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Per una semantica della precauzione

Introduzione

Umberto Izzo

"Precauzióne: [dal lat. tardo praecautio-onis, der. di praecavere 'guardarsi, esser cauto', comp. di prae- 'pre-' e cavere 'stare in guardia']. - Prudenza e circospezione nell'agire per evitare un pericolo o rischio imminente o possibile: operare, muoversi, avanzare con p. (…). Talvolta con sign. più concreto per indicare singoli atti che servono di cautela: ho preso le mie precauzioni; abbiamo agito con ogni possibile p.; si sono deliberate alcune p. igieniche, sanitarie (…)"[1].

 

Come i dizionari avvertono, la semantica del termine precauzione declina due significati distinti, che nell'uso corrente tendono a restare sottotraccia, celati nella precomprensione linguistica di chi sceglie come adoperare il vocabolo. Esplicitati, questi significati assumono invece un senso preciso, perché consentono di identificare l'ambito temporale nel quale, a seconda dei casi, il termine si contestualizza. La parola "precauzione" può così alludere ad una generica prudenza e circospezione rispetto al rischio o al pericolo di danno, che individua un atteggiamento da osservare (e dunque una decisione da assumere) prima di agire. Oppure può riferirsi ad una specifica e ben definita attività di contrasto rispetto al rischio o pericolo di danno, che riflette e descrive l'esito di una decisione, dopo che questa si è strutturata, individuando una particolare condotta precauzionale. Questa apparente dicotomia semantica trova comunque modo di compattarsi nell'idea più generale, comune ai due significati lessicali della parola, che la "precauzione" rappresenti qualcosa che si oppone al "rischio" e/o al "pericolo". Per quanto banale, la constatazione induce fin d'ora a ritenere che il reale significato del termine a cui ci si sta accostando non possa decifrarsi senza aver precisato il senso da attribuire ai concetti di rischio e pericolo, un senso che in questo caso non è dato individuare attraverso analisi linguistiche, ma che necessita di essere compreso alla luce del contributo conoscitivo offerto sul punto dalle scienze sociali.


Orbene, la doppia dimensione temporale e la valenza semantica "antagonista" del vocabolo attorno a cui ruota la riflessione che ci si accinge a compiere assumono estrema rilevanza per verificare in che modo l'idea della precauzione sia stata (o possa essere) recepita concettualmente nel diritto contemporaneo. Una delle premesse teoriche di questo studio è infatti quella di verificare sul campo come questi elementi semantici della precauzione possano trovare un riscontro preciso nel ragionamento giuridico. Per altro verso, questa sommaria analisi linguistica permette subito di chiarire la scelta di prospettiva che questo libro annuncia fin dal suo titolo. Sul piano giuridico la precauzione può infatti essere concettualizzata avendo mente il primo significato che abbiamo visto essere proprio del termine. In tal caso di discorrerà "di precauzione", per analizzare un concetto che kantianamente si veste di significati normativi, identificando il "dover essere" della cautela prima dell'azione. Ma il concetto può essere sviluppato ed approfondito partendo dal secondo significato che il termine disvela, mettendo a fuoco il concetto "della precauzione", per verificare se l'attenzione per il sein, il concreto modo di "essere" della cautela rispetto all'azione, possa assumere un ruolo interpretativo rilevante per chi opera in quel settore del diritto che è chiamato a gestire ciò che il pericolo od il rischio finiscono prima o poi per materializzare, ovvero il danno
[2].


Il giurista contemporaneo conosce o sta imparando a conoscere il concetto di precauzione. Da qualche lustro questa idea - che muove da una riflessione filosofica più generale (e di cui si verificheranno nel primo capitolo le radici intellettuali) - ha trovato modo di elevarsi in principio giuridico attraverso varie declamazioni normative, che, muovendo dal lessico programmatico di alcune convenzioni internazionali e ricevendo subito dopo entusiastico accoglimento in alcune esperienze giuridiche (in particolare in quella francese), sono state progressivamente recepite in modo via via più definito dal formante normativo comunitario, per entrare così stabilmente nel quadrante del diritto positivo chiamato ad essere scrutato dall'interprete municipale.


Questo rapido processo di diffusione legislativa rispecchia ed istituzionalizza la fortuna culturale che il "principio di precauzione" conosce soprattutto al di qua dell'Atlantico e non solo attraverso il proliferare di studi dedicatigli dalle scholarships del vecchio continente, ma anche da un punto di vista più generale, schiettamente socio-politico. Polarizzando le aspettative che una porzione sempre più ampia della società del rischio contemporanea ripone nella capacità del diritto di governare gli effetti della tecnologia, il principio di precauzione si rende interprete di una contesa socio-politica che da qualche anno vede protagonisti Europa e Stati Uniti - in una partita serrata che si gioca sul terreno del diritto del commercio internazionale, con enormi poste economiche in gioco - mettendo a nudo un conflitto latente fra due modi profondamente diversi di concepire nei suoi elementi costitutivi la triangolazione fra individuo, società e rischio
[3]  . Si tratta di uno scontro che il comparatista comprende in una prospettiva politica e culturale, soffermandosi sull'evoluzione storica delle istituzioni e degli istituti giuridici che mediano il rapporto fra l'individuo ed il rischio in queste due macro-realtà socio-politiche del mondo contemporaneo.


Tuttavia, pur considerandolo diffusamente nel suo primo capitolo, questo libro non ha il suo fuoco principale sul principio di precauzione, e sulla crescente valenza giuridica che esso va assumendo nel diritto nazionale e sovranazionale. Soprattutto pubblicistica e solo in via mediata privatistica, questa valenza, dopo essere stata scrutata in un primo tempo nella visuale del diritto pubblico internazionale, oggi attraverso il diritto comunitario cala dall'alto nelle aule di giustizia dei paesi membri, per essere richiamata con insistenza in una panoplia di controversie fra privati e (più spesso) fra privati e pubbliche amministrazioni o fra pubbliche istituzioni tout-court (e persino in sede penale
[4]) nei vari ambiti settoriali interessati dall'applicazione del principio (la protezione dell'ambiente, in primis, e poi la tutela della salute nei suoi multiformi campi di esplicazione: la sicurezza alimentare, la produzione e l'immissione in commercio di farmaci, di dispositivi medici, le frontiere sperimentali della ricerca biomedica, etc.).


Quale che sia l'ambito e la sede di invocazione del principio, è evidente, infatti, che l'essenza del "principio di precauzione" si riallaccia concettualmente a ciò che abbiamo visto essere il sollein della precauzione, nell'(ontologicamente non falsificabile) ambizione di esprimere ed imporre ai soggetti a cui si rivolge (stati nazionali, istituzioni pubbliche e private, nonché singoli individui) una linea di condotta ideale da osservare per fronteggiare il rischio ed il pericolo sottesi all'ignoto tecnologico, quando la scienza rivela di non essere in grado di fugare l'incertezza che attanaglia la decisione sociale sul "se" e sulle "modalità" dell'agire. Da qui l'invocazione, che spesso costituisce il corollario operativo dell'invocazione del principio di cui si discorre, di un blocco temporaneo dell'attività in questione, nell'attesa che nuove conoscenze scientifiche e nuove regole e procedure diano un senso concreto - e non soltanto inibitorio
[5] all'operare del principio nel settore di attività considerato.


Nella sua configurazione più estrema, il principio di precauzione rischia in quest'ottica di rendersi indistinguibile da uno slogan politico - o da una giustificazione retorica di stampo normativo
[6]  - per dare fondamento e legittimità a timori irrazionali, a volte venati di inconfessabili intenti protezionistici, con l'effetto di dar linfa alle aspre critiche che esso (con intensità pari a quella esibita da chi, per parte sua, ha subito provveduto a farne il proprio vessillo ideologico[7]) ha attirato da parte dei suoi detrattori, che sono presenti in vaste aree del mondo scientifico ed imprenditoriale[8] .


La nostra analisi si muove invece sul terreno della responsabilità civile, un insieme di regole che da sempre, assieme ad altri istituti giuridici che assolvono la medesima funzione per altre vie, si contrappone al rischio od al pericolo, stabilendo le condizioni alle quali la società è disposta a riallocare nel suo seno gli effetti determinati dalla reificazione di questi due concetti. Queste regole hanno l'invariabile caratteristica di essere applicate quando il rischio od il pericolo hanno cessato di esser tali e non resta altro da fare che valutare se il comportamento concretamente osservato per tentare di neutralizzarli offra al processo ragioni sufficienti per procedere a questa riallocazione. Da qui il nostro specifico interesse per il secondo modo d'essere della precauzione, ovvero il "concetto della precauzione", quello che - lo si è visto - descrive le modalità attraverso cui il concetto si esplica e si definisce in concreto per contrastare il rischio od il pericolo di danno, ponendosi sotto la lente giudiziale dell'interprete quando la condotta precauzionale del caso si è comunque già dispiegata senza conseguire il suo intento ideale.


L'assunto da cui muove questo studio è che l'attenzione per il concetto della precauzione, lungi dal necessitare di nuove regole per trovare applicazione nel settore della responsabilità civile, possa indurre ad accostarsi con una nuova consapevolezza interpretativa a molte delle aree problematiche in cui tradizionalmente viene dissezionato l'operare concreto di questo istituto del diritto civile, consentendo di esplicitare e rivalutare in una visione unitaria e coerente (e nel contempo analitica) la funzione preventiva delle regole di cui si discorre, dopo un lungo periodo in cui, salvo che in casi isolati, la considerazione per questa raison d'être del sistema della r.c. è parsa appassire al livello di una fugace citazione manualistica (obbligata, ma ormai priva di mordente operazionale), dando così prova di conoscere una fortuna inversamente proporzionale a quella invece dimostrata dalla trionfante valenza aggiudicativa che negli ultimi decenni le argomentazioni (dottrinali e poi giurisprudenziali) osannanti all'altra macrofunzione della responsabilità civile, quella compensativa, hanno saputo ricavarsi nella law in action.


Un'analisi di questo tipo evidentemente non avrebbe potuto essere condotta in via generale ed in astratto, senza fare riferimento ad un paradigma concreto dal quale ricavare gli elementi di analisi fattuali attraverso cui contestualizzare e testare gli assunti teorici da cui questo studio prende le mosse. Il caso del danno da contagio per via trasfusionale, la fattispecie concreta che accompagnerà dal secondo capitolo in poi lo sviluppo delle idee esplicitate in questa premessa, racchiude in sé una gamma di elementi distintivi che lo hanno reso particolarmente adatto a questo scopo.


In primis, la dimensione globale degli eventi attraverso cui nei principali paesi industrializzati e nel medesimo frangente temporale si sono manifestate le dinamiche scientifiche, politiche e giuridiche che l'improvvisa comparsa del pericolo di trasmettere il virus HIV per via ematica ha propiziato a partire dalla prima metà degli anni '80, ha permesso di ricavare attraverso un'indagine comparata elementi di riflessione utili sia nella prospettiva microcomparativa, allorché si è applicato il concetto della precauzione all'analisi dei singoli istituti della responsabilità civile coinvolti nella problematica prescelta, che nella prospettiva macrocomparativa, allorché la nostra disamina si è spinta a considerare il comportamento delle istituzioni pubbliche di controllo investite dal problema, per verificare in che modo questo comportamento abbia interagito con la risposta risarcitoria che le corti di ciascun paese hanno apprestato a livello decentrato all'ondata di litigation seguita al contagio. Il che ha poi permesso di mettere a fuoco alcuni tratti peculiari che hanno caratterizzato le dinamiche attraverso cui ciascuna delle tre esperienze giuridiche considerate nell'analisi (oltre a quella municipale, quella francese e quella statunitense) ha esibito ed applicato nella circostanza il proprio particolare modo di intendere la triangolazione fra rischio, società ed individuo a cui si è alluso qualche pagina fa.


In secondo luogo, i problemi innescati dal contenzioso risarcitorio legato al contagio per via trasfusionale, per la particolarità capacità della fattispecie prescelta di proiettare e distribuire su distinte categorie di soggetti il compito di dare un senso concreto al concetto della precauzione, hanno consentito di passare in rassegna alcuni degli elementi chiave della responsabilità civile, fra cui la causalità (intesa sia in senso materiale che giuridico), il ruolo dell'informazione quale medium giuridico fra rischio e danno, i vari criteri che presiedono all'imputazione della responsabilità, la prescrizione dell'azione risarcitoria in caso di danno lungolatente, ed i problemi probatori senza la cui soluzione ciascuno di questi elementi, essenziali per integrare la fattispecie risarcitoria portata all'attenzione delle corti, rischia di non poter vivere il momento, ad un tempo ineludibile e decisivo, della sua verifica processuale. L'intento è quello di far emergere in tal modo, attraverso un'analisi tematica di dettaglio, una visione d'insieme della responsabilità civile coerente con le premesse metodologiche di questo studio.


In terzo luogo, il silenzioso protagonista del problema esaminato in questo studio, un virus letale che per anni ha tenuto in scacco le capacità predittive e conoscitive della scienza contemporanea, sintetizza le caratteristiche archetipiche di una vasta (e purtroppo crescente) gamma di minacce che inquietano la società del rischio contemporanea: il bene messo a repentaglio è quello primario della salute; l'identificazione del pericolo è rimessa alla scienza ed alla sua capacità di guidare l'operato degli agenti sociali deputati a debellarlo; il fenomeno si è mostrato capace di evocare paure irrazionali, attraverso l'amplificazione massmediatica del suo potenziale di rischio; infine, l'operare della precauzione nei confronti di questa minaccia è dipeso e dipende in via esclusiva dallo sviluppo, dalla gestione e dalla implementazione di una tecnologia particolarmente sofisticata.

 

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Prima di lasciare al lettore il compito di verificare lo sviluppo delle idee anticipate in questa premessa, desidero ringraziare per il prezioso supporto fornitomi in questi anni il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell'Università di Trento, che mi ha offerto l'opportunità concreta di realizzare ciò che solo il caso mi ha spinto ad intraprendere al termine degli studi universitari condotti nella facoltà della mia città d'origine.


Un grazie particolare a tutto l'impareggiabile staff amministrativo che anima il "nostro" Dipartimento ed ai (ci siamo definiti così) "friends in blood", con cui ho condiviso un'esaltante esperienza di ricerca internazionale durante il dottorato, e che non nomino qui perché sono tutti ricordati in questo libro nelle vesti di coautori di Blood Feuds: AIDS, Blood, and the Politics of Medical Disaster, il volume che quella ricerca ha prodotto. E poi, soprattutto, le persone che - nella duplice veste di amici e di studiosi con cui confrontare continuamente le idee - mi hanno aiutato a completare questo libro, che elenco senza stabilire gradi di riconoscenza, ma nell'ordine in cui sono apparsi in un film che loro ben conoscono: Roberto Caso, Roberto Pardolesi, Giuseppe Bellantuono e Giovanni Pascuzzi.


Vorrei infine condividere con il lettore una citazione che in un certo senso ha accompagnato la stesura di questo volume e che - specie di questi tempi - può offrire conforto ai giovani che continuano a dedicarsi alla ricerca nel nostro paese. A parlare è Fedro, il protagonista di un libro che forse apparirà datato a chi lo lesse nell'edizione originale del 1974, ma che a distanza di trent'anni riesce ancora a regalare qualcuna delle sue pirsighiane "qualità".


"Che cosa pensa sia la vera Università? I suoi appunti rispondono a questa domanda così: La vera Università è una condizione mentale. E' quella grande eredità del pensiero razionale che ci è stata tramandata attraverso i secoli e che non esiste in alcun luogo specifico; viene rinnovata attraverso i secoli da un corpo di adepti tradizionalmente insigniti del titolo di professori, ma nemmeno questo titolo fa parte della vera Università. Essa è il corpo della ragione stessa che si perpetua. Oltre a questa condizione mentale, la 'ragione', c'è un'entità legale che disgraziatamente porta lo stesso nome, ma è tutt'altra cosa. Si tratta di una società senza scopi di lucro, di un ente statale con un indirizzo specifico, che ha delle proprietà, paga stipendi, riceve contributi materiali e di conseguenza può subire pressioni dall'esterno. Ma questa università, l'ente legale, non può insegnare, non produce nuovo sapere e non vaglia le idee. E' solo un edificio, la sede di una chiesa, il luogo in cui sono state create le condizioni favorevoli a che la vera chiesa potesse esistere. La gente non riesce a vedere questa differenza, disse Fedro, e crede che il controllo degli edifici della chiesa implichi il controllo della chiesa stessa, considera i professori semplici impiegati della seconda università, che dovrebbero rinunciare alla ragione a comando e ricevere ordini senza discuterli, come fanno gli impiegati delle altre aziende. Questa gente vede la seconda università, ma non riesce a vedere la prima…"
[9]  .        

 

Introduzione al volume "La precauzione nella responsabilità civile"

Padova, CEDAM, 2004

Trento, febbraio 2004

 

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La precauzione nella responsabilità civile
Analisi di un concetto sul tema del danno da contagio trasfusionale.


INDICE

Introduzione: per una semantica della precauzione

Capitolo I.
La precauzione nel diritto
I.1. La precauzione come termine necessario della relazione fra tecnologia e diritto
I.2. L’ascesa del principio di precauzione nella società del rischio globalizzato
I.2.1. Archeologia e genesi di un “principio” nel dialogo fra le sue fonti di recepimento
I.2.2 Il recepimento nel diritto comunitario
I.3. Diritto, tecnologia e scienza: il legal process di fronte all’incertezza e le promesse dell’e-rulemaking
 

Capitolo II.
Il danno da contagio per via ematica: aspetti generali

II.1. Introduzione
II.2 La regulation e l’avvento del rischio di contagio per via ematica del virus HIV: una storia italiana
II.3. La necessità di considerare il concetto della precauzione in relazione a tutti i soggetti che possono agire in prevenzione rispetto ad una data tipologia di eventi dannosi
II.4. Una premessa metodologica: sul ruolo che la responsabilità civile può svolgere nei confronti delle attività dannose ad alto contenuto tecnologico
II.5. Le possibili cause della scarsità di pronunce italiane sul danno da contagio nel panorama comparatistico
II.5.1. Cenni sull’esperienza statunitense
II.5.2. Cenni sull’esperienza francese
II.5.3. Cenni sull’esperienza tedesca
II.5.4. Aspetti problematici nella litigation italiana sul danno da contagio
II. 5.4.1. Il timore di divulgare la propria affezione agendo in giudizio: problemi e soluzioni
II.5.5. L’accertamento della causalità materiale fra trasfusione e contagio: tecniche e teorie per ovviare all’incertezza probatoria
II. 5.5.1. La difficoltà di acquisire la documentazione rilevante
II. 5.5.2 L’accertamento coattivo sul presunto donatore infetto
II. 5.5.3. La prova presuntiva della riferibilità causale del contagio alla condotta del convenuto
II. 5.5.4. Il modello presuntivo classico: “res ipsa loquitur”
II. 5.5.5. Perdita della prova ed imputazione del danno
II. 5.5.6. La presunzione di responsabilità “da perdita di prove”
II. 5.5.7. Obbligo di tracciabilità e risarcimento del danno cagionato per effetto della distruzione di dati personali aventi valore probatorio decisivo
II.5.6. La prescrizione di un danno lungolatente
II.5.6.1 La decorrenza della prescrizione dal “fatto” di cui all’art. 2947, primo comma, c.c.: critica
II.5.6.2 La necessità di non delegare la soluzione del problema alla giurisdizione esclusiva della scienza (e dei suoi esperti)
II.5.6.3 Onere della prova ed individuazione del dies a quo della prescrizione
 

Capitolo III.
Danno da contagio e “responsabilità remota”: il concetto della precauzione nella causalità giuridica
III.1. Il problema della causalità giuridica: cenni comparatistici
III.2. Il “linguaggio della causalità” fra argomentazione tecnica e decisione politica
III.3. La riallocazione causale del danno da contagio: critica
III.4. Considerazioni sulla natura plurifunzionale della causalità

III.5. Il concetto della precauzione nella causalità giuridica
 

Capitolo IV.
Danno da contagio e “responsabilità mediana”: informazione sul rischio e decisione precauzionale
IV.1. Scelta trasfusionale e valutazione precauzionale dei parametri di rischio
IV.1.1. La colpa fra disciplina dei livelli di attività dell’agente e precauzioni mancate
IV.1.2. Colpa professionale e guidelines tecniche
IV.2. Il c.d. “consenso informato” del paziente alla luce del concetto della precauzione 
IV.2.1. Considerazioni sulla natura giuridica del consenso informato
IV.2.2. Onere della prova e forma del consenso
 

Capitolo V.
Danno da contagio e “responsabilità prossima”: l’attività precauzionale del fornitore di sangue
V.1. L’analisi comparata: l’esperienza statunitense e francese
V.1.1. Cenni sulla struttura istituzionale del “sistema sangue” nelle due esperienze considerate
V.1.2. La dissonanza originaria delle soluzioni giurisprudenziali accolte negli Usa ed in Francia
V.1.3. Una giurisprudenza condizionata dal punto di partenza? L’effetto lock-in determinato dall’inquadramento iniziale di un nuovo problema giuridico
V.1.4. L’esperienza statunitense
V.1.4.1. Il consolidamento della c.d. Perlmutter Rule fra common law e statutory law
V.1.4.2. Il legal process statunitense e la gestione di un rischio sociale
V.1.4.3. La professional care del fornitore di sangue: i confini della colpa nella tort law statunitense
V.1.4.4. Public policy e legal process nell’esperienza statunitense sul danno da contagio
V.1.5. L’esperienza francese
V.1.5.1. Lo Stato garante della qualità del sangue: riflessi civilistici di un assetto istituzionale
V.1.5.2. La responsabilità oggettiva del fornitore di sangue all’indomani del c.d. affaire du sang contaminé
V.1.5.3. L’interazione fra la vicenda giurisprudenziale del danno da contagio e la recezione francese della direttiva europea sulla responsabilità da prodotto
V.2. Regole di imputazione del danno ed incentivi alla decisione precauzionale del fornitore del sangue
V.2.1. Sangue e responsabilità da prodotto
V.2.1.1. Il rischio da sviluppo del modello europeo: il caso dei “prodotti originariamente infetti”
V.2.1.2. Responsabilità e mercato: perché il D.P.R. 224/88 non dovrebbe applicarsi al sangue umano destinato a fini trasfusionali
V.2.2. Il rapporto fra criteri d’imputazione del danno e decisione precauzionale del fornitore del sangue in chiave di behavioral law & economics
V.2.3. L’art. 2050 c.c. e la sua modernità
 

Conclusioni
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[1]  Così il lemma Precauzione, in Dizionario Enciclopedico Italiano, IX, Roma, 1970.

 

[2] Nel porre le basi metodologiche della sua analisi dedicata al concetto di rischio, N. LUHMANN, Risk: A Sociological Theory, Berlin, New York, 1991, 16-17 (ora Sociologia del rischio, Milano, 1996, 25-26, ma la traduzione che segue è resa da chi scrive dall'edizione inglese indicata, in considerazione della poca chiarezza con cui la traduzione italiana rende i passi considerati), osserva: "un danno futuro può reificarsi, o non, a seconda dei casi. Scrutato dal punto di vista del presente, il futuro appare incerto, sebbene si possa essere consapevoli del fatto che i futuri 'presenti' potranno assumere i contorni che noi desideriamo ovvero disvelarsi in modo piuttosto diverso rispetto alle nostre aspettative. In questo preciso momento noi non possiamo sapere quali fattezze assumerà il futuro. Ma possiamo sapere che in un futuro 'presente' noi stessi ed altri osservatori saremo in grado di conoscere quale sia la situazione, e la valuteremo in modo diverso da come la valutiamo oggi, anche se fra noi potranno emergere valutazioni di tipo diverso. D'altra parte, (…) ciò che può accadere nel futuro dipende dalle decisioni che sono prese oggi. Infatti possiamo parlare di rischio solo se siamo in grado di identificare una decisione senza la quale il danno non si sarebbe verificato (…) pertanto, il fatto che due contingenze temporali, l'evento ed il danno, siano intimamente correlate come contingenze (e non come fatti!) (…) consente agli osservatori di valutare le cose in modo diverso".


[3] Il che si manifesta oggi - per fare solo due dei tanti esempi possibili - nelle guerre commerciali che sulle due sponde dell'Atlantico si combattono sui caldissimi temi delle biotecnologie agricole e su quello delle carni bovine trattate con l'ormone della crescita, su cui rispettivamente A. PRAKASH, K. L. KOLLMAN, Biopolitics in the EU and the U.S.: A Race to the Bottom or Convergence to the Top?, 47 Int. Stud. Quart. 617 (2003); T. BERNAUER, E, MEINS, Technology Revolution Meets Policy and Market: Explaining Cross-National Differences in Agricultural Biotechnology Regulation, in 42 Eur. J. Pol. Res. 643, 674 ss. (2003) e C. CHARLIER, M. RAINELLI, Hormones, Risk Management, Precaution and Protectionism: An Analysis of the Dispute on Hormone-Treated Beef between the European Union and the United States, in 14 Eur. J. Law & Econ. 83 (2002).


[4] Così, solo per fare un esempio, un riferimento espresso al principio di precauzione, definito (senza peritarsi di spiegare perché) "principio distinto e più esigente del principio della prevenzione", balugina nella prosa dei giudici di legittimità in Cass. 8 febbraio 1999, Lago, in Foro it., 1999, II, 365, 370, con nota di G. AMENDOLA. Riflette acutamente sulle pratiche esorcistiche che il senso del principio di precauzione può ispirare al legislatore penale, L. STORTONI, Angoscia tecnologica ed esorcismo penale, mentre verifica gli effetti legislativamente tangibili di questo esorcismo V. TORRE, Sistemi di co-gestione del rischio nel d.lgs. n. 334 del 1999, entrambi in AA. VV., Il rischio da ignoto tecnologico, Milano, 2002, rispettivamente 85 e 125.


[5] Senso che oltre ad esprimersi sul terreno pubblicistico può assumere una valenza immediatamente giustiziabile sul piano privatistico, si veda, per un primo inquadramento di un tema ricco di spunti problematici, C. CONSOLO, Il rischio da "ignoto tecnologico": un campo arduo per la tutela cautelare (seppur solo) inibitoria, in AA. VV., Il rischio da ignoto tecnologico, op. cit., 65.


[6] Di recente il principio di precauzione è stato definito "un tipico concetto retorico utilizzato all'interno della legge, che serve semplicemente a fondare un'argomentazione e non già ad accrescere le conoscenze" che servono per aggiudicare razionalmente una contesa fra interessi confliggenti di fronte all'incertezza scientifica, così la voce di A. GAMBARO, Intervento al convegno "Scienza e diritto nel prisma del diritto comparato", Pisa, 22 maggio 2003; si veda sul punto M. D. ADAMS, The Precautionary Principle and the Rhetoric Behind It, in 5 J. Risk Research, 301 (2002).


[7] Si veda, per esempio, G. FRANCESCATO, A. PECORARO SCANIO, Il principio di precauzione, Milano, 2002.


[8] Si veda, per fare solo uno dei possibili esempi, A. MELDOLESI, Organismi geneticamente modificati. Storia di un dibattito truccato, Torino, 2001, 113-124.


[9] R. PIRSIG, Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, Milano, 1981, 149-50.

 

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