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Condominio ,rapporti di vicinato, distanze legali(*)

 

Roberto Triola



Esiste il problema di offrire un orientamento chiaro e convincente in ordine alla applicabilità o meno nell'ambito del condominio delle norme in tema di rapporti di vicinato.

Sulla premessa che indubbiamente il condominio, per il solo fatto che crea rapporti fra i più proprietari coesistenti nello stesso edificio, importa la sottrazione di queste proprietà a tutti i principi e i limiti che siano strutturalmente incompatibili con tale coesistenza, ma che al di fuori di questa necessaria conseguenza della struttura, che può dirsi fisica, dell'istituto non è affatto inconcepibile che siano osservati i limiti e le distanze che la legge detta per i fondi vicini, quando l'attività di un condomino, non più tipica dell'esercizio dei diritti nascenti dal condominio, sia essenzialmente eguale a quella di un proprietario di bene non in condominio, la giurisprudenza ha affermato il seguente principio di diritto: "Nei rapporti fra la proprietà separata per piani di un condominio non si può escludere l'osservanza delle norme di legge sulle distanze legali, che non siano incompatibili con la struttura dei diritti inerenti al condominio, qualora l'uso che uno dei condomini faccia della cosa comune esorbiti dalla normale destinazione di questa e, volgendola a profitto della sua proprietà esclusiva, violi i diritti dell'altro condomino che le disposizioni sulle limitazioni e distanze legali tendono appunto a garantire".

Forse su tale orientamento ha inciso la tesi, sostenuta in dottrina, secondo la quale non vi è ragione che i vicini debbano osservare determinate precauzioni quando li separa, ad es., un muro divisorio, unica cosa comune, e non debbano osservarle se hanno in comune anche il tetto o altre parti dell'edificio, in quanto il condominio non si costituisce certamente per accrescere i poteri dei singoli sui propri piani o per diminuire quei limiti che la legge pone altrimenti nei rapporti di vicinato, ma per utilizzare le stesse parti dell'edificio (scala, tetti, ecc.) a vantaggio di più appartamenti. Le norme in tema di distanze legali non dovranno essere osservate quando sono in contrasto con i principi fondamentali sui quali si regge il condominio, per cui sarebbe possibile aprire una finestra sul cortile anche senza rispettare le distanze dall'appartamento di un altro condomino, in quanto la funzione del cortile è quella di dare luce ad aria.

In tal modo compare per la prima volta la affermazione della necessità di un raccordo tra le norme che disciplinano l'utilizzazione delle parti comuni e le norme in tema di distanze legali. 

Non viene, però, chiarito: a) quali sono i principi ed i limiti che sono strutturalmente incompatibili con la coesistenza nell'edificio di più proprietà separate; b) quando l'attività del condomino non è più tipica dell'esercizio dei diritti nascenti dal condominio ed è essenzialmente uguale a quella del proprietario di un bene non in condominio; c)quando, per effetto dell'uso della cosa comune che esorbiti dalla normale destinazione di questa, il condomino volga la stessa a profitto della sua proprietà esclusiva, violando i diritti dell'altro condomino che le disposizioni sulle limitazioni e distanze legali tendono a garantire.

Non viene neppure chiarito se le distanze legali vanno rispettate con riferimento ad attività che non comportino la utilizzazione di parti comuni, in quanto si esauriscono nell'ambito dell'unità immobiliare di proprietà esclusiva. 

Una posizione leggermente differente è stata assunta da una decisione per la quale le norme di legge sulle distanze legali sono applicabili anche in materia di condominio ogni qualvolta uno dei condomini, volgendo l'uso delle parti comuni dell'edificio a profitto del piano di sua proprietà esclusiva, venga a determinare situazioni che pongono ugualmente, nei rapporti con gli altri condomini, l'esigenza della tutela voluta dalle suddette norme.

Il rispetto delle norme in tema di distanze legali non viene, infatti, ricollegato all'uso da parte di un condomino della cosa comune in modo da esorbitare dalla normale destinazione di questa. Quali siano, però, le situazioni che pongono ugualmente, nei rapporti con gli altri condomini, l'esigenza della tutela voluta dalle norme in questione non viene specificato.

Estremamente contraddittorio appare l'atteggiamento assunto dalla decisione la quale ha contemporaneamente affermato che, ove sussista in concreto la violazione delle norme in tema di distanze, norme le quali sono di carattere assoluto e prescindono da ogni indagine sulla effettiva esistenza di un pregiudizio connesso alla loro inosservanza, non vi è ragione per dubitare che le distanze legali, per quanto espressamente previste soltanto per le ipotesi di costruzione su fondi vicini, debbano essere rispettate anche nei rapporti tra proprietà separate per piani, giacché anche rispetto a tale ipotesi, la perfetta identità della ratio legis costituisce argomento decisivo al fine di una interpretazione estensiva delle norme relative, e che nello stabilire se le modificazioni o le aggiunte praticate da uno dei condomini sul muro perimetrale comune non siano andate oltre i limiti consentiti dall'art. 1102 c.c., ledendo il diritto degli altri condomini, va tenuto conto anche di quei particolari diritti che trovano la loro tutela nelle norme sulle distanze legali, pur dovendosi a questo fine avere riguardo alle peculiarità di ogni singola fattispecie in relazione alla natura stessa del diritto condominiale ed alla struttura dell'edificio in condominio. 

Ugualmente contraddittoria è l'affermazione che le distanze legali vanno osservate nei rapporti di proprietà per piani, avendo però sempre riguardo alla peculiarità delle discipline delle singole fattispecie, onde stabilire se in effetti le modificazioni od aggiunte praticate da uno dei condomini sulle cose comuni debbano importare un obbligo di distanza o rappresentino l'esercizio di un diritto della cosa stessa non oltre i limiti dell'art. 1102 c.c.
Se, infatti, si parte dalla premessa che le norme in tema di distanze legali (che prevedono ipotesi specifiche in relazione alle quali nessun potere di contemperamento degli opposti interessi è attribuito al giudice) sono, in linea di principio, applicabili anche tra le varie unità immobiliari nell'ambito del condominio, una attività in violazione di tali norme non può essere legittima ai sensi della norma di carattere generale di cui all'art. 1102 c.c. 

Lo stesso errore di impostazione (a parte la estrema genericità del principio affermato) è ravvisabile nelle numerose decisioni secondo le quali nei rapporti tra le proprietà individuali in un edificio in condominio si debbono osservare le regole dei rapporti di vicinato non incompatibili con il regime della comunione, con la struttura dei diritti inerenti al condominio e che invece tali diritti tendano a garantire, con i principi del condominio, in base ai quali ciascun condomino può servirsi delle parti comuni purché non ne alteri la naturale destinazione, non pregiudichi la stabilità, la sicurezza ed il decoro architettonico del fabbricato, non arrechi danno alle singole proprietà esclusive e non impedisca agli altri partecipanti di fare parimenti uso delle cose comuni.

Tenuto conto della specialità delle norme in tema di distanze legali rispetto alla disciplina di cui all'art. 1102 c.c., infatti, il rapporto dovrebbe essere invertito, nel senso che, in teoria, potrebbero considerarsi lecite quelle utilizzazioni della cosa comune che non siano in violazione delle norme in tema di distanze.

Una soluzione netta è stata offerta da una isolata decisione secondo la quale le norme sulle distanze legali sono applicabili in materia di condominio di edificio qualora uno dei condomini, utilizzando le parti comuni dell'edificio a vantaggio del piano di sua proprietà esclusiva, sia pure nei limiti consentiti dall'art. 1102 c.c., incorra nella violazione dei diritti di un altro condomino sull'immobile di sua proprietà esclusiva facente parte dell'edificio condominiale. A prescindere dalla correttezza della soluzione prospettata, viene in tal modo percepito che il problema non è costituito dalla ricerca di un contemperamento tra l'art. 1102 c.c. e la normativa in tema di distanze legali, in quanto si tratta di discipline che operano su piani diversi. 

Le stesse considerazioni valgono per la decisione secondo la quale l'esistenza di una regolamentazione speciale dei rapporti condominiali non esclude l'applicabilità, nei rapporti fra tali parti, delle norme sulle distanze legali, non essendo il singolo condomino abilitato, soltanto perché tale, a creare, mediante costruzioni eseguite sulle parti dell'edificio di sua proprietà esclusiva, intercapedini nocive o antigieniche.

Ugualmente non convincente è l'affermazione che le limitazioni all'applicazione delle norme sulle distanze negli edifici in regime condominiale, anche nei rapporti tra le proprietà individuali, non trovano giustificazione nel fatto che la normativa del condominio e della comunione costituisca un sistema chiuso ed escludente altri limiti per i diritti dei singoli, bensì hanno origine nella esistenza di una serie di servitù reciproche tra gli appartamenti componenti il condominio, le quali servitù sono costituite per destinazione del padre di famiglia nel caso del costruttore dell'edificio, che successivamente proceda alla sua vendita frazionata, ovvero per convenzione tra gli aventi diritto.

La eventuale costituzione per destinazione del padre di famiglia di una serie di servitù reciproche tra gli appartamenti componenti il condominio, infatti, giustificherebbe il permanere della situazione esistente al momento della nascita del condominio, ma non spiega la limitazione alla applicabilità delle norme in tema di distanze legali per le innovazioni. 

Si è anche sostenuto che, ai fini dell'applicabilità delle norme sulle distanze legali alle costruzioni eseguite sulle parti comuni di un edificio in condominio, occorre distinguere tra le funzioni primarie e fondamentali attribuite a tali parti in relazione al fine per cui il condominio è stato costituito e le eventuali utilizzazioni secondarie di cui le stesse parti sono suscettibili al di fuori di un rapporto di connessione inscindibile con la struttura e la funzionalità del condominio; infatti, nel mentre deve affermarsi la prevalenza del perseguimento delle funzioni primarie delle parti comuni rispetto all'osservanza delle norme sulle distanze legali, queste norme debbono, invece, essere applicate riguardo alle utilizzazioni secondarie delle menzionate parti, quali le costruzioni eseguite da un condomino sul muro comune per scopi estranei alla funzione tipica.

Non viene, però, chiarito quali sarebbero le funzioni primarie e fondamentali delle parti comuni e quale sarebbe il fondamento logico o normativo di una diversità di disciplina rispetto alle funzioni secondarie con riferimento alla applicabilità delle distanze legali.

Del tutto generiche (oltre che immotivate) sono le seguenti affermazioni:
a) le norme sulle distanze legali sono applicabili anche nei rapporti fra condomini, tenendo però sempre conto della peculiarità di ogni singola fattispecie in relazione alla struttura dell'edificio di cui si tratta ed alla natura del diritto condominiale; 
b) nell'ambito di un unico immobile condominiale le norme che regolano i rapporti di vicinato trovano applicazione solo in quanto compatibili con la struttura dell'edificio e con le caratteristiche dello stato dei luoghi; pertanto, qualora esse siano invocate in una controversia tra condomini, spetta al giudice del merito valutare se, nel singolo caso, dette norme debbano essere osservate o meno, in considerazione dell'esigenza di contemperare i diversi interessi di più proprietari conviventi un unico edificio, al fine dell'ordinato svolgimento di tale convivenza, propria dei rapporti condominiali;
c) nell'edificio condominiale le diverse unità immobiliari sono soggette anche alla disciplina dei rapporti di vicinato, pur con i limiti oggettivamente imposti dall'essenziale esigenza che ciascuna unità possa essere utilizzata secondo la sua natura, sicché ciascun condomino può opporsi ad ogni interferenza sul bene oggetto del suo diritto esclusivo, proveniente anche da altro condomino che, al di fuori di quei limiti o da essi eccedendo, operi sul proprio bene, ovvero su parte comune dell'edificio, con attività non apprezzabile in termini di relativo uso o godimento (in ipotesi oltre le facoltà consentite) secondo la sua natura in quanto risolventesi in lesione dell'altrui diritto sul bene individuo;
d) il principio secondo cui l'utilizzazione di parti comuni e anche di muri divisori dell'edificio condominiale per la realizzazione di impianti al servizio esclusivo dell'appartamento del singolo condomino esige il rispetto sia dell'art. 1102 c.c. sia delle norme del codice civile sulle distanze legali, per evitare la violazione dei diritti degli altri condomini sugli immobili di loro esclusiva proprietà, non è applicabile nell'ipotesi di installazione degli impianti che sono indispensabili per una effettiva abitabilità dell'appartamento secondo la evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e le moderne concezioni in tema di igiene;
e) le norme sulle distanze in materia di vedute, se ed in quanto compatibili con la disciplina della comunione, sono applicabili nei rapporti fra le singole proprietà esclusive di edificio condominiale quand'anche uno dei condomini utilizzi parti comuni dell'immobile nei limiti consentiti dall'art. 1102 c.c.

Sembrano, infine, senz'altro favorevoli alla applicabilità delle norme in tema di distanze legali le decisioni le quali hanno affermato che la disposizione dell'art. 1120 c.c., nella parte in cui vieta le innovazioni che possono recare pregiudizio al decoro architettonico del fabbricato o che rendono talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino, si limita a tutelare l'edificio in sé ed il modo di usare e di godere della cosa comune; consegue che ove l'opera compiuta da un condominio o dal condomino sulla cosa comune rechi danno o pregiudizio alla proprietà esclusiva di un singolo condomino, trattandosi di rapporti relativi a due immobili finitimi, trova applicazione la disciplina dei rapporti di vicinato.

In senso opposto si è affermato che le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti tra proprietà autonome e contigue sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di un edificio condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con l'applicazione delle norme particolari relative all'uso delle cose comuni, cioè nel caso in cui l'applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime e delle une e delle altre sia possibile un'applicazione complementare; nel caso di contrasto prevalgono le norme relative all'uso delle cose comuni, con la conseguenza della inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali, che, nel condominio di edifici e nei rapporti tra singolo condomino ed il condominio stesso sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime. 

Si distacca dall'orientamento teso a conciliare le disposizioni in tema di distanze legali con le peculiarità del condominio l'affermazione secondo la quale il principio dell'inoperatività, nel condominio, della normativa sulle distanze legali, se può valere con riferimento alle opere eseguite sulle parti comuni e sempre che si tratti di uso normale di queste ultime, non si estende invece ai rapporti fra i singoli condomini. 

I contrasti sussistono, poi, anche con riferimento alla applicabilità o meno delle singole distanze legali.

Per quanto riguarda le distanze in tema di vedute, talora si è sostenuto, partendo dalla premessa che nel condominio si applicano le norme che lo concernono allorché si tratta dell'uso delle cose comuni e del diritto dei condomini su di esse, mentre, quando si tratta di rapporti tra le diverse unità, costituite da proprietà diverse, trovano applicazione le norme sui rapporti di vicinato, ove la specifica disciplina della comunione sia con esse compatibile, che tale compatibilità esiste in ordine al regolamento delle distanze in materia di vedute, fermo rimanendo il diritto di ciascun condomino di aprire luci e vedute sulla cosa comune.

Secondo un altro orientamento nel condominio di edifici la veduta che il singolo condomino, utilizzando il muro comune, apra verso la contigua proprietà esclusiva di altro condomino rientrante nell'ambito dell'edificio condominiale è legittima, ancorché non rispetti le distanze prescritte dall'art. 905 c.c., ove si accerti che la predetta apertura costituisca facoltà rientrante nei diritti del singolo condomino sui beni comuni ed incompatibile con l'osservanza delle distanze legali.

In tema di distanze delle costruzioni dalle vedute si è affermato inizialmente che le norme sulle distanze legali non trovano applicazione in tema di uso della cosa comune, essendo la materia regolata dalle norme di cui agli artt. 1102, 1117, 1118, 1120, 1121 e 1122 c.c., che costituiscono un sistema completo al quale non possono aggiungersi, se non ne ricorrano i presupposti, altre diverse limitazioni valide per regolare i rapporti tra costruzioni e fondi finitimi.

Successivamente, invece, si è detto che le norme in questione, se ed in quanto compatibili con la disciplina della comunione, sono applicabili nei rapporti fra le singole proprietà esclusive di edificio condominiale quand'anche uno dei condomini utilizzi parti comuni dell'immobile nei limiti consentiti dall'art. 1102 c.c. 

Nello stesso ordine di idee si è affermato che le distanze in questione sono applicabili in quanto compatibili con la struttura dell'edificio e con le caratteristiche dello stato dei luoghi. Più radicale è l'affermazione secondo la quale l'art. 1102 c.c. non deroga al disposto dell'art. 907 c.c. 

Si è anche affermato che il condomino il quale realizzi un manufatto in appoggio o in aderenza al muro in cui si apre una veduta diretta o obliqua esercitata da un sovrastante balcone, e lo elevi sino alla soglia del balcone stesso, non è soggetto, rispetto a questo, alle distanze prescritte dall'art. 907, c. 3°, c.c., nel caso in cui il manufatto sia contenuto nello spazio volumetrico delimitato dalla proiezione verticale verso il basso della soglia predetta, in modo da non limitare la veduta in avanti e a piombo del proprietario del piano di sopra; infatti, tra le normali facoltà attribuite al titolare della veduta diretta od obliqua esercitata da un balcone è compresa quella di inspicere o prospicere in avanti e a piombo, ma non di sogguardare verso l'interno della sottostante proprietà coperta dalla soglia del balcone, non potendo trovare tutela la pretesa di esercitare la veduta con modalità abnormi e puramente intrusive, ossia sporgendosi oltre misura dalla ringhiera o dal parapetto. In tal modo, però, si dà per dimostrato che alle aperture esistenti nelle unità immobiliari di proprietà esclusiva corrispondono altrettante servitù di veduta. 

In un'altra prospettiva si è affermato che il fatto che un condomino, nel realizzare un'opera nel muro comune abbia rispettato le distanze legali di cui all'art. 906 c.c. non esclude la possibilità che l'opera stessa sia illegittima ex art. 1102 c.c., qualora riduca in modo apprezzabile la visuale di cui altri condomini godono dal muro comune.

Si è, infine, sostenuto che qualora il muro comune assolva anche la funzione di isolare e dividere la proprietà individuale di un condomino dalla proprietà individuale di un altro condomino, ricorrono gli estremi per l'applicabilità dell'art. 903, c. 2°, c.c., con la conseguenza che in tal caso l'apertura della luce resta subordinata sia alle condizioni ed alle limitazioni previste dalle norme in materia di condominio (con riguardo agli interessi riconosciuti a tutti i partecipanti alla comunione e alle regole stabilite circa l'uso delle cose comuni da parte dei singoli condomini) sia, alla stregua del c. 2° del citato art. 903 c.c., al consenso del condomino vicino, in considerazione dell'interesse del medesimo alla riservatezza della sua proprietà individuale.

Sempre in tema di vedute si è affermato che i poteri dell'assemblea condominiale concernono la disciplina dell'uso delle cose comuni, senza mai invadere la sfera delle proprietà individuali, per cui i condomini non possono essere autorizzati dall'assemblea ad una utilizzazione più ampia di parti comuni, che si risolva in una violazione delle norme sui rapporti di divinato, quale la realizzazione di una veranda su un terrazzo di proprietà esclusiva, senza il rispetto della distanza legale dalla veduta esercitata dal proprietario dell'appartamento sovrastante. Non viene spiegato, peraltro, quale rilevanza possa avere, nella specie, l'uso delle cose comuni.

Per quanto riguarda l'applicabilità dell'art. 889 c.c., inizialmente si è senz'altro ritenuto che la norma in questione trova applicazione nel caso di proprietà comprese in un unico edificio condominiale.

Sul presupposto che, rispetto alle singole unità immobiliari di proprietà individuale nell'ambito di un unico edificio condominiale, le norme che regolano i rapporti di vicinato, tra le quali è compresa quella dell'art. 889 c.c., trovano applicazione solo in quanto compatibili con la concreta struttura dell'edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei condomini, si è poi affermato che, qualora esse vengano invocate in un giudizio tra condomini, il giudice del merito deve accertare se la rigorosa osservanza di dette norme sia o non nel singolo caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell'ordinato svolgersi della convivenza che è propria dei rapporti condominiali.

Si è peraltro escluso che le disposizioni sulle distanze dettate dall'art. 889 c.c. possano trovare applicazione, risultando incompatibili con la disciplina condominiale, nel caso di installazioni di tubi nei solai che separano i piani di un edificio condominiale, le quali si configurano come uso della cosa comune regolato dalle norme dell'art. 1102 c.c., e sono perciò consentite ove non pregiudichino l'uguale godimento altrui della cosa comune e non concretino una particolare situazione di danno o di pericolo.

Incertezze sono riscontrabili anche con riferimento alla installazione di canne fumarie.

Con riferimento all'appoggio, in prossimità della finestra di un condomino, della canna fumaria della centrale termica condominiale, fuori luogo si è affermato che le norme sulle distanze legali (nella specie l'art. 907 c.c.), le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti fra proprietà autonome e contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di un edificio condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con l'applicazione delle norme particolari relative all'uso delle cose comuni (art. 1102 c.c.), cioè nel caso in cui l'applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime e delle une e delle altre sia possibile una applicazione complementare e che nel caso di contrasto, prevalgono le norme relative all'uso delle cose comuni, con la conseguenza della inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali che, nel condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino ed il condominio stesso, sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime. A prescindere, però, dal fatto che è difficile comprendere il senso del riferimento all'art. 1102 c.c. nell'ipotesi considerata, l'art. 907 c.c. presuppone due fondi latistanti, che nella specie è difficile individuare, a meno che non si voglia ritenere che la canna fumaria costituisca di per sé una costruzione ai sensi della norma in questione, il che è difficile ammettere.

Le stesse considerazioni sono state svolte per ritenere che l'appoggio lungo il muro perimetrale di una canna fumaria destinata a servire i locali di un condomino ad una distanza da una veduta di un altro condomino non inferiore a quella di cui all'art. 907 c.c. costituiva violazione dell'art. 1102 c.c., in quanto riduceva in modo apprezzabile la visuale.

In altra occasione, peraltro, si era affermato che qualora il proprietario esclusivo del terrazzo a piano attico di edificio condominiale agisca, in via possessoria, per denunciare che latro condomino, collocando una canna fumaria in aderenza al muro perimetrale e prolungandola oltre la ringhiera di detto terrazzo, ha arrecato pregiudizio al suo godimento di veduta, l'indagine sulla legittimità del fatto denunciato, nei limiti in cui sia consentita nel giudizio possessorio, va condotta con riferimento all'art. 907 c.c. (distanza delle costruzioni dalle vedute), non all'art. 1102 c.c. (uso della cosa comune), tenuto conto che la suddetta domanda è rivolta a tutelare il possesso del singolo appartamento non il compossesso di un bene condominiale. 

Del tutto incomprensibile è la decisione secondo la quale, in applicazione dell'art. 906 c.c. (che disciplina la distanza per l'apertura di vedute laterali od oblique), in linea di principio la distanza legale per la collocazione di una canna fumaria sul muro perimetrale comune, ad opera di uno dei condomini non può essere inferiore a 75 cm. dai più vicini sporti dei balconi di proprietà esclusiva degli altri condomini.

È stata, poi, negata l'applicabilità dell'art. 889 c.c. in ordine all'installazione di una canna fumaria lungo il muro perimetrale dell'edificio condominiale al fine della realizzazione di un impianto di riscaldamento, in base al principio secondo il quale negli edifici condominiali, le norme sulle distanze legali - che non possono trovare applicazione nei rapporti fra proprietà singole e beni comuni (a tutti i condomini o ad alcuni soltanto di essi) - non sono applicabili neppure nei rapporti fra proprietà singole allorché il rispetto di esse non sia compatibile con la concreta struttura dell'edificio e il condominio utilizzi una parte comune di questo a favore della sua unità immobiliare, ai sensi dell'art. 1102 c.c., per realizzare impianti indispensabili per un'effettiva abitabilità del suo appartamento secondo le esigenze generali dei cittadini e le moderne concezioni in tema di igiene, precisandosi peraltro che vanno sempre rispettate sia la destinazione del bene comune sia il diritto di pari utilizzazione (anche potenziale) degli altri condomini e non vanno pregiudicati la stabilità, la sicurezza e il decoro architettonico dell'edificio. 

In base a quanto esposto dovrebbe risultare evidente il fallimento dei tentativi di conciliare l'art. 1102 c.c. con le norme in tema di distanze legali.

Si tratta, infatti, di discipline le quali operano su piani diversi, nel senso che l'art. 1102 c.c. regola i rapporti tra il condomino che utilizza la cosa comune e gli altri condomini, mentre le disposizioni in tema di distanze legali - ove si dovesse concludere per la loro applicabilità nell'ambito del condominio - regolano i rapporti tra i soli condomini proprietari di unità immobiliari adiacenti.

Ne consegue che ciò che può essere lecito ex art. 1102 c.c. potrebbe costituire violazione delle norme in tema di distanze legali e viceversa la realizzazione di opere in regola con le norme in tema di distanze legali potrebbe non essere lecita ai sensi dell'art. 1102 c.c.

La soluzione del problema va impostata, pertanto, su altre basi.

Se si parte dalla premessa che le norme in tema di distanze legali si applicano ogni volta che due immobili vengono a confinare tra loro, anche se non insistono su fondi differenti, e quindi anche se fanno parte di un edificio in condominio, tali norme si devono ritenere applicabili anche nell'ambito del condominio. Se, invece, si ritiene che le norme in tema di distanze legali non sono applicabili nei rapporti tra condomini, in conseguenza della struttura dell'edificio comune, un problema di conflitto tra tali norme e l'art. 1102 c.c. non si pone nemmeno, trovando applicazione esclusivamente tale ultima disposizione.

La seconda delle soluzioni esposte sembra da preferire.

In primo luogo occorre tenere presente le norme in tema di distanze legali le quali, in teoria, potrebbero venire in considerazione nei rapporti tra proprietà esclusive o tra queste ultime e le parti comuni in un edificio condominiale sembrano presupporre l'esistenza di due "fondi" (intesi come appezzamenti di terreno o edifici) distinti. È significativa in proposito la intitolazione della Sezione VI del Capo II del Libro III: "Delle distanze nelle costruzioni piantagioni e scavi, e dei muri, fossi e siepi interposti tra i fondi"). 

Ma ciò che più conta è che, ove si dovessero ritenere applicabili, in linea di principio, al condominio le distanze legali, la (teorica) iniziale violazione quantomeno di alcune delle relative norme sarebbe connaturata al condominio stesso.

Non possono infatti esistere unità immobiliari in proprietà esclusiva dotate di normali servizi igienici che rispettino con riferimento a tutte le unità immobiliari adiacenti ed alle parti comuni la distanza di cui all'art. 889, c. 2°, c.c. in tema di tubazioni.

La conseguenza sarebbe che i vari condomini potrebbero pretendere l'eliminazione di tali tubazioni, non potendosi invocare (a differenza di quanto potrebbe avvenire con riferimento alla distanza delle vedute) la costituzione di servitù per destinazione del padre di famiglia, in difetto del requisito della apparenza delle opere (segue)

(*) Queste pagine sono parte di capitolo della monografia Il condominio,Torino 2003 pp. 537 che è volume del Trattato di diritto privato a cura di Mario Bessone in corso di pubblicazione presso la Casa editrice Giappichelli, i contenuti dell'opera essendo puntualmente indicati dall'indice della monografia 




CAPITOLO I
IL CONDOMINIO IN GENERALE

1. La nozione di condominio
2. La costituzione del condominio
3. La natura giuridica del condominio
4. Il c.d. supercondominio



CAPITOLO II
LE PARTI COMUNI 


1. Le parti comuni in generale
2. La "presunzione" di comunione
3. L'onere della prova della natura comune
4. Il titolo contrario
5. Proprietà esclusiva e destinazione all'uso comune
6. Parti destinate al servizio di più edifici
7. Il condominio parziale
8. La indivisibilità delle parti comuni
9. La cessione dei diritti sulle parti comuni
10. La rinuncia alla comunione
11. Le singole parti comuni: a) i muri maestri e perimetrali
12. (Segue) b) Gli sporti chiusi, le finestre ed i balconi
13. (Segue) c) Le fondazioni e il suolo
14. (Segue) d) Il sottosuolo
15. (Segue) e) Gli spazi ed i manufatti esterni al perimetro dell'edificio condominiale
16. (Segue) f) I locali facenti parte dell'edificio condominiale non compresi nella elencazione delle parti comuni
17. (Segue) g) I cortili ed i giardini
18. (Segue) h) I lastrici solari e le terrazze di copertura
19. (Segue) i) Il tetto ed il sottotetto
20. (Segue) l) Le terrazze a livello
21. (Segue) m) Le scale ed i pianerottoli
22. (Segue) n) I portoni, i vestiboli, gli anditi ed i portici
23. (Segue) o) I locali destinati a servizi comuni
24. (Segue) p) Le opere che servono al godimento comune
25. Gli spazi di parcheggio: a) la disciplina
26. (Segue) b) Nullità della riserva della proprietà e diritto alla integrazione del prezzo
27. (Segue) c) Riserva della proprietà e risarcimento del danno
28. Mancato collegamento all'impianto di riscaldamento e comproprietà dello stesso
29. Impianti installati in locali di proprietà esclusiva
30. I solai intermedi ed i soffitti
31. Il godimento delle parti comuni in generale
32. Il regolamento e la disciplina dell'uso delle parti comuni
33. Regolamento contrattuale e limitazioni all'uso delle parti comuni
34. Il limite quantitativo all'uso delle parti comuni in generale
35. L'uso più intenso o diverso rispetto a quello normale
36. La rilevanza del c.d. preuso
37. L'occupazione di parti comuni con opere permanenti
38. Uso frazionato, turnario, indiretto
39. L'uso esclusivo
40. L'utilizzazione di parti comuni a vantaggio di un bene di proprietà esclusiva estraneo al condominio
41. La tutela possessoria del godimento delle parti comuni
42. L'usucapione di parti comuni
43. Il godimento delle singole parti comuni: a) il sottosuolo
44. (Segue) b) Il muro perimetrale
45. (Segue) c) Il tetto ed i lastrici solari
46. (Segue) d) L'immissione di sporti sul cortile comune
47. (Segue) e) Le scale, i pianerottoli, gli anditi
48. (Segue) f) Il solaio intermedio
49. I servizi comuni
50. Le controversie relative al godimento delle parti comuni



CAPITOLO III
IL REGOLAMENTO E LE TABELLE MILLESIMALI


1. La natura del regolamento
2. Regolamento obbligatorio e regolamento facoltativo
3. La formazione del regolamento obbligatorio
4. La formazione del regolamento facoltativo
5. Mancata approvazione del regolamento obbligatorio e ammissibilità del ricorso all'autorità giudiziaria
6. L'impugnazione del regolamento
7. La forma del regolamento
8. L'efficacia del regolamento
9. L'interpretazione del regolamento
10. Il contenuto del regolamento: a) la disciplina dell'uso delle parti comuni
11. (Segue) b) La tutela del decoro dell'edificio
12. (Segue) c) Le norme relative all'amministrazione
13. La sanzione pecuniaria per le infrazioni al regolamento
14. Il c.d. regolamento contrattuale e la sua revisione
15. I limiti al potere regolamentare
16. Le tabelle millesimali: a) i rapporti con la gestione del condominio
17. (Segue) b) I criteri per la loro formazione
18. (Segue) c) I poteri dell'assemblea
19. (Segue) d) L'impugnazione della delibera di approvazione
20. (Segue) e) La revisione
21. (Segue) f) Il condominio parziale
22. (Segue) g) Lo scioglimento del condominio


CAPITOLO IV
LE INNOVAZIONI


1. La nozione
2. Innovazioni e modificazioni delle parti comuni ad opera del singolo condomino
3. La modificazione o la soppressione di un servizio
4. L'adeguamento di impianti alla normativa per essi dettata
5. Le innovazioni vietate
6. Le innovazioni gravose o voluttuarie
7. Innovazioni e condominio con due soli partecipanti
8. Il calcolo della maggioranza per la deliberazione di innovazione non interessante tutti i condo mini
9. Il dissenso
10. La inderogabilità della disciplina in tema di innovazioni
11. Le innovazioni soggette ad una speciale disciplina: a) il superamento e la eliminazione delle barriere architettoniche
12. (Segue) b) La realizzazione di parcheggi
13. (Segue) c) Gli interventi di recupero
14. (Segue) d) Il risparmio energetico


CAPITOLO V
LA SOPRAELEVAZIONE 


1. La natura del diritto
2. I limiti all'esercizio
3. La nozione di sopraelevazione
4. L'indennità: a) il fondamento
5. (Segue) b) Il calcolo
6. (Segue) c) La ripartizione
7. (Segue) d) La natura della obbligazione
8. (Segue) e) La nascita del diritto
9. (Segue) f) L'esonero
10. La ricostruzione del lastrico solare e degli altri manufatti di uso comune
11. Gli effetti della sopraelevazione



CAPITOLO VI
IL GODIMENTO DELLE PARTI IN PROPRIETÀ ESCLUSIVA


1. Opere eseguite nelle proprietà esclusive e danni alle parti comuni
2. Le immissioni
3. Limitazioni regolamentari al godimento delle parti in proprietà esclusiva
4. Servitù tra parti comuni e proprietà esclusive
5. Condominio e distanze legali



CAPITOLO VII
L'ASSEMBLEA


1. L'assemblea ed i suoi poteri
2. La convocazione da parte dell'amministratore
3. La convocazione su richiesta dei condomini all'amministratore
4. Mancanza dell'amministratore e convocazione da parte dei condomini
5. La convocazione da parte di soggetto non legittimato
6. L'avviso di convocazione: a) la forma
7. (Segue) b) Il contenuto
8. (Segue) c) Il termine
9. Il mancato invio dell'avviso a tutti i condomini
10. Convocazione con unico avviso di più assemblee
11. Unità immobiliare in comproprietà ed invio dell'avviso di convocazione
12. Morte di un condomino e invio dell'avviso di convocazione
13. La legittimazione alla partecipazione all'assemblea: a) i con domini
14. (Segue) b) L'usufruttuario
15. (Segue) c) Il conduttore
16. La partecipazione all'assemblea di soggetto non legittimato
17. La rappresentanza in assemblea
18. Comproprietà e partecipazione all'assemblea
19. La rappresentanza dei condomini da parte dell'amministratore
20. I rapporti tra assemblea di prima e di seconda convocazione
21. I quorum legali per la costituzione e per le deliberazioni
22. Il condominio di due soli partecipanti
23. Inderogabilità dei quorum legali di costituzione e di deli berazione
24. Le operazioni preliminari
25. I poteri del presidente
26. L'aggiornamento dell'assemblea
27. L'allontanamento dall'assemblea di uno o più intervenuti e l'intervento di un condomino inizialmente assente
28. Il diritto del condomino di partecipare alla discussione
29. La illegittima esclusione di un condomino dal voto
30. Il conflitto di interessi
31. Il voto ed i suoi vizi
32. L'efficacia delle deliberazioni nei confronti degli aventi causa dagli originari condomini
33. Annullamento e revoca delle deliberazioni
34. Assemblea e negozio
35. Il verbale: a) la mancata valida costituzione della assemblea di prima convocazione e redazione del verbale
36. (Segue) b) La redazione
37. (Segue) c) La funzione
38. (Segue) d) Il contenuto
39. (Segue) e) Il valore probatorio
40. (Segue) f) La trascrizione
41. L'impugnazione delle deliberazioni assembleari: a) deliberazioni nulle e deliberazioni annullabili
42. (Segue) b) L'eccesso di potere
43. (Segue) c) Le delibere meramente programmatiche o esecutive
44. (Segue) d) I limiti di validità della clausola compromissoria
45. (Segue) e) La competenza per valore
46. (Segue) f) La legittimazione attiva
47. (Segue) g) La forma dell'atto introduttivo
48. (Segue) h) L'onere della prova
49. (Segue) i) La sospensione della delibera impugnata
50. (Segue) l) La sostituzione della delibera invalida con altra presa in conformità alla legge
51. (Segue) m) I poteri del giudice e gli effetti dell'annullamento
52. (Segue) n) Le delibere nulle



CAPITOLO VIII
L'AMMINISTRATORE


1. L'obbligo della nomina …
2. … e la competenza esclusiva dell'assemblea
3. I requisiti per la nomina
4. La nomina di una società
5. La natura del rapporto tra amministratore e condominio
6. La maggioranza prevista per la nomina e la sua inderogabilità
7. La nomina dell'amministratore da parte dell'autorità giudiziaria: a) i presupposti
8. (Segue) b) Il procedimento
9. (Segue) c) Il compenso
10. La durata dell'incarico
11. Dimissioni, scadenza dell'incarico, conferma tacita, prorogatio
12. La conferma espressa
13. La revoca senza giusta causa
14. La revoca da parte dell'autorità giudiziaria: a) i presupposti
15. (Segue) b) Il procedimento
16. Le attribuzioni dell'amministratore: a) l'esecuzione delle deliberazioni dell'assemblea
17. (Segue) b) La disciplina dell'uso delle cose e dei servizi comuni
18. (Segue) c) La riscossione dei contributi
19. (Segue) d) La erogazione delle spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria
20. Inerzia dell'amministratore ed iniziative dei singoli condomini
21. Il ricorso contro i provvedimenti dell'amministratore
22. Il rendiconto
23. Il rimborso delle spese anticipate dall'amministratore
24. La responsabilità civile
25. La responsabilità penale


CAPITOLO IX
LE SPESE


1. I criteri per la ripartizione delle spese
2. La diversa convenzione
3. Mancata utilizzazione di un servizio e obbligo di contribuire nelle spese di manutenzione
4. La rinuncia al servizio di riscaldamento
5. Parti destinate all'uso comune in proprietà esclusiva e onere delle spese
6. La natura dell'obbligo di pagare le spese condominiali
7. I poteri dell'assemblea
8. La solidarietà tra i condomini
9. La posizione dell'acquirente
10. Il condomino apparente
11. La nascita e la prescrizione dell'obbligo
12. L'anticipazione da parte dei condomini
13. La ripartizione delle spese relative: a) al servizio di riscaldamento
14. (Segue) b) Al servizio di portierato
15. (Segue) c) Alla facciata
16. (Segue) d) Alla manutenzione e riparazione delle scale
17. (Segue) e) Alla pulizia delle scale
18. (Segue) f) Alla illuminazione delle scale
19. (Segue) g) Alla manutenzione e riparazione dell'ascensore
20. (Segue) h) Ai solai intermedi
21. (Segue) i) Al lastrico solare comune
22. (Segue) l) Al lastrico solare di uso o proprietà esclusiva ed alle terrazze a livello
23. (Segue) m) Al cortile con sottostanti garages
24. Morosità nel pagamento dei contributi e sospensione dal godimento dei servizi condominiali
25. La riscossione dei contributi condominiali: a) il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo
26. (Segue) b) il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo e i rapporti con la impugnazione della delibera di approvazione della spesa
27. Mancata prestazione di un servizio e tutela del condomino


CAPITOLO X
CONDOMINIO E LOCAZIONE


1. Il conduttore e il godimento delle parti comuni
2. L'utilizzazione non consentita dell'immobile locato
3. Il rimborso al locatore delle spese condominiali
4. Danni subiti dal conduttore e responsabilità del locatore


CAPITOLO XI
CONDOMINIO E PROCESSO 


1. Controversie condominiali e competenza
2. Mancanza dell'amministratore e nomina di un curatore speciale
3. La prova della qualità di amministratore
4. Gli eventi attinenti alla persona dell'amministratore e la loro influenza sul processo
5. Impugnazione della delibera di nomina dell'amministratore e rappresentanza del condominio
6. Il conferimento della rappresentanza a persona diversa dall'amministratore
7. Regolamento di condominio e limitazioni al potere di rappresentanza del l'amministratore
8. L'ampliamento dei poteri di iniziativa processuale dell'amministratore
9. La notifica della citazione all'amministratore
10. Il conflitto di interessi tra amministratore e condominio
11. La posizione dell'amministratore rispetto alla confessione ed al giuramento
12. La inammissibilità della testimonianza dei condomini
13. La clausola compromissoria
14. Controversie tra condominio e condomini e regime delle spese giudiziali
15. Il rimborso delle spese processuali sopportate dall'amministratore
16. Il dissenso del condomino rispetto alle liti condominiali
17. La legittimazione attiva dell'amministratore: a) poteri di iniziativa processuale e rapporti con l'assemblea
18. (Segue) b) La tutela delle parti comuni dell'edificio in generale
19. (Segue) c) Le azioni possessorie e quasi possessorie
20. (Segue) d) Le azioni dirette al rispetto delle limitazioni al godimento della proprietà esclusiva
21. (Segue) e) L'azione ex art. 1669 c.c.
22. (Segue) f) Le azioni petitorie
23. (Segue) g) Le azioni contrattuali derivanti dagli atti di acquisto delle singole unità immobiliari
24. La legittimazione passiva dell'amministratore: a) i rapporti con l'assemblea
25. (Segue) b) Le azioni contrattuali
26. (Segue) c) Le azioni relative alle parti comuni
27. (Segue) d) La chiamata in causa di un terzo
28. La posizione dei condomini: a) i poteri di iniziativa processuale
29. (Segue) b) L'intervento in un giudizio instaurato da o contro l'amministratore
30. (Segue) c) Difetto di legittimazione dell'amministratore e intervento dei condomini
31. (Segue) d) Giudizio promosso da singoli condomini o nei loro confronti e impugnazione dell'amministratore
32. (Segue) e) L'impugnazione da parte di singoli condomini delle sentenze emesse nei confronti dell'amministratore


CAPITOLO XII
LO SCIOGLIMENTO DEL CONDOMINIO


1. I presupposti
2. La legittimazione attiva
3. La legittimazione passiva
4. La disciplina applicabile alle parti rimaste in comune


CAPITOLO XIII
IL PERIMENTO DELL'EDIFICIO


1. Il perimento totale: a) la nozione
2. (Segue) b) Gli effetti
3. (Segue) c) La ricostruzione
4. Il perimento parziale


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