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Chi inquina paghi anche i danni esistenziali e i danni psichici!

 

 

Carmen Pernicola


 


NLa Legge 349/89 (Istituzione del ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale) ha introdotto nell’ordinamento italiano la nozione di danno ambientale e ha inquadrato la responsabilità del danno ambientale nell’ambito della tutela dei beni costituzionalmente garantiti. L’art. 18 della legge sancisce che “Qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l’autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato”.


La legge, inoltre, attribuisce la competenza del giudizio di danno ambientale al giudice ordinario, anche quando l’autore del danno è un dipendente pubblico e stabilisce che spetta allo Stato o agli altri enti territoriali cui fanno capo i beni danneggiati promuovere azioni legali civili o costituirsi parte civile in procedimenti penali. Le Associazioni ambientali possono, secondo un definito procedimento, denunciare eventi lesivi del bene ambiente e intervenire nei giudizi per danno ambientale.


La disciplina della responsabilità civile in materia ambientale è uno degli strumenti utilizzati per la promozione dello sviluppo sostenibile e l’attuazione delle politiche ambientali, in quanto attraverso la riparazione economica del danno ambientale da parte dell’autore responsabile, può avere buoni effetti nella prevenzione, favorendo gli investimenti in misure di prevenzione e di contenimento delle emissioni inquinanti, da parte di coloro che gestiscono o esercitano attività che presentano un rischio ambientale.


Tale disciplina prevede, in Italia, tre forme di risarcimento del danno ambientale:
risarcimento in forma specifica (ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile),
risarcimento per equivalente (precisa quantificazione del danno in termini monetari),
liquidazione in via equitativa, laddove “ non sia possibile una precisa quantificazione del danno”.


Il risarcimento in via equitativa deve essere effettuato dal giudice, laddove non sia chiaramente quantificabile il danno economico all’ambiente, sulla base di tre criteri concorrenti: gravità della colpa individuale, costo necessario per il ripristino dello stato dei luoghi, profitto conseguito dal trasgressore in conseguenza della sua azione lesiva. In definitiva, quindi, il giudice dovrà procedere alla quantificazione soltanto se non sia possibile il ripristino dello stato dei luoghi e sempre che non sia possibile un'esatta quantificazione del danno.


Perché sia possibile applicare il principio della responsabilità civile in caso di danno ambientale è necessario che:
il danno ambientale sia stato causato da un evento colposo o doloso verificatosi in seguito alla violazione di una disposizione legislativa o di provvedimenti adottati in base a una legge,
siano identificati gli autori del danno cui è imputabile la responsabilità civile,
il danno ambientale sia determinato e quantificato in termini di alterazione, deterioramento, o distruzione totale o parziale dell’ambiente,
sia dimostrata l’esistenza di un chiaro nesso di causa-effetto tra evento e danno,
lo Stato o un Ente territoriale compente promuova azione legale di risarcimento a beneficio dello Stato.


Ma la valutazione economica dei danni prodotti sui beni ambientali da effetti di inquinamento è molto ardua. Ancor più difficile è la valutazione economica dei danni prodotti sulle persone da tali effetti inquinanti.


Come si sa l’inquinamento deriva da immissioni di materiali di natura chimica e fisica nell’ambiente superiori alle capacità di assimilazione degli ecosistemi o incompatibili con l’ambiente naturale.


Gli effetti sull’ambiente di un evento inquinante possono essere esaminati sotto profili diversi, tra loro complementari:
1. profilo scientifico, relativo all’alterazione dei sistemi fisici, biologici, vitali, sociali;
2. profilo antropocentrico, relativo al valore economico dei beni ambientali che interessano l’ homo economicus;
3. profilo politico e sociale, relativo alle modificazioni del sistema sociale e tiene conto anche dei bisogni collettivi.


Numerosi e spesso difficili da cogliere sono gli effetti dei danni all’ambiente. I beni ambientali, infatti, sono beni di natura pubblica, la cui fruizione avviene in modo libero e gratuito e i cui benefici spesso non hanno un corrispondete monetario espresso dal mercato (prezzo), che ne consenta la misurazione del valore in termini economici.


Si pensi ai benefici che possono derivare da un fiume, da un parco, da un centro storico. Tali benefici non solo sono difficilmente quantificabili in termini monetari, ma spesso sono apprezzati per motivi diversi dal valore della fruizione diretta, che riguardano, ad esempio aspetti della qualità della vita o la trasmissione intergenerazionale, e che non possono essere riferiti al mercato come istituzione che ne regola il valore.


Negli ultimi decenni la questione della valutazione economica dei beni ambientali ha subito una importante rielaborazione teorica, per effetto dello sviluppo dell’economia ambientale e dell’accrescersi del dibattito sulla scarsità delle risorse naturali.


In generale, il problema relativo alla possibilità di quantificare il valore di un bene ambientale in termini economici è ritenuto un problema specificamente antropocentrico. Si ritiene, infatti, che attribuire un valore monetario a una risorsa ambientale non è un problema di conoscenza scientifica, ma riguarda nello specifico la relazione tra il genere umano e la risorsa ambientale presa in considerazione e l’utilità derivata all’uomo da questa relazione.


Quando nel tentativo di quantificare il valore economico di una risorsa ambientale si tiene conto di tutte le possibili forme di interazione tra l’uomo e il bene ambientale si può parlare di Valore Economico Totale (VET).


Sono stati individuati alcune componenti del Valore Economico Totale di una risorsa ambientale.


Tra queste componenti è possibile indicare:
a) Il valore d’uso, che è sicuramente il più importante motivo di apprezzamento economico delle risorse ambientali, legato all’utilità percepita dai consumatori con la fruizione. Il valore d’uso di un parco, di un’opera d’arte o di un fiume si forma infatti durante una visita, oppure durante l’esercizio di un hobby quale la fotografia, la pesca, il nuoto, il canottaggio, ecc.


Alcuni Autori distinguono tra valore d’uso diretto, che prevede la fruizione diretta della risorsa naturale: ad es. per pescatori, canoisti, gommonauti nel caso di un torrente, e valore d’uso indiretto, ad esempio nel caso di turisti che beneficiano degli effetti paesaggistici dello stesso torrente nel corso di un’escursione.


b) il valore di opzione, legato al desiderio di assicurarsi la disponibilità del bene per poterne fruire in futuro. Il valore di opzione assume rilevanza quando vi sono situazioni di incertezza sulla disponibilità futura della risorsa ambientale; riguarda, dunque, beni irriproducibili o beni la cui offerta non è in grado di adeguarsi alle variazioni della domanda, come i parchi e le opere d’arte.


Considerare, pertanto, i soli benefici derivanti dall’uso di una data risorsa può comportare, in taluni casi, una sottostima del suo valore economico complessivo. È il caso di un’area naturale o di un bene storico-culturale se si fa esclusivo riferimento all’utilità percepita dai frequentatori.


In tal modo, infatti, verrebbero trascurati i benefici di coloro che, pur non avendo ancora usufruito del bene, potrebbero farlo in futuro, qualora questo venisse conservato.


c) Il valore di lascito, che ha come preciso riferimento la possibilità di usufruire di un determinato bene da parte delle generazioni future. Questo si identifica con l’utilità derivante dalla consapevolezza che, grazie al proprio interessamento, anche le generazioni future potranno godere di determinate risorse ambientali.


d) Il valore di esistenza o intrinseco, legato alla possibilità di preservare il bene da una possibile distruzione a prescindere da qualunque considerazione legata all’uso attuale o futuro di tale risorsa. Il valore di esistenza si riferisce, infatti, all’utilità percepita dai soggetti per il solo fatto che le risorse continuano ad esistere, indipendentemente dalla possibilità di trarne un beneficio dall’uso. Tale valore, che viene misurato dalla disponibilità a pagare per l’esistenza o la salvaguardia di determinati beni, è quindi indipendente da qualsiasi uso presente o futuro: è, quindi, riconducibile a posizioni di tipo etico, morale o ideologico. Un’ulteriore motivazione è da ricercarsi nel sentimento di ‘compassione’ verso persone o animali per le condizioni ambientali in cui vivono; ne sono un esempio i diversi movimenti per i diritti degli animali.


E’ quindi evidente che un danno ambientale può essere la risultante di diverse componenti, tra le quali non può essere trascurata la componente “politica”, rappresentata dagli effetti economici del danno apprezzati in modo generalizzato dalla collettività nel momento in cui il danno emerge. E in tale direzione sembra, tra l’altro, orientata la giurisprudenza dei diversi Stati dell’Unione Europea.


In questa prospettiva, è chiaro che la valutazione economica tradizionale può rappresentare una sottostima del ‘valore’ complessivo dell’ambiente.


La Corte di Appello di Milano nella nota vicenda relativa alla fuoriuscita di diossina nella zona di Seveso, con riguardo a quei soggetti “che siano sottoposti a controlli sanitari specifici, resi necessari dalla presenza di sintomi in quel contesto obiettivamente allarmanti” (App. Milano, 15 aprile 1994, n. 667, in Riv.. Giur. amb. 1995, 327, con nota di DE FOCATIIS), ha tentato l’inquadramento del danno ambientale nella tipologia del danno morale per danno all’ambiente, pur in assenza di un danno biologico causalmente accertabile.


La Corte di Cassazione civile con sentenza 21.2.2002, n. 2515 ha affermato che "in caso di compromissione dell’ambiente a seguito di disastro colposo (art. 449 c.p.), il danno morale soggettivo lamentato dai soggetti che si trovano in una particolare situazione (in quanto abitano e/o lavorano in detto ambiente) e che provino in concreto di avere subito un turbamento psichico (sofferenze e patemi d’animo) di natura transitoria a causa dell’esposizione a sostanze inquinanti ed alle conseguenti limitazioni del normale svolgimento della loto vita, è risarcibile autonomamente anche in mancanza di una lesione all’integrità psico-fisica (danno biologico di altro evento produttivo di danno patrimoniale, trattandosi di reato plurioffensivo che comporta, oltre all’offesa all’ambiente ed alla pubblica incolumità, anche l’offesa ai singoli, pregiudicati nella loro sfera individuale".


Da ultimo, la Suprema Corte, con sentenza 20 .6. 1997, n. 5530, cassando la sentenza dei giudici della Corte d’Appello milanese nello stesso caso, ha escluso la risarcibilità del danno morale soggettivo, verificatosi in occasione della compromissione anche grave della salubrità dell’ambiente a seguito di disastro colposo, che non sia la conseguenza della menomazione dell’integrità psicofisica o di altri tipi di evento produttivo di danno patrimoniale.


La sentenza 21.10.1999 del Tribunale di Milano, riconoscendo la presenza di un danno esistenziale da “inquinamento acustico”, provocato da “lavorazioni rumorose”, come verniciatura o di qualsiasi altra attività che comporti produzione di vapori, gas o altra esalazione insalubre, che superano i limiti di tollerabilità fissati dalle legge, indica come ulteriore esempio di danno esistenziale il “danno esistenziale da disastro (es. crollo di un edificio per fuga di gas, inondazione per crollo di diga, caduta di aereo).


Infatti, spesso, i danni ambientali, pur non comportando un’alterazione dello stato di salute o l’insorgere di una patologia psichica, possono provocare un’alterazione del benessere psicofisico delle persone che prima del danno fruivano di quel bene ambientale, una modifica delle loro normali attività quotidiane, provocando condizioni diffuse di malessere psichico che, pur non connotandosi patologicamente, inducono l’insorgenza di una sintomatologia ansioso-depressiva, con alterazioni del ciclo sonno-veglia, che possono produrre difficoltà nell’affrontare le quotidiane occupazioni.


E’ ormai pacifico che questo tipo di alterazione del benessere psicofisico individuale è riconducibile alla figura risarcitoria del danno esistenziale, “consistente nell’alterazione delle normali attività dell’individuo, quali il riposo, il relax, l’attività lavorativa domiciliare e non, che si traducono nella lesione della “serenità personale”, cui ciascun oggetto ha diritto sia nell’ambito lavorativo, sia, a maggior ragione, nell’ambito familiare”.


Il danno esistenziale, infatti, può trarre origine da diverse causali purché idonee, in concreto, a provocare le alterazioni psichiche e comportamentali sopradette.


Affinché possa ravvisarsi il “danno esistenziale da danno ambientale” è indispensabile che sussistano alcune condizioni:
l’evento che provoca il danno ambientale deve essere fonte di responsabilità per la legge,
deve essere chiaramente riconoscibile un nesso tra effetti del danno ambientale e danno alla persona,
deve sussistere la consecutività temporale tra il danno ambientale e il danno alla persona.


Inoltre, un danno ambientale che generi degli effetti indiretti, provocando una drastica e improvvisa contrazione della domanda di beni o servizi, che si ripercuote anche sull’ammontare dei redditi distribuiti e eventualmente su un calo dell’occupazione, può indurre l’insorgenza di danni esistenziali, nelle famiglie colpite da tali effetti indiretti, che sono costrette a modificare in senso peggiorativo il loro stile di vita.


Le moderne acquisizioni della psicologia relativamente ai disturbi post-traumatici da stress, rilevabili in persone che hanno vissuto situazioni di grave pericolo per la vita e la incolumità fisica propria e altrui, mostrano che in caso di disastri, le persone coinvolte in disastri naturali o provocati dall’uomo possono sviluppare importanti danni psichici, inquadrabili nella figura risarcitoria del danno biologico.


Tali danni sono spesso inquadrabili nella categoria diagnostica definita dal DSM-IV come disturbi post-traumatici da stress, ma possono essere anche rappresentati da disturbi di altro tipo, generati dalla difficoltà della persona di integrare l’evento nella propria biografia personale, dal “precipitare” di una patologia psichica preesistente “sotto traccia” prima del disastro o dall’aggravarsi di un disagio psichico già conclamato.


Per ravvisare la presenza di un danno biologico psichico da danno ambientale occorre in primo luogo valutare la possibilità di imputare l’insorgenza o l’aggravarsi di una patologia mentale diagnostica agli effetti derivati dal danno ambientale.


Il nesso di causa tra un danno ambientale e l’insorgenza di un quadro clinico è strettamente personale, in quanto è legato al significato che la persona attribuisce all’esperienza del danno ambientale stesso.


E’ necessaria, pertanto, un’analisi che si ponga su un livello di concettualizzazione più ampio rispetto a quello della mera variabile sintomatologia, consentendo di approfondire i significati personali attribuiti dalla persona all’ambiente naturale e di cogliere le connessioni di significato personale tra evento dannoso e esperienza interna, nessi di significato che racchiudono in sé i nessi di causa dell’esperienza psicopatologica.


Sempre a proposito della relazione tra danno ambientale e diritto alla salute, la Corte di Cassazione, inoltre, con la sentenza n. 9893/2000 ha stabilito che “ La tutela giudiziaria del diritto alla salute in confronto della pubblica amministrazione può essere preventiva e dare luogo a pronunce inibitorie, se, prima ancora che l’opera pubblica sia messa in esercizio nei modi previsti, sia possibile accertare, considerando la situazione che si avrà una volta iniziato l’esercizio, che nella medesima situazione è insito un pericolo di compromissione per la salute di chi agisce in giudizio".


La sentenza, infatti, sancisce che non è legittima l’imposizione della servitù di passaggio di elettrodotto qualora il flusso elettromagnetico indotto dal passaggio di corrente possa pregiudicare il diritto alla salute del proprietario che deve tollerare la presenza o il passaggio sul suo fondo degli impianti, precisando che non è necessario che il danno si sia verificato per reagire, come titolare del diritto alla salute, contro la condotta altrui, che si manifesta chiaramente in grado di ledere tale diritto.