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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006  - ISSN 1974-9562



CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 17/05/2010 (Cc. 7/04/2010), Sentenza n. 18546


DIRITTO URBANISTICO - CAVE E TORBIERE - Attività di apertura e coltivazione di cava ed attività urbanistica - Differenza - Opere edili - Tutela del paesaggio - Ripristino dello stato dei luoghi - Art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380/2001 - Artt. 50 e 62 D.P.R. n 616/1977.
L'attività di cava non è attività urbanistica in quanto lo sfruttamento del suolo per tale attività é di competenza della Regione (artt. 50 e 62 del D.P.R. n 616 del 1977). Di conseguenza l'attività di cava può interessare gli strumenti urbanistici soltanto sotto il profilo della tutela del paesaggio. Quindi tale attività può essere vietata solo per talune parti del territorio meritevoli di speciale tutela. Per il restante territorio comunale l'attività estrattiva non è in linea di massima incompatibile con la destinazione agricola del terreno e viene svolta in base a leggi regionali le quali di solito stabiliscono l'obbligo di successiva restituzione dei luoghi allo stato precedente. Tale obbligo tuttavia non rende le opere edili realizzate all'interno di un cava per natura precarie e come tali realizzabili senza titolo abilitativo. Sicché, l'attività di apertura e coltivazione di cava, pur non essendo subordinata al potere di controllo edilizio comunale, deve comunque svolgersi nel rispetto dei piani di settore e delle norme urbanistiche allorché si realizzino opere edili stabili o comunque durevoli ancorché connesse al ciclo produttivo, potendosi configurare, in difetto, la contravvenzione di cui all'art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380 del 2001. (Cass. n 39056 del 2008, n 21736 del 2007 n. 26140 del 2002). (Conferma ordinanza del Tribunale della libertà di Savona del 14/10/2009) Pres. De Maio, Est. Petti, Ric. Borra. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 17/05/2010 (Cc. 7/04/2010), Sentenza n. 18546


DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Provvedimento giudiziale - Motivazione per relationem - Presupposti. La motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale è da considerarsi legittima quando: a) faccia riferimento ad altro atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; b) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto delle ragioni del provvedimento di riferimento ritenendole coerenti con la sua decisione; c) l'atto di riferimento sia conosciuto dall'interessato o almeno a lui ostensibile (Cass. n. 4181/2008, conf. Cass. Sez. Un. n.17/2000; Cass. n. 41569/2007; Cass. n. 3255/2007). (Conferma ordinanza del Tribunale della libertà di Savona del 14/10/2009) Pres. De Maio, Est. Petti, Ric. Borra. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 17/05/2010 (Cc. 7/04/2010), Sentenza n. 18546



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UDIENZA del 07.03.2010

SENTENZA N. 539

REG. GENERALE N. 45287/2009


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale



Composta dai sigg. magistrati:


Dott. Guido De Maio                     presidente
Dott. Ciro Petti                             consigliere
Dott. Mario Gentile                       consigliere
Dott. Silvio Amoresano                   consigliere
Dott. Santi Gazzarra                     consigliere


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


- sul ricorso proposto dal difensore di Borra Roberto, nato nel Congo il xx/xx/xxxx, avverso l'ordinanza del tribunale della libertà di Savona del 14 ottobre del 2009;
- udita la relazione svolta dal consigliere dott. Ciro Petti;
- sentito il Procuratore generale dott. Gioacchino Izzo, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
- udito il difensore prof. Giovanni Aricò, quale sostituto dell'avv. Fausto Mazzitelli di Savona, il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
- Letti il ricorso e la sentenza denunciata osserva quanto segue:


IN FATTO


Il tribunale del riesame di Savona, con ordinanza del 6 ottobre del 2009, respingeva la richiesta avanzata nell'interesse di Borra Roberto, diretta ad ottenere la revoca del sequestro preventivo di alcuni manufatti sequestrati dal giudice per le indagini preliminari presso il medesimo tribunale, realizzati all'interno di un'area di cava senza alcun titolo abilitativo ed in contrasto con il nulla osta paesaggistico.


Secondo il tribunale l'indagato aveva realizzato un fabbricato in calcestruzzo armato della superficie di circa m 70 X 24 con altezza di m 26 di cui 5 interrati; un corpo di fabbrica di calcestruzzo armato di m 30 X 10; vasche in cemento prevalentemente interrate, il tutto in assenza di permesso di costruire ed in violazione del piano di fabbricazione comunale che nella zona,classificata come E/1 non consente interventi di alcun genere ad accezione di quelli produttivi connessi all'attività forestale.


Ricorre per cassazione il Borra per mezzo del proprio difensore deducendo:
1) la violazione dell'articolo 324 c.p.p. per la non configurabilità dei reati ipotizzati, in quanto per le attività di cava non è necessario il permesso di costruire;
2) violazione dell'articolo 125 c.p.p. per omessa motivazione in quanto il tribunale si è limitato a richiamare quella contenuta nella richiesta del pubblico ministero e nel provvedimento del giudice;
3) la violazione della legge regionale n 12 del 1979 come modificata dalla legge n 63 del 1993, giacché, in base all'articolo 2 della citata legge, lo svolgimento della coltivazione di cave e torbiere è assicurato dalla Regione mediante uno specifico piano il quale prevale nei confronti degli atti di pianificazione territoriale delle province nonché degli strumenti urbanistici comunali; l'articolo 9 della citata legge richiamato dal pubblico ministero impone il rilascio del permesso di costruire alle sole opere edilizie comprese nel ciclo produttivo e non alle opere destinate ad ospitare impianti; il fatto che le tamponature siano state realizzate in cemento armato non esclude la temporaneità;
4) la violazione dell'articolo 44 del d.P.R. n 380 del 2001, in quanto gli interventi in questione non rientrano tra quelli per i quali è previsto il permesso di costruire, trattandosi di impianti ed in ogni caso di volumi tecnici a servizio di attrezzature esistenti, assentibili con semplice DIA a norma dell'articolo 23 della legge regionale n 16 del 2008;
5) violazione dell'articolo 181 comma 1 bis decreto legislativo n 42 del 2004 perché le opere erano state autorizzate, in quanto l'impiego del cemento armato si desumeva agevolmente dallo spessore delle strutture.


IN DIRITTO


Il ricorso va respinto perché infondato.


I primi quattro motivi, essendo strettamente connessi perché tutti relativi alla configurabilità del reato edilizio, vanno esaminati congiuntamente.


In proposito, con riferimento alle dedotte carenze motivazionali, va rilevato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (cfr per tutte Cass. n 4181 del 2008) la motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale e' da considerarsi legittima quando: a) faccia riferimento ad altro atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; b) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto delle ragioni del provvedimento di riferimento ritenendole coerenti con la sua decisione; c) l'atto di riferimento sia conosciuto dall'interessato o almeno a lui ostensibile (conf. Cass. Sez. Un. n.17 del 2000; Cass. n. 41569 del 2007; n. 3255 del 2007).


Nel caso in esame non sono state prospettate questioni diverse da quelle già esaminate nel provvedimento con cui è stato disposto il sequestro.


Ciò premesso, si osserva che l'attività di cava non è attività urbanistica in quanto lo sfruttamento del suolo per tale attività é di competenza della Regione (artt. 50 e 62 del D.P.R. n 616 del 1977). Di conseguenza l'attività di cava può interessare gli strumenti urbanistici soltanto sotto il profilo della tutela del paesaggio. Quindi tale attività può essere vietata solo per talune parti del territorio meritevoli di speciale tutela. Per il restante territorio comunale l'attività estrattiva non è in linea di massima incompatibile con la destinazione agricola del terreno e viene svolta in base a leggi regionali le quali di solito stabiliscono l'obbligo di successiva restituzione dei luoghi allo stato precedente. Tale obbligo tuttavia non rende le opere edili realizzate all'interno di un cava per natura precarie e come tali realizzabili senza titolo abilitativo. Secondo l'orientamento di questa Corte (Cass. n 39056 del 2008, n 21736 del 2007 n. 26140 del 2002) l'attivita' di apertura e coltivazione di cava, pur non essendo subordinata al potere di controllo edilizio comunale, deve comunque svolgersi nel rispetto dei piani di settore e delle norme urbanistiche allorché si realizzino opere edili stabili o comunque durevoli ancorché connesse al ciclo produttivo, potendosi configurare, in difetto, la contravvenzione di cui all'art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380 del 2001.


L'articolo 9 della legge Regione Liguria n 12 del 10 aprile del 1979, come modificato dalla legge n 63 del 1993, dispone che " le opere edilizie ricompresse nel ciclo produttivo, le strade di accesso, escluse le piste di servizio, comunque connesse all'attività estrattiva, sono soggette, oltre che alla preventiva autorizzazione regionale di cui all'articolo 3, anche a concessione o autorizzazione edilizia".


Il ricorrente sostiene che tale norma si applica per i fabbricati aziendali diversi da quelli destinati a contenere gli impianti anche se questi ultimi, come nella fattispecie, sono di notevoli dimensioni e realizzati in cemento armato.


L'interpretazione prospettata non può essere condivisa. Anzitutto si rileva che, come emerge dal provvedimento impugnato, alcuni fabbricati ancora in fase di realizzazione risultano già dotati di finestroni, alcuni dei quali muniti di infissi in alluminio di cui non si comprende la finalità ove il manufatto fosse finalizzato esclusivamente al contenimento di emissione di polvere e rumori. In ogni caso, quand'anche si trattasse di opere destinate all'alloggiamento degli impianti, sarebbe ugualmente necessario il permesso di costruire perché la norma dianzi richiamata parla genericamente di "opere edilizie comprese nel ciclo produttivo", senza alcuna eccezione. Orbene la definizione di opera edile comprende qualsiasi manufatto idoneo ad incidere sull'aspetto del territorio. Pertanto anche i fabbricati destinati all'installazione d'impianti, se non finalizzati ad un uso meramente precario, specialmente se di notevoli dimensioni, sono assentibili solo con il permesso di costruire. D'altra parte, una cosa è l'impianto tecnologico, altra è l'opera edilizia destinata al suo alloggiamento. La valutazione del giudice in termini di abuso edilizio è pertanto logica e coerente avuto riguardo alla molteplicità ed alle dimensioni dei manufatti realizzati.


L'articolo 23 lettera I della legge Regione Liguria n 16 del 2008, citata dal ricorrente, si riferisce agli impianti e non agli edifici destinati a riceverli. I volumi tecnici menzionati nella norma sono quelli strettamente dipendenti dall'installazione dell'impianto. Il fabbricato che contiene un impianto, specialmente se di notevoli dimensioni, non può considerarsi volume tecnico solo perché non destinato a fini abitativi, in quanto alla locuzione "volume tecnico" deve darsi in via generale un significato aderente alle reali necessità edificatorie e tale soprattutto da non consentire in via generale l'elusione delle norme urbanistiche, come è avvenuto nella fattispecie che, sotto il paravento del volume tecnico destinato ad ospitare gli impianti, si è apportata una rilevante modifica al territorio senza alcun controllo da parte dell'autorità amministrativa.


Alla stregua delle considerazioni svolte il reato di cui all'articolo 44 del T.U. sull'edilizia è astrattamente configurabile e giustifica di per sé il sequestro preventivo. Ma nella fattispecie è configurabile anche il reato paesaggistico, in quanto il funzionario dell'ente preposto alla tutela del vincolo ha precisato che l'autorizzazione era stata rilasciata per un'opera diversa. Tale testimonianza allo stato è sufficiente per la configurabilità del reato Gli approfondimenti sono riservati alla fase di cognizione piena.


P.Q.M


LA CORTE
Letto l'art. 616 c.p.p.


Rigetta


il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 17 aprile del 2010

DEPOSITATA IN CANCELLERIA il  17 MAG. 2010



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