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Mancato pagamento della contribuzione e prescrizione del diritto alla costituzione di rendita vitalizia.

 

Antonino Sgroi


                1.  Il sistema previdenziale riconosce in favore dei lavoratori subordinati ([1]), nei confronti dei quali il proprio datore di lavoro non abbia provveduto a versare i contributi previdenziali e per il versamento dei quali sia decorso il termine prescrizionale ([2]), il diritto a vedersi costituire - con onere a carico del medesimo datore di lavoro inadempiente e, in mancanza di adempimento da parte di quest’ultimo, con onere a carico dello stesso lavoratore beneficiario – “…una rendita vitalizia riversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione generale obbligatoria che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi.” (art. 13, primo comma, legge n. 1338 del 1962) ([3]).

 

     Il legislatore struttura l’istituto come una facoltà  a cui può accedere, quale regola generale, lo stesso datore di lavoro inadempiente che abbia esibito all’ente previdenziale “…documenti di data certa, dai quali possano evincersi la effettiva esistenza  e la durata del rapporto di lavoro, nonché la misura della retribuzione corrisposta al lavoratore interessato.” (quarto comma, art. cit.).

 

     Solo nell’ipotesi che il lavoratore non possa ottenere la costituzione della rendita a carico del datore di lavoro, lo stesso legislatore riconosce tale facoltà, quindi con regola derogatoria della regola generale retro delineata, allo stesso lavoratore danneggiato dall’inadempimento, alle stesse condizioni riconosciute al datore di lavoro (quinto comma).

 

In quest’ultima ipotesi, si potrebbe parlare di doppio inadempimento, in quanto, antecedentemente, il datore di lavoro si è sottratto all’obbligo di pagare la contribuzione e, in un momento successivo, si è sottratto all’obbligo di pagare quanto necessario per costituire la provvista pecuniaria, su cui l’ente previdenziale avrebbe pagato la rendita vitalizia al lavoratore danneggiato.

 

                Il calcolo delle somme versate, a titolo di riserva matematica, è fatto sulla base di tariffe determinate e variate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali (u. c., art. cit.); tariffe che sono state da ultimo determinate con decreto ministeriale del 19 febbraio 1981.

 

                Dispone sempre la disposizione in commento, al secondo comma, che la riserva matematica, ottenuta dal versamento effettuato, alternativamente da uno dei due noti soggetti, è devoluta pro-quota all’Assicurazione Generale Obbligatoria (da ora in poi A.G.O.) e al Fondo di adeguamento e ha come conseguenza l’accreditamento in favore del lavoratore “…di contributi base corrispondenti, per valore e numero, a quelli considerati ai fini della rendita.”

 

     L’effetto della costituzione della rendita è quello di integrare immediatamente la pensione erogata o, qualora non vi sia ancora pagamento di trattamento pensionistico, quello della valutazione “…a tutti gli effetti ai fini dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti.” (terzo comma).

 

                Delineato, per sommi capi, l’istituto, non può che constatarsi, in via di prima approssimazione, come il legislatore abbia introdotto, nel sistema di previdenza pubblico, un istituto tipicamente assicurativo o, per lo meno, abbia fatto uso di un’espressione che rimanda al modello assicurativo delineato nel codice civile.

 

Infatti, come noto, nel contratto di assicurazione sulla vita, l’assicuratore, verso pagamento di un premio, si obbliga a pagare, in genere per il caso di esistenza in vita dell’assicurato a un certa data successiva alla stipula del contratto, una rendita vitalizia differita.

 

La rendita e, ancor più a monte, il contratto di assicurazione dalla quale la stessa scaturisce svolgono una funzione previdenziale, funzione tramite la quale l’assicurato persegue lo scopo di garantirsi un reddito al momento dell’estromissione dal mondo del lavoro ([4]).

 

                Preso atto di tale commixtio, bisogna chiedersi se e come la stessa incida all’interno del sistema previdenziale pubblico nel momento in cui il datore di lavoro o lo stesso lavoratore vogliano fruirne.

 

   Innanzitutto si deve disconoscere di essere davanti a un contratto e ciò in quanto l’ente previdenziale, una volta accertata l’esistenza dei requisiti prescritti dalla norma (si v. il quarto comma), ha l’obbligo di consentire il versamento delle somme necessarie alla costituzione della provvista, per l’erogazione della rendita vitalizia.

 

   Le somme versate, in unica soluzione o ratealmente, non sono strictu sensu contribuzione ma si sostituiscono alla stessa per il periodo lavorativo scoperto e ne svolgono, all’interno del sistema previdenziale, la medesima funzione e cioè quella di assicurare una posizione contributiva al lavoratore o ai suoi aventi causa, un trattamento pensionistico o una quota ulteriore di trattamento pensionistico all’interno dell’unica pensione, in quest’ultima ipotesi il legislatore parla di integrazione della pensione (terzo comma) ([5]).

 

   La differenza strutturale che, invece, distingue i versamenti contributi veri e propri e le somme versate a titolo di riserva matematica attiene alle modalità di individuazione delle somme da versare nel primo e nel secondo caso e, ancor più a monte, ai soggetti tenuti al versamento.

    Con riguardo ai soggetti, nell’ipotesi:

 

      a)    di contribuzione previdenziale, l’ordinamento individua un solo soggetto tenuto al versamento e cioè il datore di lavoro, che fruisce delle prestazioni del lavoratore;

 

      b)  della rendita vitalizia si può affermare, in prima battuta, che non vi è adempimento obbligatorio né da parte del datore di lavoro, né da parte del lavoratore, entrambi questi soggetti hanno la libertà di scegliere se fruire del modello dell’art. 13 o meno. A volere ben considerare, però, con riguardo al datore di lavoro, il sistema una forma di coartazione e quindi di obbligo lo prevede, laddove riconosce al lavoratore la possibilità di sostituirsi al datore di lavoro, solo dopo che egli stesso ha inutilmente tentato di convincerlo a sostenere le spese necessarie per la costituzione della rendita vitalizia.

 

Con riguardo al secondo aspetto, somme necessarie per l’adempimento dell’obbligo contributivo e somme necessarie per la creazione della riserva matematica, può affermarsi che i costi dell’adempimento sono inferiori ai costi sopportati per la creazione della riserva, ciò emergerà, nel prosieguo della trattazione, quando ci si soffermerà sul decreto ministeriale del febbraio 1981, che ha fissato le tariffe per il calcolo della riserva matematica e dando in questa sede per noti i meccanismi attraverso i quali si perviene al calcolo dei contributi dovuti all’ente previdenziale durante un rapporto di lavoro.

 

Quanto sin qui esposto tornerà utile nel momento in cui ci si soffermerà a esaminare la questione oggetto del presente scritto, ma, ancor prima di tale operazione, è opportuno porre l’attenzione, brevemente, sulle maggiori problematiche affrontate dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo alla disposizione in commento.

 

      2. La prima delle problematiche atteneva all’ambito di operatività soggettiva della disposizione.

 

   Come retro evidenziato è stata la Corte costituzionale ad allargare la sfera di operatività dell’articolo, ritenendo che fossero da annoverare fra i lavoratori tutti quei soggetti che non hanno nella loro libera disponibilità il versamento della contribuzione previdenziale.

 

   Del pari, è costantemente esclusa l’applicabilità dell’istituto nei confronti dei lavoratori autonomi (ivi compresi i titolari di impresa), senza che tale esclusione possa comportare alcuna violazione del principio di eguaglianza in quanto, come rileva la Corte di cassazione, “…sarebbe irragionevole, ossia contrastante con il principio di eguaglianza (art. 3, secondo comma, Cost.), parificare la situazione del lavoratore dipendente, che perde benefici previdenziali a causa delle omissioni contributive del datore di lavoro e perciò deve costituirsi la rendita o chiedere il risarcimento del danno, e la situazione del professionista (nel caso di specie il ricorrente svolgeva l’attività di dottore commercialista), che per un periodo della sua vita professionale omette di contribuire e più tardi vuole recuperare i benefici perduti…” ([6]).

 

Ulteriore questione, che ha portato anch’essa all’intervento del giudice delle leggi, riguardava l’interpretazione del terzo comma e della necessità della prova documentale.

 

   La Corte costituzionale, nella sentenza n. 568 del 22 dicembre 1989 ([7]), ha dichiarato l’illegittimità dei commi terzo e quarto dell’art. 13 l. cit. nella parte in cui, salva la necessità della prova scritta sulla esistenza del rapporto di lavoro il cui onere grava sul lavoratore, non consente di provare altrimenti la durata del rapporto stesso e l’ammontare della retribuzione.

 

   Sulla scorta di tale declaratoria di illegittimità costituzionale, la giurisprudenza ha costantemente affermato che “…sussiste la necessità della prova scritta in ordine all’esistenza del rapporto di lavoro subordinato nel periodo di omissione contributiva, essendo consentito provare con altri mezzi, anche orali, soltanto la durata del detto rapporto e l’ammontare della retribuzione.” ([8]).

 

                Con riguardo al momento in cui il lavoratore può richiedere all’ente previdenziale di costituire a sue spese la rendita vitalizia la giurisprudenza ha affermato  che “…è inammissibile la domanda proposta direttamente dal lavoratore nei confronti dell’Inps, in sostituzione del datore di lavoro, e diretta ad ottenere la costituzione di una rendita vitalizia (pari alla pensione o alla quota di pensione adeguata ai contributi assicurativi omessi e non più versabili per intervenuta prescrizione), ove il lavoratore non abbia dato la prova della impossibilità di ottenere la rendita dallo stesso datore di lavoro.” ([9]).

 

                Da ultimo, sempre con riguardo a quei profili più rilevanti della disposizione che sono stati oggetto di interpretazione giurisprudenziale, è da menzionare la sentenza ove i giudici della nomofilachia, esplicitando il rapporto esistente fra questa disposizione e il principio di automatismo, hanno ritenuto che “Ove il lavoratore abbia dato comunicazione dell’omissione contributiva del datore di lavoro al competente ente previdenziale e quest’ultimo non abbia provveduto a conseguire i contributi omessi, lo stesso ente, in quanto obbligato, nell’ambito del rapporto giuridico con l’interessato (anche ex art. 1175 e 1176 c.c.), alla diligente riscossione di un credito che, ancorché proprio, vale a soddisfare il diritto costituzionalmente protetto del lavoratore, è tenuto a provvedere alla regolarizzazione della posizione assicurativa del lavoratore medesimo, ove a quest’ultimo sia precluso di ricorrere alla costituzione della rendita ex art. 13 l. n. 1338 del 1962 o all’azione di risarcimento danni ex art. 2116 c.c.” ([10]).

 

                Esaurita la breve e non esaustiva carrellata delle ultime decisioni della giurisprudenza sul tema investigato può ora passarsi all’esame della problematica attinente alla prescrizione o meno del diritto da parte del datore di lavoro e da parte del lavoratore di richiedere all’ente previdenziale la costituzione di rendita vitalizia.

 

       3.  A quel che consta, la Cassazione ha avuto occasione di pronunciarsi ex professo sulla questione con sette decisioni e, precisamente:

     -     sentenza n. 6361 del 4 dicembre 1984 ([11]);

     -     sentenza n. 9270 del 15 dicembre 1987 ([12]);

     -     sentenza n. 10945 del 2 novembre 1998 ([13]);

     -     sentenza n. 14680 del 29 dicembre 1999 ([14]);

     -     sentenza n. 3756 del 13 marzo 2003 ([15]);

     -     sentenza n. 7853 del 19 maggio 2003 ([16]);

     -     sentenza n. 13836 del 18 settembre 2003 ([17]).

 

     Nella decisione del 1984, la n. 6361,  il Collegio, su specifico motivo di gravame proposto dal datore di lavoro, ha ritenuto: “…poiché l’esercizio della facoltà ex art. 13 comma V legge n. 1338/62 del lavoratore dipendente di reintegrare mediante la rendita vitalizia la propria posizione assicurativa in sostituzione del datore di lavoro, è connessa per espressa previsione legislativa alla prescrizione dell’obbligazione assicurativa, è conforme al diritto far decorrere ex art. 2935 c. c. il termine prescrizionale dell’azione di reintegrazione ex art. 13 comma V l. n. 1338/62, dalla scadenza della prescrizione dei contributi che il datore di lavoro avrebbe dovuto versare e non ha versato. Stando così le cose si appalesa erronea l’affermazione secondo cui l’azione ex art. 13 comma V legge 1338/62 sarebbe imprescrittibile, perché se è pur vero che la relativa domanda viene azionata al fine di realizzare compiutamente un diritto indisponibile – e cioè, per quanto ne occupa, il diritto al conseguimento della pensione per invalidità, vecchiaia e superstiti – pur tuttavia il diritto del lavoratore alla costituzione della rendita vitalizia destinata a sostituire gli effetti della posizione assicurativa rimasta in tutto o in parte, scoperta, non perde la propria autonomia di rimedio reintegrativo e risarcitorio rispetto al diritto indisponibile, per cui resta soggetto alla prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c. c.”

 

                La seconda decisione, la n. 9270 del 1987, conferma il principio di prescrittibilità del diritto alla costituzione della rendita vitalizia limitandosi a ripetere, anche letteralmente, quanto affermato nel suo precedente del 1984 e, anche in questo caso, su sollecitazione del datore di lavoro convenuto.

 

                Nella decisione del 1998, la n. 10945 – anche in questa ipotesi l’eccezione di prescrizione era proposta dal datore di lavoro -, la Corte non esamina direttamente il profilo della prescrizione o meno del diritto alla costituzione alla rendita vitalizia.

 

Infatti il Collegio ritiene che sia in potere anche del “…datore di lavoro, qualora dimostri un suo interesse, (di) opporre la prescrizione del diritto alla rendita, ancorché egli non sia il soggetto passivo del diritto, vale a dire il diretto legittimato all’eccezione di prescrizione (Cass. 15 dicembre 1987, n. 9270).

 

L’affermazione ha, come suo implicito presupposto, che, nelle fasi del giudizio di merito, il datore di lavoro aveva eccepito la prescrizione del diritto alla costituzione della rendita vitalizia.

 

                Nella statuizione n. 14680 del 1999, la Corte afferma che l’art. 13 disciplina una fattispecie speciale e che la “disposizione ha una doppia faccia perché non si limita a fissare un criterio di calcolo del danno già determinatosi al fine di integrare il trattamento pensionistico del lavoratore, ma appronta anche una specifica tutela preventiva per la rimozione "ex ante" della potenzialità di danno che incombe sul lavoratore nel periodo suddetto (periodo che va dalla prescrizione dell’obbligo del datore di versare i contributi previdenziali al momento di attivazione della prestazione previdenziale e di attualizzazione del danno). Il lavoratore (e prima ancora lo stesso datore di lavoro, che intenda eliminare la potenzialità del danno prima che si verifichi al fine di non subire l’eventuale aggravamento della sua responsabilità risarcitoria) può chiedere all’Inps la costituzione di una rendita vitalizia reversibile pari alla pensione o alla quota di pensione adeguata all’assicurazione obbligatoria che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi (la giurisprudenza parla in tal caso di "reintegrazione specifica" della posizione assicurativa: così già Cass. 16 novembre 1981 n. 6088). Una volta versata la somma pari alla riserva matematica corrispondente alla rendita la posizione assicurativa del lavoratore è ricostituita e la potenzialità del danno è rimossa preventivamente. Però il lavoratore viene a subire la diminuzione patrimoniale pari alla somma versata (al fine suddetto) a causa di un atto illecito (l’inadempimento contributivo) del datore di lavoro; ciò radica una pretesa restitutoria che è immediatamente azionabile (e alla quale il datore di lavoro può resistere contestando in ipotesi la sussistenza dei presupposti per la costituzione della rendita).” e, con riguardo al nostro tema, si trova un’affermazione di prescrizione del diritto alla costituzione della rendita vitalizia (prgg. 6.3 e 7), senza argomentazione alcuna sul punto.

 

                La terzultima sentenza del Supremo Collegio è la n. 3756 del marzo 2003. In questa decisione, per la prima volta risulta essere stato l’ente previdenziale ha sollevare l’eccezione di prescrizione del diritto di cui all’art. 13 l. cit., la Corte, riallacciandosi alla sua giurisprudenza sul tema, afferma che “Il diritto del lavoratore alla rendita vitalizia ex art. 13 l. 12 agosto 1962, n. 1338 è soggetto a prescrizione ordinaria decennale, decorrente dal momento della maturazione della prescrizione del credito dell’Inps nei confronti del datore di lavoro per l’omissione contributiva che ha determinato la scopertura assicurativa cui la rendita deve sopperire.”

 

La Corte, nell’accogliere il gravame proposto dall’ente previdenziale, osserva:

 

      -    “…che non rileva la conoscenza o meno, che il lavoratore abbia dell’omissione contributiva…Cass. 6 febbraio 1987, n. 1247 (in Rep. Giur. It., 1987, voce <<Prescrizione e decadenza civile>> , n. 103, m.) ha affermato che il principio secondo il quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c. c.) si riferisce alla sola possibilità legale e non anche a quella materiale, e meno ancora all’incuria del titolare, anche se dovuta alla mancata conoscenza della facoltà spettategli di esercitare il diritto (Cass. 29 dicembre 1999, n. 14680 [v. supra])”;

 

      -    “..in tema di prescrizione dei contributi, che il regime civilistico di disponibilità stabilito negli art. 2937 (rinunzia) e 2938 (non rilevabilità d’ufficio) del codice trova nella contribuzione dovuta all’Inps una rilevante deroga con la regola dell’indisponibilità, per cui il  contribuente –debitore (datore e prestatore di lavoro: art. 2115 c. c.) che abbia ancora interesse ad adempiere non può farlo una volta che il credito sia prescritto, né l’istituto creditore può ricevere la contribuzione, pur se offertagli.”;

 

      -    sulla scorta delle osservazioni di cui retro e dei “..ben più importanti principi generali – che il diritto alla rendita vitalizia non può non essere assoggettato a un termine di prescrizione, e che per tale termine, in mancanza di espressa previsione legislativa, non può non farsi riferimento che a quello decennale della prescrizione ordinaria.”;

 

      -    infine, con riguardo al dies a quo, di decorrenza del termine prescrizionale, facendo proprio l’argomentare utilizzato nel proprio precedente, il n. 14680 del 1999 (retro cit.), che lo stesso decorre dal momento in cui è spirato il termine prescrizionale legislativamente fissato per il versamento della contribuzione.

 

 La seconda delle sentenze emanate durante l’anno 2003, la n. 13836, si segnala per un diverso approccio logico-giuridico alla questione, diversità di approccio che ha consentito al Collegio di accogliere la soluzione dell’imprescrittibilità.

 

      Il Supremo Collegio procede innanzitutto a una “…riflessione di carattere generale sulla prescrittibilità delle facoltà giuridiche e dei cosiddetti diritti potestativi.”

 

  Tale riflessione, condotta attorno all’individuazione della categoria “diritto potestativo” e dell’uso che di essa ha fatto la giurisprudenza, conduce la Corte ad affermare che “…la facoltà di costituire la rendita vitalizia ex art. 13 l. n. 1338/1962…appare riconducibile al novero delle facoltà comunemente ricondotte alla categoria dei diritti potestativi, poiché è attribuita alla volontà del lavoratore interessato (o del datore di lavoro che agisca nell’interesse primario del medesimo) la modificazione della sua posizione assicurativa nei confronti dell’istituto assicuratore, mentre gli adempimenti amministrativi a  carico dell’istituto hanno carattere meramente esecutivo e il versamento della somma necessaria per la costituzione della rendita rappresenta un onere rispetto al conseguimento dell’effetto giuridico perseguito.”

 

   Assimilata la facoltà dell’art. 13 l. cit. a un diritto potestativo, il successivo passo è rappresentato dalla circostanza che l’istituto in questione sia da annoverarsi fra i diritti potestativi soggetti a prescrizione o, all’opposto, fra quei diritti potestativi nei confronti dei quali non opera la prescrizione.

 

I giudici ritengono che la costituzione della rendita vitalizia sia da comprendere fra i diritti potestativi non soggetti a prescrizione sulla scorta di tali considerazioni:

 

a) attualità della situazione legittimante, l’iniziativa per la costituzione della rendita presuppone l’esistenza in vita del lavoratore stesso, salva l’ipotesi dei superstiti con diritto al trattamento di reversibilità, avente un interesse, immediato o futuro, ad avvalersi della posizione assicurativa costituita ex novo o incrementata per effetto della menzionata costituzione;

 

b) effetti solo per il futuro dell’esercizio del diritto, la domanda di costituzione della rendita produce effetti limitatamente alle prestazioni  erogate successivamente al versamento della provvista.

 

   Tale ricostruzione dell’istituto, natura di diritto potestativo non soggetto a termine prescrizionale, non è inficiata, secondo il Collegio, dalla circostanza che “…parte essenziale della fattispecie costitutiva, e cioè la prescrizione dei contributi, si perfeziona una volta per sempre e che da quel momento la facoltà può cominciare ad essere esercitata, la detta prescrizione dei contributi non esaurisce la fattispecie costitutiva, mentre, in relazione alla finalità dell’istituto, effettivo baricentro della situazione legittimante, deve ritenersi piuttosto la rilevanza attuale della condizione del soggetto (potenziale) titolare di una posizione assicurativa da incrementare o da costituire mediante il riscatto dei periodi lavorativi non coperti da contribuzione.”

 

     La Corte a questa argomentazione interna annette, a ulteriore corroborazione, un’argomentazione esterna costituita da un parallelismo fra l’istituto in commento e l’istituto del riscatto, in specie quando questo è utilizzato per ovviare alle carenze contributive di periodi lavorativi (si menzionano l’art. 51  della legge n. 153 del 30 aprile 1969, l’art. 2-octies del d. l. n. 30 del 2 marzo 1974, convertito con modifiche in legge n. 114 del 16 aprile 1974, l’art. 3 del decreto legislativo n. 184 del 30 aprile 1997).

 

  L’utilizzo del riscatto ai citati fini, secondo la Corte “…mette forse meglio in evidenza l’incidenza attribuita dal legislatore all’interesse e alla volontà attuali del lavoratore di costituire o incrementare una posizione assicurativa a proprio favore e al rilievo condizionante, ma non esclusivo, della sussistenza dei periodi da riscattare. Infatti,  in difetto di diversa previsione, è lasciata alla valutazione dell’interessato, in relazione alle mutevoli vicende della sua vita lavorativa e non lavorativa, e anche – particolare non trascurabile – alle sue disponibilità economiche, la valutazione circa l’opportunità di effettuare o meno il riscatto e il momento in cui ricorrervi.”

 

             Nell’ultima, delle citate decisioni, la n. 13836 del 2033, la Suprema Corte ha riaffermato, tout court, il principio della prescrittibilità del diritto della costituzione della rendita vitalizia e della sua decorrenza dalla data di prescrizione del credito contributivo dell’Inps.

 

 

4. Concluso l’esame dello stato dell’arte – evidenziato che sul tema i nodi giuridici da risolvere attengono all’applicabilità o meno dell’istituto della prescrizione alla costituzione della rendita vitalizia e, nell’ipotesi di risposta positiva a questo quesito, all’individuazione del momento dal quale effettuare il computo del termine prescrizionale – nel tentativo di dare una risposta esauriente ai quesiti posti è necessario prendere le mosse dall’istituto introdotto dal legislatore con la’rt. 13 della legge n. 1338 del 1962 e verificare come lo stesso si delinei.

 

     La disposizione in esame si pone all’interno di un testo legislativo chiamato a migliorare i trattamenti di pensione dell’Assicurazione generale obbligatoria (da ora in poi A.G.O.) e, innovativamente ([18]), introduce nel sistema previdenziale un meccanismo che consente, a soggetti ben individuati, - in ordine cronologico e normativo: il datore di lavoro e il lavoratore - la possibilità di versare somme di denaro per la copertura di periodi regolarmente lavorati, periodi per i quali il datore di lavoro abbia omesso di versare la prescritta contribuzione a tempo debito e nei confronti della quale sia decorso il termine prescrizionale prescritto a tutela dell’interesse pubblico.

 

   Si aggiunga che, con riguardo alla tutela apprestata al lavoratore subordinato, l’art. 13 si salda con la disposizione dell’art. 2116 cod. civ. ([19]), apprestando le citate norme un modello unitario di tutela che consente al lavoratore:

 

      -    di vedersi garantite le prestazioni previdenziali, secondo forme e limiti che in questa sede si danno per noti, in forza del principio di automatismo (primo comma art. 2116 cod. civ.);

 

      -    di richiedere all’ente previdenziale l’apprestamento di una tutela previdenziale anche per quei periodi di lavoro durante i quali vi è stata omissione contributiva da parte del datore di lavoro e sia decorso il termine prescrizionale entro il quale effettuare il versamento dei contributi (art. 13 l. cit.);

 

      -    di richiedere il risarcimento dei danni patiti per il mancato riconoscimento di prestazioni previdenziali, mancato riconoscimento causato dalla omessa o irregolare contribuzione (comma secondo, art. 2116 cod. civ.) ([20]).

 

        Delineata, quel che sembra essere, la teleologia dell’art. 13, le sue radici e la sua posizione nel sistema della legislazione previdenziale, bisogna verificare se tale modello interpretativo finalizzato trovi riscontro nel testo legislativo e, successivamente, nel decreto ministeriale del 19 febbraio 1981, provvedimento, quest’ultimo, emanato ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 13, che indica i modelli statistico attuariali in forza dei quali l’ente previdenziale individua la riserva matematica, cioè le somme di denaro necessarie per la successiva, al versamento della riserva, erogazione della rendita vitalizia.

 

       Il presupposto fattuale di operatività dell’articolo lo si ritrova  nel primo dei sei commi, laddove si parla di:

 

      a)  inadempimento del datore di lavoro con riguardo al versamento della contribuzione all’A.G.O.;

 

      b)  impossibilità di adempimento, anche successivo, da parte del debitore - datore di lavoro per intervenuto decorso del termine prescrizionale.

 

    Qualora sorgano i due citati elementi - che, sotto il profilo previdenziale, condurrebbero, alternativamente, all’impossibilità di riconoscimento del diritto a pensione o, all’erogazione di una pensione inferiore a quella che sarebbe spettata se vi fosse stato il  versamento, a tempo debito o, in ogni caso, prima dello spirare del termine prescrizionale per la riscossione della contribuzione – il legislatore riconosce al datore di lavoro inadempiente la facoltà, il verbo utilizzato è “potere”, di costituire la rendita vitalizia (primo comma).

 

Questa prima ipotesi lascia trasparire una scelta volontaria del datore di lavoro, scelta in forza della quale, lo stesso debitore pone fine alla propria mora adempiendo diversamente alla propria obbligazione, il pagamento della contribuzione, e così facendo salvaguardando la posizione previdenziale del lavoratore e la posizione creditoria dell’ente previdenziale destinatario della contribuzione (Tale assunto deve però tenere conto della circostanza che il debitore della contribuzione previdenziale, nel momento in cui è decorso il termine, legislativamente previsto per la riscossione della contribuzione dovuta, prescrizionale, non è più debitore di somme di danaro a tale titolo nei confronti dell’ente previdenziale) ([21]).

 

Tale scelta del datore di lavoro - che, sotto il versante economico, comporta un depauperamento dello stesso a favore dell’ente previdenziale, e, sotto il versante giuridico, comporta un ristabilimento della legalità violata dal precedente inadempimento dell’obbligo contributivo – potrà operare in qualsiasi momento senza che l’ente destinatario della richiesta di versamento della riserva matematica possa opporre alcunchè o. all’opposto, tale scelta, al pari di qualsiasi altro diritto, potrà essere operata nel rispetto della regola generale in tema di prescrizione che fissa il noto termine decennale? ([22]).

 

Una risposta a questo quesito passa necessariamente attraverso la verifica della posizione giuridica e, ancor prima, economica, che l’ente previdenziale ha all’interno del modello esaminato.

 

Scilicet l’accettazione della domanda fatta dal datore di lavoro o, subordinatamente, dallo stesso lavoratore, e, conseguentemente, la ricezione delle somme a titolo di riserva matematica comporta per l’ente previdenziale un costo economico che in mancanza dell’accettazione della domanda  non sarebbe sorto?

 

   La risposta a tale quesito conduce all’esame, che si farà in seguito, delle tariffe, di cui al citato decreto ministeriale, al fine di verificare se le stesse sono determinate solo tenendo conto del rendimento che la contribuzione regolarmente versata avrebbe avuto o anche, prognosticamente, della durata della vita del beneficiario o dei beneficiari della rendita vitalizia.

 

In quest’ultima ipotesi è chiaro che la riserva matematica sarà più elevata e ciò al fine di evitare che l’ente previdenziale in conseguenza erogazione della rendita possa sopportare rischi economici da socializzare.

 

   Il problema della prescrizione, in questa ipotesi, attiene esclusivamente il rapporto fra datore di lavoro che vuole provvedere al pagamento della riserva matematica ed ente previdenziale destinatario della stessa.

 

E’ chiaro però che il destinatario economico della risposta dell’ente previdenziale è anche il lavoratore che vedrà dipendere il riconoscimento del diritto a pensione o l’aumento del rateo di pensione erogato dalla scelta dell’ente previdenziale di eccepire o meno la prescrizione del diritto a costituire la rendita vitalizia.

 

          La seconda ipotesi delineata nell’art. 13 vede come soggetto destinatario del potere di provvedere al pagamento della riserva matematica, lo stesso lavoratore danneggiato dall’omissione contributiva che, così si esprime il quinto comma, si sostituisce al datore di lavoro inadempiente.

 

In questo caso però è lo stesso legislatore previdenziale a prevedere che tale possibilità sia esperibile solo dopo che il lavoratore non riesca a ottenere il versamento della riserva matematica dal datore di lavoro che, si reitera, appare il destinatario  naturale di tale meccanismo.

 

     Nella citata ipotesi è possibile selezionare una serie di rapporti e sottostanti interessi, precisamente:

 

      a)  il rapporto fra datore di lavoro inadempiente e lavoratore, rapporto all’interno del quale si pone nella richiesta del secondo di pagamento a carico del primo delle somme necessarie alla costituzione della rendita vitalizia;

 

      b)  il rapporto fra datore di lavoro ed ente previdenziale qualora lo stesso, dopo la sollecitazione, provveda al pagamento di quanto necessario e per questo si rimanda alle considerazioni fatte prima;

 

      c)  il rapporto fra lavoratore che, quale extrema ratio, provvede al pagamento delle somme richieste per la riserva matematica, e l’ente previdenziale destinatario delle stesse e, successivamente obbligato, al pagamento della rendita vitalizia.

 

          La disaggregazione delle posizioni individuali, ruotanti attorno all’istituto in esame, consente una visione più chiara della vexata quaestio in tema di prescrizione del diritto a costituzione della rendita vitalizia.

 

   Nella prima delle ipotesi è chiaro che a una pretesa patrimoniale da parte del lavoratore corrisponde, dal lato opposto, l’interesse del datore di lavoro – debitore di non sopportare un onere economico costituito dall’esborso delle somme di denaro necessarie per la riserva matematica dell’art. 13 legge n. 1338 del 1962.

 

La contrapposizione di interessi economici che si riscontra porta a concludere che il diritto del lavoratore, a cui fa da contraltare la posizione di soggezione del datore di lavoro, non può che essere soggetto all’ordinario termine prescrizionale decennale, non potendosi immaginare una soggezione “senza termine finale” del datore di lavoro ([23]).

 

  La seconda ipotesi, come retro evidenziato, rifluisce nell’ipotesi in cui il datore di lavoro, senza aspettare la richiesta del lavoratore, si attiva spontaneamente per il pagamento di quanto dovuto.

 

   Infine nell’ultima delle ipotesi, quella sub c), si ha in capo al lavoratore l’assunzione di una doppia veste, anche se in tempi diversi.

 

Egli, da un lato, è il debitore delle somme da versare all’ente previdenziale a titolo di riserva matematica; dall’altro, una volta che ha effettuato il dovuto pagamento, diviene creditore nei confronti dell’ente previdenziale di una prestazione previdenziale denominata rendita vitalizia.

 

In questo caso, ai nostri fini, rileva la prima delle posizioni assunte, quella di debitore di una somma di denaro a seguito dell’accettazione da parte dell’I.N.P.S. della sua domanda di costituzione rendita vitalizia.

 

All’interno di questo quadro è necessario chiedersi qual’è l’interesse che l’ente previdenziale, al momento della richiesta dell’art. 13 l. cit.,  potrebbe perseguire negando la possibilità di costituzione della rendita vitalizia, per intervenuto decorso del termine prescrizionale decennale.

Appare chiaro che l’interesse, di cui si fa menzione, non può che essere un interesse a ché dall’accettazione della richiesta non possano scaturire oneri economici in capo all’ente previdenziale, ente la cui posizione economica deve rimanere inalterata o indifferente alla costituzione della rendita vitalizia.

 

Tale posizione di indifferenza si radica sulla circostanza che alcun onere economico, - passato, presente e futuro - a seguito della citata costituzione, sarà posto in capo all’ente previdenziale e tale risultato sarà raggiunto solo se l’importo delle somme da versare a titolo di riserva matematica, per la costituzione della rendita vitalizia, terrà conto, da un lato, della redditività che i contributi, versati a tempo debito, avrebbero fornito all’ente previdenziale e, dall’altro, delle probabilità di vita del/i  beneficiario/i della rendita vitalizia ([24]).

 

          Si deve pertanto concludere, in via provvisoria, che il profilo della prescrizione o meno del diritto alla costituzione della rendita vitalizia nei confronti dell’ente previdenziale assume connotazioni diverse, sotto il versante investigato, a seconda delle modalità di determinazione della riserva matematica e pertanto, a questo punto della disamina, è necessario spostare l’attenzione al decreto ministeriale del febbraio 1981.

 

          Utili indicazioni per la ricostruzione del sistema “costituzione rendita previdenziale per omissioni contributive del datore di lavoro” si rinvengono dalla lettura del decreto ministeriale di fissazione delle tariffe.

 

   Se si ferma l’attenzione sull’allegato 12, che da le istruzioni e gli esempi relativi all’applicazione della tariffa  per la sistemazione di periodi scoperti di contribuzione nell’A.G.O. ai sensi dell’art. 13 legge n. 1338 del 1961, si legge fra l’altro che “…l’operazione è facoltativa e viene effettuata, in qualsiasi momento, a richiesta del datore di lavoro che ha omesso il versamento dei contributi o dei suoi aventi causa, ovvero a richiesta del lavoratore o dei suoi superstiti.” ([25]).

 

La stessa affermazione, di possibilità di adempimento in qualsiasi momento, non è fatta nello stesso allegato, allorquando si parla di applicazione delle tariffe ai periodi di lavoro compiuti con iscrizione a fondi o casse aziendali istituiti ai sensi degli articoli 28 e 32 del regio decreto legge n. 636 del 14 aprile 1939, convertito con modifiche in legge n.  1272 del 6 luglio 1939 e, dell’art. 15 della legge n. 55 del 20 febbraio 1958.

 

La constatazione fatta in questa sede porta a ritenere che lo stesso legislatore ha riconosciuto, senza limite temporale alcuno, il potere di versare le somme per la riserva matematica e tale soluzione trova una sua spiegazione nei costi, predeterminati nello stesso decreto ministeriale, posti a  carico esclusivo del richiedente.

 

I costi per la costituzione della rendita vitalizia sono evidenziati nel citato allegato laddove si afferma “…ai contributi considerati utili (si rammenti il secondo comma dell’art. 13) corrisponde una determinata quota annua di pensione. Per il calcolo della riserva matematica corrispondente a tale quota di pensione serve la tariffa allegata,…I singoli termini della tariffa costituiscono l’ammontare del capitale che deve essere versato per ogni lira di pensione annua acquisita a seguito dell’operazione; in pratica, quindi la somma dovuta è pari al prodotto della quota di pensione annua acquisita a seguito dell’operazione per il coefficiente indicato in tariffa.”

 

Sempre nello stesso allegato si trova affermato perentoriamente che “La riserva matematica, determinata nei modi in precedenza esposti, è peraltro destinata alla copertura dell’onere assunto dall’assicurazione generale obbligatoria solo dal momento in cui è riferito il calcolo in poi;…”.

 

          Orbene l’individuazione delle modalità tramite le quali si perviene alla quantificazione delle somme da versare ex art. 13 e la circostanza che tali modalità addossano i costi dell’operazione solo ed esclusivamente sul richiedente, senza alcun onere per le casse pubbliche, corroborano ulteriormente l’affermazione, fatta nello stesso decreto ministeriale, di possibilità in qualunque momento di esperimento della richiesta.

 

Tale riconoscimento, libero da vincoli temporali, trova la sua ratio nella circostanza che, in tale ipotesi, l’ente previdenziale pubblico si comporta come un qualsiasi assicuratore privato garantendo una prestazione a condizione che riceva, previamente, dal beneficiario o da un terzo, in questo caso il datore di lavoro, la somma di denaro necessaria per l’erogazione periodica della rendita vitalizia.

 

          A questo punto della trattazione si può pertanto conclusivamente affermare che:

 

      -    la soluzione al primo dei quesiti posti è interna allo stesso sistema previdenziale e non necessita di utilizzazione alcuna di modelli teoretici di più ampio respiro;

 

      -    l’eccezione di prescrizione ha una sua utilità all’interno del rapporto che vi è fra datore di lavoro e lavoratore, in quanto tesa a non lasciare indefinitivamente sottoposto alla scelta discrezionale del lavoratore il datore di lavoro;

 

      -    all’opposto, nei confronti dell’ente previdenziale, l’ordinaria prescrizione, tipica di ogni diritto, non opera per la constatazione che alcun costo economico, immediato o che possa sorgere durante il periodo in cui si eroga la prestazione pensionistica, è addossato all’.I.N.P.S. a causa dell’inadempimento contributivo, nel momento in cui si costituisce la rendita vitalizia ex art. 13 l. n. 1338 del 1962, avendo l’ordinamento previsto l’allocazione dei costi solo in capo ad altri e distinti soggetti a cui è discrezionalmente affidata la possibilità o meno di accedere al modello delineato dalla citata disposizione.


_________________________

([1]) La Corte costituzionale, con decisione interpretativa di rigetto n. 18 del 19 gennaio 1995 (in Rep. Giur. It., 1995, voce <<Previdenza Sociale>>, n. 206, e, per la motivazione, in Dir. Lav., 1995, II, 327, con nota di  MARINELLI, La Corte Costituzionale estende il riscatto dei contributi prescritti anche ai collaboratori dell’artigiano), ha ritenuto che all’interno della categoria “lavoratore” utilizzata nell’art. 13 si debba annoverare il lavoratore familiare di impresa artigiana.

La Corte ha fra l’altro argomentato che “…rimane affidato all’interprete il compito di stabilire se non sia il dinamismo stesso della legislazione previdenziale, improntata al principio di sicurezza sociale, a far ritenere applicabile in via estensiva la norma anche ai familiari dell’artigiano che non siano titolari dell’impresa ma lavorino abitualmente e prevalentemente nell’azienda e non siano già compresi nell’obbligo assicurativo previsto dalle norme vigenti per l’assicurazione obbligatoria I.V.S., in quanto lavoratori subordinati;…” (Lo stesso principio lo si ritrova affermato nell’ordinanza n. 21 del 23 gennaio 2001 [in Rep. Giur. It., 2001, voce <<Previdenza Sociale>> n. 384, e, per la motivazione, in Giur. Cost., 2001, 63]).

   La Corte di cassazione ha fatto proprie le conclusioni a cui è pervenuto il giudice delle leggi nella menzionata decisione e ha costantemente affermato l’applicabilità dell’art. 13 anche in favore dei familiari del lavoratore artigiano coadiuvanti nell’impresa di quest’ultimo (sul punto si v. da ultimo: Cassazione n. 5330 del 13 aprile 2002 [in Rep. Giur. It., 2002, voce <<Previdenza Sociale>>, n. 315] e n. 8089 del 15 giugno 2001 [in Rep. Giur. It., 2001, voce <<Previdenza sociale>>, n. 386] e Cassazione n. 12149 del 19 agosto 2003 (in Banca Dati C.E.D. Cass., RV. 565988).

 

([2]) Il termine prescrizionale per il versamento dei contributi è stato da ultimo modificato dall’art. 3, commi nono e decimo, della legge 8 agosto 1995, n. 335.

Si rilevi che, difformemente dal modello codiciale di prescrizione, il legislatore previdenziale prevede esplicitamente l’impossibilità, da parte degli enti previdenziali, di riscuotere i contributi prescritti (art. ult. cit.).

La giurisprudenza ha costantemente affermato la possibilità, in capo allo stesso giudice, di rilevare autonomamente il decorso del termine prescrizionale per il versamento della contribuzione previdenziale (fra le tante: Cassazione 16 agosto 2001 n.11140 [in Rep. Giur. It., 2001, voce <<Previdenza Sociale>>, n. 710] e 12 gennaio 2002, n. 330 [in Rep. Giur. It., 2002, voce <<Previdenza Sociale, n. 312. Per la motivazione di entrambe le decisioni in Informazione prev., 2003, 83, con nota di MANZI, La scadenza del termine di prescrizione nell’obbligazione contributiva previdenziale] e Cassazione 18 febbraio 1991, n. 1703 [in Rep. Giur. It., 1991, voce <<Previdenza Sociale>>, n. 288]).

Con riguardo alla rilevabilità d’ufficio dell’avvenuto decorso del termine prescrizionale si v. per la giurisprudenza di merito, da ultimo: Tribunale Biella 6 febbraio 2002 (in Informazione prev., 2003, 103, con nota di CAPURSO, Problemi di diritto intertemporale della abbreviazione dei termini di prescrizione dei contributi previdenziali).

 

([3]) Per la manualistica si v. da ultimo: CINELLI, Diritto della Previdenza Sociale, Torino, 2003, in specie 179 e, per una visione più analitica e in connessione con l’art. 2116 cod. civ.,: VIANELLO, Omissione contributiva e tutela del prestatore di lavoro, in Quad. Dir. Lav. Ind., 1992, II, 233, in specie 254 – 259; PERA, La responsabilità del datore di lavoro per omesso versamento di contributi previdenziali e l’art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, in Riv. Dir. Lav., 1962, I, 304, in specie prgg. 1 e 8; CAMPOPIANO, Le omissioni contributive, in La Previdenza Sociale, Roma, 1971, 158 (si tratta della ripubblicazione di un precedente articolo, Le pensioni dell’assicurazione obbligatoria e le recenti norme in materia di omissioni contributive inemendabili per prescrizione, in I problemi della sicurezza sociale, fascicolo gennaio-febbraio, 1963).

 

([4]) Sul contratto di assicurazione sulla vita e, specificamente, sulla sua funzione previdenziale nell’ipotesi di rendita, si v. da ultimo: VOLPE PUTZOLU e OTTAVIANI, Le polizze «pensionistiche» (un nuovo tipo di assicurazione sulla vita?), in Assicuraz., 2001, I, 311; DONATI e VOLPE PUTZOLU, Manuale di diritto delle assicurazioni, Milano, 2002.

 

([5]) La Cassazione evidenzia, nella decisione n. 14807 del 18 ottobre 2002 (in Rep. Giur. It., 2002, v. <<Previdenza Sociale>>, n. 432), che “…il rimedio di cui all’art. 13 della legge 1338/1962 vale a compensare il pregiudizio derivante dall’omissione contributiva non più emendabile (nella specie: a causa dell’intervenuta prescrizione), ma non realizza il recupero dell’anzianità contributiva, avendo solo la finalità economica di integrare la prestazione pensionistica maturata in misura inferiore proprio per effetto delle carenze contributive pregresse.”

 

([6])  Così Cassazione n. 11140 del 16 agosto 2001.

E’ da rilevare come la Corte, nella decisione n. 8089 del 15 giugno 2001, abbia ritenuto esperibile la rendita vitalizia da parte del titolare di impresa artigiana con riguardo alle omissioni contributive, per le quali non era ancora decorso il prescritto termine prescrizionale, poste in essere in un periodo durante il quale lo stesso risultava essere coadiutore familiare della medesima impresa.

 

([7]) In Rep. Giur. It., 1990, voce <<Previdenza Sociale>>  n. 442, e, per la motivazione, in Riv. Dir. Lav., 1990, II, 303, con nota redazionale di POSO.

 

([8]) Cassazione 2 marzo 2001, n. 3085 (in Rep. Giur. It., 2001, voce <<Previdenza Sociale>>, n. 387).

In una precedente decisione dello stesso anno la n. 1778 dell’8 febbraio 2001 (in Rep. Giur. It., 2001, v. <<Previdenza Sociale>>, n. 388, e, per la motivazione, in Orient. Giur. Lav., 2001, I, 418) la Corte ha statuito che “ Ai fini della costituzione della rendita prevista dall’art. 13 l. 12 agosto 1962 n. 1338 in ipotesi di omesso versamento dei contributi assicurativi e di avvenuta prescrizione dei medesimi, la regola secondo cui la durata del rapporto di lavoro può essere provata con ogni mezzo - introdotta dalla corte costituzionale con sentenza n. 568 del 1989 (che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato art. 13 nella parte in cui, salva la necessità della prova scritta dell’esistenza del rapporto di lavoro, non consente di provare con ogni mezzo la durata del rapporto e l’ammontare della retribuzione) - deve essere circoscritta al caso in cui un documento provi l’avvenuta costituzione di un rapporto a partire da una certa epoca (essendo consentito utilizzare tutti i mezzi di prova al fine di stabilirne la durata a partire da quella data) oppure provi soltanto che lo stesso rapporto era esistente al tempo di formazione del documento (essendo possibile in tal caso provare che era stato instaurato già in epoca precedente), ma non può essere estesa all’ipotesi in cui la data del documento è certa ed è certa altresì, secondo il contenuto dello stesso documento, l’epoca di costituzione del rapporto; in tale ipotesi, infatti, la prova orale, intesa a dimostrare che il rapporto lavorativo era esistente in epoca precedente alla data indicata nel documento, proverebbe contro l’atto scritto, annientandone in pratica l’effetto probatorio, in contrasto con l’esigenza di bilanciamento fra gli opposti interessi perseguita dal giudice delle leggi con la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 13 l. n. 1338 del 1962 in parte qua.”

Lo stesso principio di necessità della prova scritta, al limitato fine di provare l’esistenza del rapporto di lavoro, lo si ritrova riaffermato nelle successive decisioni:

-           n. 2188 del 14 febbraio 2002, ove si riconosce la natura di prova scritta idonea a dimostrare il rapporto di lavoro quale coadiutore dell’impresa artigiana paterna al documento attestante l’avvenuto versamento effettuato all’INAIL del premio relativo all’assicurazione contro gli infortuni su lavoro e le malattie professionali del coadiutore;

-           n. 2619 del 22 febbraio 2002 (in Rep. Giur. It., 2002, voce <<Previdenza Sociale>>, n. 170) ove si riconosce alla delibera della Commissione provinciale dell’artigianato la natura di prova scritta idonea a provare l’esistenza del rapporto di lavoro come coadiutore dell’impresa artigiana paterna;

-           n. 4779 del 28 marzo 2003 (in Banca Dati C.E.D. Cass., RV. 561588) ove si esclude che la certificazione con la quale il Sindaco attesti che il richiedente risulta aver lavorato come coadiuvante presso il negozio di generi alimentari della suocera possa avere natura ed efficacia di atto pubblico e, ai fini del giudizio, potesse ritenersi idonea prova scritta dell’esistenza del rapporto di lavoro;

-           n. 12552 del 27 agosto 2003 (in Banca Dati C.E.D. Cass., RV. 566311) ove, nel cassare la sentenza, si osserva che la prova scritta di data certa atta a provare l’esistenza del rapporto di lavoro, non deve necessariamente essere formata durante il rapporto di lavoro o immediatamente al termine di esso.

 

([9]) Da ultimo Cassazione 24 febbraio 1988, n. 1987 (in Rep. Giur. It., 1988, voce <<Previdenza Sociale>>, n. 502).

 

([10]) Così Cassazione 21 maggio 2002, n. 7459 (in Rep. Giur. It., 2002, voce <<Previdenza Sociale>>, n. 302 e, per la motivazione, in Dir. giustizia, 2002, fasc. 28, 32, con nota di ASSI, Principio di correttezza e lesione del credito del lavoratore assicurato).

In un lontano precedente della stessa Corte, il n. 9 del 9 gennaio 1971 (in Rep. Giur. It., 1971, voce <<Previdenza Sociale>>, n. 174 e, per la motivazione, in Riv. It. Prev. Soc., 1972, 90, con nota di ROSSI, L’attività amministrativa degli enti previdenziali ed il rapporto giuridico contributivo nella realizzazione della tutela previdenziale), con riguardo all’omesso recupero dei contributi da parte dell’ente previdenziale, si è escluso il sorgere di una responsabilità per danni in capo all’ente previdenziale che abbia omesso di recuperare i contributi dovuti dal datore di lavoro.

La massima così recita: “L’ente previdenziale, che non ha provveduto al recupero dei contributi non versati dal datore di lavoro non è civilmente responsabile verso il lavoratore che, per tale omissione, rimane privo del trattamento pensionistico (nella specie, l’I.n.p.s. aveva assicurato in una lettera al lavoratore che avrebbe provveduto ad insinuarsi nel fallimento successivamente chiuso con il pagamento di tutti i crediti privilegiati, ma l’insinuazione non era poi avvenuta).”

 

([11]) In Rep. Foro It., 1984, voce <<Previdenza Sociale>>, n. 979.

 

([12]) In Rep. Giur. It., 1987, voce <<Previdenza Sociale>>, n. 429 e, per la motivazione, in Informazione prev., 1988, 654.

 

([13]) In Rep. Giur. It., 1998, voce <<Previdenza Sociale>>, n. 317.

 

([14]) In Rep. Giur. it., 1999, voce <<Previdenza Sociale>> , n. 231 e, per la motivazione, in Mass. Giur. Lav., 2000, 400, con nota di CIOCCA, L’automaticità delle prestazioni previdenziali e le azioni del lavoratore: un ulteriore contributo della giurisprudenza.  

 

([15])  In Foro it., 2003, I, 1735.

 

([16]) In Banca Dati cit., rv. .

([17]) Non ancora massimata in Banca Dati cit.

([18]) La disposizione, fra l’altro, recepisce una prassi formalizzata, previo consenso del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, dall’ente previdenziale nella deliberazione del Consiglio di amministrazione del 27 ottobre 1961 (Circolare n. 6100 C. V. del 15 novembre 1961, in Atti Ufficiali, 1961, 917).

   In questa circolare si rileva, fra l’altro, che la soluzione prospettata consente:

-           di mettere il lavoratore nella identica condizione patrimoniale nella quale egli si sarebbe trovato, nei confronti dell’assicurazione invalidità, vecchiaia e superstiti ove i contributi fossero stati regolarmente e tempestivamente versati (918);

-           di attribuire la disciplina dell’assicurazione obbligatoria anche alle somme versate per porre rimedio all’omissione contributiva in questione con il risultato che pure queste ultime saranno considerate ad ogni effetto, presente e futuro, come derivante dall’assicurazione obbligatoria medesima (919).

  L’Onorevole Pezzini, nella relazione presentata al Senato (in PERA, op. cit., 306), affermava che la norma “…attua(va) un congegno di regolarizzazione contributiva, che consente di valorizzare, ai fini del trattamento pensionistico, quei periodi lavorativi per i quali si siano verificate omissioni contributive non sanabili per effetto di prescrizione.”  

([19]) A sua volta la disposizione introdotta dall’art. 2116 colmava un vuoto legislativo del precedente sistema codiciale.

   Antecedentemente a tale novum, la giurisprudenza aveva negato al lavoratore un’azione di responsabilità civile nei confronti del datore di lavoro che non aveva provveduto al pagamento della contribuzione previdenziale per l’assicurazione invalidità, vecchiaia e superstiti (Sulla posizione della giurisprudenza e sulle motivazioni a essa sottese si v.: CANNELLA, La responsabilità del datore di lavoro verso il lavoratore per inadempimento degli obblighi delle assicurazioni sociali, in Prev. Soc., 1956, 179).

   Con riguardo al profilo prescrizionale, da ultimo, Cass.26 agosto 2003, n. 12517 (in Banca Dati C.E.D. Cass., RV. 566281), la cui massima recita: “ Il diritto al risarcimento del danno da omessa o irregolare contribuzione previdenziale sorge nel momento in cui si verifica il duplice presupposto dell’inadempienza contributiva e della perdita totale o parziale della prestazione previdenziale, con la conseguenza che solo da tale momento decorre la prescrizione ordinaria decennale, di cui all’art. 2946 cod. civ. sia che si tratti di lavoratore subordinato sia che, come nel caso di specie, si tratti di lavoratore autonomo o parasubordinato. (In applicazione di tale principio di diritto la S. C. ha confermato la sentenza di merito, evidenziando il parallelismo tra la situazione del lavoratore dipendente, il cui datore di lavoro abbia omesso di ottemperare all’obbligo contributivo e il professionista – medico specialista convenzionato presso una U.S.L. rispetto al quale la committente U.S.L. aveva l’obbligo di versare i contributi all’ente previdenziale competente).”

 

([20]) Azione di risarcimento danni che rappresenta l’ultima spiaggia del lavoratore allorquando il datore di lavoro non provveda a versare quanto necessario per la costituzione della rendita vitalizia.

 

([21]) Il datore di lavoro, così operando, perviene ai seguenti risultati:

-           reintegra definitivamente la posizione contributiva del lavoratore senza che la stessa sia soggetta a revisione in conseguenza: a) di ulteriori attività lavorative svolte dal citato lavoratore presso altri datori di lavoro, b) di futuri provvedimenti legislativi modificativi del sistema previdenziale;

-           si libera da ogni obbligazione nei confronti del medesimo lavoratore.

  PERA (op. cit., 308 e 309) osservava che “Il congegno delineato nell’art. 13 della nuova legge consente, se e in quanto sia possibile ricorrervi nei singoli casi, di evitare quelle abnormi conseguenze che discendono inevitabilmente dalla applicazione in concreto del cpv. dell’art. 2116 c.c. Il singolo datore di lavoro, inadempiente agli obblighi contributivi può liberarsi da ogni responsabilità regolarizzando, per la parte che personalmente lo riguarda, la posizione assicurativa del lavoratore, con la costituzione presso l’I.N.P.S. di una rendita vitalizia riversibile esattamente corrispondente alla misura della omissione; in sostanza gli viene offerta una via assai facile per sanare le conseguenze della omissione, senza ulteriori e gravose implicazioni.”

 

([22]) E’ opportuno rammentare, ancora una volta, che le somme versate ai sensi dell’art. 13 l. cit. non sono contribuzione strictu sensu, con la conseguenza che la prescrizione di cui si parla è quella ordinaria e non quella peculiare dettata dalla legge n. 335 del 1995.

([23]) Ma quel che di primo acchito potrebbe apparire per il datore di lavoro un risparmio scaturente dall’eccezione di prescrizione della costituzione di rendita vitalizia, a ben vedere, potrebbe costituire la causa di maggiori e indeterminati costi in forza dell’applicazione della norma contenuta nell’art. 2116 cod. civ.

Sotto questo versante soccorrono le considerazioni, ancora attuali, fatte dalla dottrina (CAMPOPIANO, op. cit.) nel momento dell’introduzione nel nostro sistema dell’art. 13 l. cit., a sostegno dell’utilità economica non solo per il lavoratore ma anche per il datore di lavoro della rendita vitalizia.

L’Autore evidenziava che l’azione esercitata “…in base all’art. 2116 non sempre chiude definitivamente la questione (sorta sulla scorta dell’omissione contributiva)…” Egli descriveva una situazione nella quale il danno radicato sull’omissione contributiva non poteva essere determinato una volta per tutte ma, all’opposto, nasceva nuovamente ogniqualvolta per scelta legislativa si disponesse un beneficio.

Beneficio che non poteva essere ovviamente riconosciuto al lavoratore, che non aveva diritto al trattamento pensionistico a seguito dell’omissione contributiva posta in essere dal datore di lavoro.

  Il paventato rischio, di reiterata sottoposizione a plurime azioni di risarcimento danni da parte del lavoratore, viene meno allorquando il datore di lavoro provvede a versare le somme necessarie per la costituzione della riserva matematica di cui all’art. 13.

In questo caso, come osserva il citato Autore, “…una parte della riserva va a coprire, per numero e valore, i contributi base già omessi i quali quindi si considerano ora come effettivamente versati, si ha che gli effetti della inadempienza vengono – una volta versata la riserva matematica a norma dell’art. 13 – sanati alla radice sicché, d’ora in avanti, la omissione contributiva si ha come non avvenuta. Ciò implica che anche in caso di futura generale modificazione in aumento del regime delle pensioni, il datore di lavoro resta libero da ogni ulteriore obbligo nei confronti del lavoratore, mentre quest’ultimo acquista nei confronti dell’Istituto ogni futuro diritto, anche in rapporto ai contributi a suo tempo omesso e per i quali si è provveduto alla tardiva sistemazione”. (op. cit., 164).

 

([24]) Una volta versata la somma dovuta a titolo di riserva matematica, somma corrispondente alla quota di pensione radicata sui contributi prescritti, il conto individuale del lavoratore ritorna a essere integro e da ciò deriva che tutte le migliorie legislativamente riconosciute alle prestazioni pensionistiche saranno riconosciute anche alla pensione frutto dell’applicazione della costituzione della rendita vitalizia.

 

([25]) Si rilevi che la stessa libertà di presentazione non la si ritrova nel precedente decreto ministeriale del 27 gennaio 1964 di determinazione delle tariffe per il calcolo della riserva matematica ai sensi dell’art. 13 l. cit.