AmbienteDiritto.it 

Legislazione  Giurisprudenza

 


 Copyright ©  Ambiente Diritto.it

 

Il sapore degli Statuti Regionali

 

BREVE COMMENTO ALLA SENTENZA N. 372/2004

 

LEONARDO SALVEMINI  

 

 

La sentenza n. 372 del 2004 relativa al giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 3, comma 6; 4, comma 1, lettere h), l), m), n), o), p); 32, comma 2; 54, commi 1 e 3; 63, comma 2; 64, comma 2; 70, comma 1; 75, comma 4, dello statuto della Regione Toscana, approvato in prima deliberazione il 6 maggio 2004 e, in seconda deliberazione, il 19 luglio 2004, pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione n. 27 del 26 luglio 2004, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri appare fortemente innovativa in tema di interpretazione degli statuti ma soprattutto evidenzia la libertà e la soggettività di lettura di una fonte statutaria così come effettuata, attraverso una richiamata duplice natura degli statuti: una " politica " e l'altra " giuridica".


La corte, ad avviso di chi scrive, tenta di definire entrambe le nature degli statuti senza però convincere appieno o meglio senza concedere un chiaro e definitivo indirizzo per tutti.


La corte innanzitutto effettua una bipartizione delle censure mosse nei confronti degli statuti impugnati che a prima vista pare interessante, in quanto distingue, all'interno delle norme impugnate tra proposizioni e norme e cioè:

  1. primo gruppo : quelle aventi ad oggetto proposizioni rientrano tra i "Principi generali" e le "Finalità principali";

  2. secondo gruppo: quelle che invece riguardano norme specifiche dello statuto.

Fatta questa premessa, la Corte procede a verificare la "portata " delle proposizioni.


Al riguardo, afferma il Giudice delle Leggi, " va ricordato che negli statuti regionali entrati in vigore nel 1971 -ivi compreso quello della Toscana- si rinvengono assai spesso indicazioni di obiettivi prioritari dell'attività regionale ed anche in quel tempo si posero problemi di costituzionalità di tali indicazioni, sotto il profilo della competenza della fonte statutaria ad incidere su materie anche eccedenti la sfera di attribuzione regionale."


Al riguardo, dopo avere riconosciuto la possibilità di distinguere tra un contenuto "necessario" ed un contenuto "eventuale" dello statuto (cfr. sentenza n. 40 del 1972), la Corte ha ritenuto che la formulazione di proposizioni statutarie del tipo predetto avesse principalmente la funzione di "legittimare la Regione come ente esponenziale della collettività regionale e del complesso dei relativi interessi ed aspettative."


Quindi, " tali interessi possono essere adeguatamente perseguiti non soltanto attraverso l'esercizio della competenza legislativa ed amministrativa, ma anche avvalendosi dei vari poteri, conferiti alla Regione stessa dalla Costituzione e da leggi statali, di iniziativa, di partecipazione, di consultazione, di proposta, e così via, esercitabili, in via formale ed informale, al fine di ottenere il migliore soddisfacimento delle esigenze della collettività stessa." In questo senso si è espressa la Corte, affermando che " l'adempimento di una serie di compiti fondamentali " legittima, dunque, una presenza politica della regione, in rapporto allo Stato o anche ad altre regioni, riguardo a tutte le questioni di interesse della comunità regionale, anche se queste sorgono in settori estranei alle singole materie indicate nell'art. 117 Cost. e si proiettano al di là dei confini territoriali della regione medesima" (sentenza n. 829 del 1988).


Il ruolo delle Regioni, in quanto anche di rappresentanza generale degli interessi delle rispettive collettività, riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale e dalla prevalente dottrina -e, per quanto riguarda la Regione Toscana, dall'art. 1 dello statuto in esame- è dunque rilevante, anche nel momento presente, ai fini " dell'esistenza, accanto ai contenuti necessari degli statuti regionali, di altri possibili contenuti, sia che risultino ricognitivi delle funzioni e dei compiti della Regione, sia che indichino aree di prioritario intervento politico o legislativo" (sentenza " statuto Calabria " n. 2 del 2004).


Questi contenuti si esprimono anche attraverso proclamazioni di finalità da perseguire.


Ma la citata sentenza ha rilevato come sia opinabile la "misura dell'efficacia giuridica" di tali proclamazioni.


Infatti la Corte afferma che " alle enunciazioni in esame, anche se materialmente inserite in un atto-fonte, non può essere riconosciuta alcuna efficacia giuridica, collocandosi esse precipuamente sul piano dei convincimenti espressivi delle diverse sensibilità politiche presenti nella comunità regionale al momento dell'approvazione dello statuto, come, del resto, sostanzialmente riconosce la risoluzione n. 51 del Consiglio regionale della Toscana, deliberata contestualmente all'approvazione definitiva dello statuto."


Questa affermazione potrebbe indicare una certa " fragilità" degli statuti regionali e quindi un invito affinché mutata la sensibilità politica di governo della regione, legittimamente deve/può mutare di conseguenza anche lo statuto.


" D'altra parte" continua la Corte, " tali proclamazioni di obiettivi e di impegni non possono certo essere assimilate alle c.d. norme programmatiche della Costituzione, alle quali, per il loro valore di principio, sono stati generalmente riconosciuti non solo un valore programmatico nei confronti della futura disciplina legislativa, ma soprattutto una funzione di integrazione e di interpretazione delle norme vigenti. "


L'affermazione che appare rivoluzionaria è che ad avviso della Corte " qui non siamo in presenza di Carte costituzionali, ma solo di fonti regionali "a competenza riservata e specializzata", cioè di statuti di autonomia, i quali, anche se costituzionalmente garantiti, debbono comunque "essere in armonia con i precetti ed i principi tutti ricavabili dalla Costituzione" (sentenza n. 196 del 2003).


Quindi le norme statutarie di questo "tipo", ad avviso della Corte, non hanno carattere prescrittivi e vincolante, ne deriva che esse esplicano una funzione, per così dire, di natura culturale o anche politica, ma certo non normativa.


Nel ricorso in esame, enunciazioni siffatte si rinvengono nei diversi commi -tra cui in particolare quelli censurati- degli artt. 3 e 4 che non comportano quindi né alcuna violazione, né alcuna rivendicazione di competenze costituzionalmente attribuite allo Stato e neppure fondano esercizio di poteri regionali.


E' quindi inammissibile, dichiara il Giudice delle leggi, per carenza di lesività, il ricorso governativo avverso le denunciate proposizioni dei predetti articoli, anche tenendo conto delle esplicite richieste in tal senso della difesa regionale.


La Corte continua quindi, sulla base di quanto "in principio", ed afferma in maniera assolutamente innovativa che " Pertanto vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale delle seguenti disposizioni dello statuto della Regione Toscana: art. 3, comma 6, secondo il quale "la Regione promuove, nel rispetto dei principi costituzionali, l'estensione del diritto di voto agli immigrati"; art. 4 comma 1, lettera h), il quale dispone che la Regione persegue, tra le finalità prioritarie, "il riconoscimento delle altre forme di convivenza"; art. 4 comma 1, lettere l) e m), che, rispettivamente, stabiliscono quali finalità prioritarie della Regione "il rispetto dell'equilibrio ecologico, la tutela dell'ambiente e del patrimonio culturale, la conservazione della biodiversità, la promozione della cultura del rispetto degli animali", nonché "la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico artistico e paesaggistico"; art. 4 comma 1, lettere n), o) e p), che stabiliscono, quali finalità prioritarie della Regione, "la promozione dello sviluppo economico e di un contesto favorevole alla competitività delle imprese, basato sull'innovazione, la ricerca e la formazione, nel rispetto dei principi di coesione sociale e di sostenibilità dell'ambiente", "la valorizzazione della libertà di iniziativa economica pubblica e privata, del ruolo e della responsabilità sociale delle imprese", "la promozione della cooperazione come strumento di democrazia economica e di sviluppo sociale, favorendone il potenziamento con i mezzi più idonei"


In conclusione, la Corte Costituzionale ha dichiarato in parte inammissibili ed in parte non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri.