifiuti conferiti da terzi, non pare fare alcuna distinzione fra rifiuti endoregionali e extraregionali, il successivo comma 3 individua solo per questi ultimi una ulteriore condizione affinché essi possano essere smaltiti nelle discariche ubicate all’interno della Regione Veneto.


Va osservato che la compatibilità coi principi costituzionali della norma che fissa siffatta condizione (cioè la mancanza nella Regione di produzione di un impianto di smaltimento adeguato più vicino di quello veneto) non è oggetto di sindacato da parte della Corte, avendo espressamente escluso il giudice rimettente – al quale compete, nei giudizi incidentali, di stabilire il perimetro delle disposizioni legislative da sottoporre al vaglio della Corte – di dovere sollevare la relativa questione di costituzionalità, ritenendo la norma in questione in parte qua tacitamente abrogata – ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) – dalla normativa statale sopravvenuta.


Tanto considerato, rileva la Corte che non vi è alcun elemento che giustifichi l’opzione ermeneutica fatta dal rimettente secondo la quale la disciplina regionale concernente lo smaltimento dei rifiuti speciali non pericolosi provenienti da territori esterni alla Regione Veneto sia contenuta nel solo comma 3 del ricordato art. 33.


È, infatti, contraddittoria l’argomentazione del rimettente che, ritenendo tacitamente abrogate le disposizioni legislative regionali in contrasto con l’intervenuta legislazione statale nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato, seziona la portata della disposizione regionale, facendone sopravvivere una parte priva di contenuto precettivo ed anche essa, per il solo fatto di presupporre la possibilità di discipline diverse a secondo della provenienza regionale o extraregionale di questo tipo di rifiuti, in contrasto con quella normativa statale che, sempre secondo il rimettente, determinerebbe l’abrogazione tacita di quella regionale.


Appare, per converso, uno sviluppo non contraddittorio con l’argomentazione del Tar l’interpretazione che, invece, assegna al comma 2 portata generale, riguardando pertanto esso i rifiuti speciali non pericolosi ovunque prodotti, ed al successivo comma 3 portata limitata ai soli rifiuti extraregionali ma esclusivamente al fine di dettare per questi ultimi una condizione aggiuntiva (rispetto a quella già fissata per ogni rifiuto speciale non pericoloso dal comma 2) alla possibilità del loro smaltimento all’interno della Regione Veneto.
La questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’art. 33 della legge regionale n. 3 del 2000 è quindi, stante l’erroneità interpretativa sul contenuto delle disposizioni censurate e la contraddittorietà delle argomentazioni sviluppate dal rimettente, inammissibile.


Per esclusiva completezza espositiva, al Corte fa presente che non può essere presa in considerazione la questione relativa al primo comma del suddetto articolo della legge regionale, dato che ad esso non fa riferimento il giudice remittente – il quale considera tale disposizione non rilevante ai fini del giudizio a quo – ma solo la parte privata.
Così delimitato l’ambito dell’incidente di costituzionalità, ritiene la Corte che esso sia fondato.


In diverse occasioni la Corte ha avuto modo di precisare e di ribadire che «la disciplina dei rifiuti si colloca […] nell’ambito della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, anche se interferisce con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, restando ferma la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali» (sentenze n. 249 del 2009 e n. 62 del 2008).


È agevole osservare che il legislatore veneto, fissando dei limiti, riferiti al soggetto produttore dei rifiuti speciali non pericolosi, alla possibilità di smaltimento di questi ultimi nelle discariche ubicate nella Regione ha individuato un autonomo principio – fondato su quello che la Regione nei suoi scritti difensivi definisce sistema della responsabilità del produttore e dell’autosmaltimento – estraneo alla legislazione statale in materia ambientale la quale esclude, anzi, la sussistenza del principio dell’autosufficienza locale con riferimento ai rifiuti speciali anche non pericolosi, come è stato affermato dalla Corte con le sentenze n. 335 del 2001 e n. 10 del 2009.


Tale principio, per un verso, non è espressione di alcuna competenza regionale, non emergendo elementi specifici ed obiettivi in base ai quali ancorare – come invece sostiene la difesa della Regione – l’intervento legislativo né alla materia del governo del territorio né a quella della tutela della salute.


Si rileva anzi che l’istituzione di siffatti limiti soggettivi col restringere considerevolmente la generale fruibilità delle discariche, determina di necessità una maggiore movimentazione dei rifiuti sul territorio, stante la contrazione dell’offerta di idonei siti disponibili allo smaltimento dei rifiuti speciali non pericolosi.


In tal modo rimane violato il principio sancito dall’art. 182-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 in base al quale, tenuto conto del contesto geografico e della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti, si deve tendere «al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi».


Va, d’altra parte, considerato che anche la specie rifiuto non è estranea al più ampio genere di bene commercialmente rilevante, essendo di comune esperienza il fatto che anche le operazioni di smaltimento dei rifiuti per conto terzi sono suscettibili di formare oggetto dello svolgimento di attività imprenditoriale. Del resto, già nella sentenza della Corte n. 335 del 2001 si è affermato che «anche alla luce della normativa comunitaria il rifiuto è pur sempre considerato un prodotto».


In base a tale prospettiva deve affermarsi il contrasto della disposizione censurata anche con l’art. 41 della Costituzione.


Infatti, attraverso la fissazione, operata dalla disposizione censurata, di un limite, rapportato alla complessiva capacità dell’impianto, alla possibilità di ricevere rifiuti speciali non pericolosi prodotti da soggetti diversi dal gestore della discarica si determina, in assenza di ragioni di utilità sociale ovvero senza che ciò valga a prevenire danni alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità dell’uomo, un ingiustificato vincolo, a carico del gestore medesimo, alla sua libera facoltà di svolgere un’iniziativa economica.


In considerazione della già affermata applicabilità della disposizione dichiarata incostituzionale sia riguardo ai rifiuti speciali non pericolosi prodotti nella Regione Veneto sia riguardo a quelli provenienti da altre Regioni, restano assorbiti i restanti profili di illegittimità costituzionale dedotti dal rimettente.
 

 


Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 05/08/2011

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