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Sostenibilità e convenienza

 

FLAVIO CASGNOLA*
 

 



Il termine stesso “sviluppo sostenibile”, sin dal suo nascere nella dialettica della cultura contemporanea, sembra contenere una sorta di contraddizione in termini se confrontato con l’intera storia dell’umanità.
“Progresso sostenibile”, forse, sembrerebbe meglio calzante al concetto che sottintende e, ancor di più se il tema è svolto in ambito urbanistico.
L’elaborazione di Quaderni e Rapporti come Agenda 21 e il Protocollo di Kyoto e tutti i connessi, o meno, provvedimenti legislativi, sovrannazionali e applicativi locali, che formano l’odierno Quadro Normativo, intendono la sostenibilità come un insieme diffuso e stratificato di regole e comportamenti, collettivi e individuali, complesso, articolato e, pur sempre, inteso come unico sistema finalizzato alla tutela della integrità del pianeta.
Tutto ciò parte da un presupposto, da un lato, e da una emergenza, dall’altro, entrambi assoluti e apparentemente incontestabili: il presupposto sta nella visione di un pianeta dove la crescita demografica e la conseguente diffusa antropizzazione rappresentano un male e, in quanto tali, determinano, appunto, una emergenza rispetto alle risorse disponibili non più compatibili col dato numerico.
Sembra che, però, ci si dimentichi che da sempre come provocatoriamente dice un maestro dell’architettura organica come Mario Galvagni: "La natura è contro l’uomo e l’uomo è contro la natura. La lotta dell’uomo è stata quella, nella storia, di antropizzare la natura per vivere in armonia con essa. Il paesaggio è la natura antropizzata." E se si condivide questo concetto, allora occorre anche capire come sia possibile “perdurare” in questa lotta senza soccombere.
Partiamo allora da quella che rappresenta la scala dimensionale di riferimento più adeguata per “leggere” tutte le odierne dinamiche di sviluppo e, con esse le innumerevoli contraddizioni che la contraddistingono: la Città.
Molte le linee guida formulate a livello istituzionale e legate al concetto di “sviluppo sostenibile”, a partire dalla “strategia europea sull’ambiente urbano” che individua le metodiche da mettere in campo per migliorarne lo standard qualitativo attraverso quattro regole:
la gestione urbana sostenibile;
il trasporto urbano sostenibile;
l’edilizia sostenibile;
la progettazione urbana sostenibile.
L’approccio metodologico si basa sulla considerazione che essendo le aree urbane oggetto di politiche di diversa natura queste dovrebbero essere definite in modo congiunto e ricondotte in un unico piano di gestione urbana, nella considerazione che gli altri tre fattori rappresentano le dinamiche che rischiano di collassare definitivamente la Città.
Ed infatti, uno degli impatti fondamentali sull'ambiente, sulla salute dei cittadini e sulla qualità della vita urbana in genere è legato alla circolazione urbana.
L’Edilizia sostenibile consiste in una migliore progettazione degli edifici, finalizzata principalmente all’aumento dell’efficienza energetica, allo scopo di ridurre i consumi d'energia per il riscaldamento e l'illuminazione.
La "progettazione urbana sostenibile" comprende modelli di utilizzazione del territorio metropolitano, o anche urbano ristretto, che tengano conto delle ricadute in ambito ambientale:
espansione delle periferie verso le aree rurali;
sottoutilizzazione degli edifici esistenti;
degrado di aree dimesse;
localizzazione delle infrastrutture;
conservazione e potenziamento del verde urbano;
Città e territorio luoghi di politiche di diversa natura, che coinvolgono in modo diversificato ma correlato, edifici, infrastrutture, trasporti, energia, gestione dei rifiuti.
Manca un fattore essenziale: la valutazione della convenienza.
Manca cioè il motore che possa spingere in modo convinto, sostenuto, incontrovertibile, in un sol termine, spontaneo, verso queste dinamiche operative e quindi comportamentali.
Non che sul piano operativo le diverse misure adottate in ambito legislativo non abbiano previsto, o non prevedano, incentivi di vario genere, tuttavia, questi, non sembrano essere adeguati al carattere rivoluzionario e straordinario che la situazione imporrebbe.
Secondo alcuni lo sviluppo è esso stesso nemico del progresso e, quindi, passare ad una idea di “sviluppo sostenibile” senza fare i conti con le più profonde pulsioni umane (naturali e culturali) appare quantomeno velleitario.
L’idea di progresso è uno dei presupposti teorici della modernità. Il progresso può definirsi come
un processo per tappe successive, la più recente delle quali è sempre preferibile e migliore, a quella che l’ha preceduta.
Dunque di un cambiamento orientato al miglioramento, irreversibile e ineluttabile.
Si basa su una concezione lineare del tempo che la storia ha orientato verso il futuro.
Idee forti e positive che traggono origine dal cristianesimo ed hanno, sino a poco tempo fa, costituito l’ossatura portante di tutta la Cultura Occidentale e non solo.
Oggi tutto sembra essere messo in discussione ma se rinunciamo all’idea di progresso, rinunciamo all’idea stessa di umanità, in senso umanistico.
Occorre allora capire che l’odierna consapevolezza sulle questioni generali legate alla necessità di uno “sviluppo sostenibile” è resa possibile proprio dalle stesse ragioni che ne hanno determinato la necessità della prospettazione prima e ineluttabilità dell’applicazione poi.
Senza i moderni mezzi di misurazione e rilevazione su base scientifica non avremmo alcuna consapevolezza delle dinamiche di sviluppo messe in atto col progresso tecnologico e industriale.
Tornando quindi alle ragioni per una rivoluzione e non potendo aspettare i tempi del progresso occorre cercare nell’istinto del cambiamento e dell’adattamento le motivazioni profonde che possono condizionare positivamente i nostri comportamenti.
Delegare all’economia, alla politica, o peggio ancora all’ideologia tale compito sarebbe del tutto inutile visto che le ragioni del cambiamento non riguardano (paradossalmente) la sfera collettiva (la fine di tutto, nonostante i catastrofismi di alcuni, non ci vedrà!) ma piuttosto quella individuale e privata (perchè devo vivere in una città brutta, malsana e caotica?). Tutti noi viviamo nel presente e, del futuro, al di là delle migliori intenzioni, ce ne occupiamo solo come esercizio dialettico; è un dato di fatto (non saremmo a questo punto) e, quindi, occorre ripartire dal basso.
La convenienza: ovviamente converrebbe ad ognuno di noi vivere in una città bella, salubre e ordinata ma non basta, occorre far si che convenga anche a tutte le dinamiche economiche che la Città la muovono.
Se un imprenditore nel valutare un dato intervento non dovesse trovarlo conveniente sotto l’aspetto economico non attiverà mai alcun tipo di progetto, non chiederà alcuna concessione o autorizzazione e, ovviamente, non avvierà alcuno studio di sostenibilità ambientale o territoriale.
L’economia di mercato è fatta così, piaccia o non piaccia e, quindi, a meno di pensare che il problema riguardi solo la sfera pubblica... occorre agire nel senso della utilità economica della sostenibilità.
Occorre passare dagli annunci ai fatti concreti.
Con riferimento alle sole emissioni l’impatto delle città, e in particolare degli edifici, è enorme. Paradossalmente ci preoccupiamo di più dei gas di scarico delle auto, responsabili “solamente” del 3% delle emissioni globali, mentre gli edifici producono oltre il 40% dei gas che alterano il clima con realtà ben più allarmanti come, ad esmpio, New York con il 79% o Toronto con il 65%.
Ci troviamo quindi in una situazione di vera e propria “emergenza edilizia” dove il settore delle costruzioni non riesce a rinnovarsi nei modi e nei tempi adeguati per rispondere ad un problema ambientale di così vaste proporzioni.
Occorre implementare tutti i parametri di valutazione nel senso, anche e soprattutto, dell’analisi di convenienza e accertare se una ipotesi di Piano, in generale, o di investimento, in particolare, più o meno rilevanti, purchè astrattamente fattibili e sostenibili, siano anche desiderabili.
L’analisi di convenienza dovrà suggerire all’investitore, pubblico o privato che sia, una graduatoria delle alternative progettuali, basata non solo sulla loro fattibilità, sostenibilità, ovvero, nel caso di privato, sulla valutazione dei fattori di rischio, ma anche sulla loro capacità di assicurare un adeguato rendimento.
In parallelo, ovviamente, occorre finalmente agire con determinazione e creatività, in ambito di politiche ambientali concrete incentivando in modo permanente, diffuso e incisivo tutto ciò che si muove in tal senso, anche a mezzo di decise azioni disincentivanti nei confronti di tutto il resto.
Il benessere non si può imporre, lo si deve rendere desiderabile.
 

 

* flaviocasgnola@tiscali.it
www.flaviocasgnolaarchitetto.edilsitus.com
 

 


Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 10/12/2009

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