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Legislazione  Giurisprudenza

 


 

 

 INFORMAZIONE FINANZIARIA, NEED FOR DISCLOSURE ,
EFFICIENZA DEL MERCATO MOBILIARE

Giulia Cataldi

1. Mercato mobiliare e “asimmetrie informative”


    Il mercato in cui si realizzano gli scambi aventi ad oggetto strumenti finanziari quotati, quotandi o, in ogni caso, largamente diffusi tra il pubblico, è il luogo in cui si incontrano, si confrontano, si compendiano le istanze dell’offerta e della domanda manifestate da investitori appartenenti a differenti categorie sociali ed economiche: operatori specializzati, investitori istituzionali, piccoli risparmiatori, soggetti caratterizzati da obiettivi diversi e da differenti competenze, soggetti dotati di più o meno accentuate capacità di raccolta, elaborazione e valutazione delle informazioni utili e necessarie ad impostare strategie di investimento o, per contro, assolutamente sprovvisti di tale capacità. Tali soggetti convergono tutti nell’istituzione “mercato”, deputata a favorire l’allocazione delle risorse disponibili mediante lo scambio tra denaro e strumenti di investimento.
    Come si sa la istituzione mercato costituisce oggetto di una speciale disciplina di settore ovunque caratterizzata dall’operare di autorità di pubblica vigilanza rese titolari dei poterei necessari per assicurare efficiente dinamica, integrità e trasparenza delle operazioni di mercato, essendo allora da considerare quanto in punto di finalità nel contesto del diritto europeo dell’economia finanziaria avvicina la Consob dell’ordinamento italiano alle missioni istituzionali dell‘ inglese Financial Services Authority e di BaFin, il Bundesanstalt für Finanzdienstleistungsaufsicht così come alla CNMV,la Comisión Nacional del Mercado de Valores quale organismo encargado de la supervisión e inspección de los mercados de valores españoles e alla francese Autorité des marchés financiers (l’AMF che in forza della legge di securitè financiere dell’agosto 2003 ha sostituito la Cob e altre autorità del pubblico controllo). E le analisi in prospettiva di comparazione avvertono che ovunque sono presenti in posizione principale i problemi di disciplina della informazione finanziaria.
    In ogni sistema di mercato dei tempi di capitalismo maturo risulta infatti inevitabile e grave (1) la formazione di “asimmetrie informative” fra gli operatori. Come si è spesso rilevato (2), in tempi passati il mercato si era sempre identificato nel luogo in cui domanda ed offerta di beni si incontravano fisicamente: tutte le informazioni erano poste a disposizione degli operatori sia perché limitate sotto il profilo quantitativo, sia perché la loro acquisizione era relativamente facile. Oggi invece il mercato non è più un luogo fisicamente identificato e l’abbattimento (3)  delle barriere spaziali solleva problemi in ordine alla circolazione delle informazioni. Diviene quindi inevitabile la formazione delle asimmetrie informative tra i diversi operatori, ciò pregiudicando la razionalità delle scelte e, di riflesso, la funzionalità e l’efficienza del sistema. In quest’ottica, il raggiungimento di un mercato efficiente e funzionale richiede la realizzazione di un ambiente informativo tale da consentire a tutti gli operatori il compimento delle proprie scelte in maniera consapevole, responsabile e razionale (4).
    Il mercato deve assolvere “una funzione di garanzia di libero accesso non solo formale ed astratto, ma sostanziale ed effettivo, una funzione di meccanismo aperto senza ostacoli e frizioni di sorta ai consapevoli interventi da parte delle più disparate categorie di soggetti” (5), il presupposto del libero accesso, inteso come possibilità di intervento consapevole, si pone, così, come pre-condizione essenziale per la realizzazione di un efficiente sistema di allocazione delle risorse. Perché tale obiettivo possa essere perseguito occorre quantomeno ridurre le più gravi asimmetrie e, segnatamente, quelle informative, le quali possono negare le funzioni proprie del mercato (ed i relativi benefici) e mettere seriamente a repentaglio la posizione soggettiva dei singoli investitori.

 

2. L’informazione finanziaria quale presupposto essenziale dei processi di “decision making”


    L’abituale e largo appello che gli emittenti quotati rivolgono al pubblico risparmio postula che questi rispondano in maniera esaustiva al need for disclosure espresso dai risparmiatori-investitori, così che questi possano disporre degli elementi informativi necessari a fondare i loro processi di “decision making”, finalizzati all’assunzione di decisioni di investimento circa la migliore allocazione del loro risparmio (6).
    L’esigenza di trasparenza informativa nel settore finanziario risulta particolarmente pressante se si considera la natura intrinseca dei prodotti finanziari oggetto di negoziazioni e di scambio sui mercati mobiliari: questi sono infatti “beni futuri”, di consistenza essenzialmente giuridica. L’esatta individuazione e la possibilità di apprezzamento di questi beni giuridici, essendo assente qualunque realtà fisica o merceologica, percepibile in sé, dipende unicamente dal grado di informazione conseguibile circa le loro caratteristiche e la loro precisa consistenza (7).
    La già rilevata problematica dell’asimmetria informativa si manifesta proprio a tal riguardo. L’informazione (unico mezzo, secondo quanto appena riportato, di “percezione” dell’“oggetto giuridico” proprio di ogni potenziale negoziazione finanziaria) non è in possesso del risparmiatore-investitore, ma è, invece, nella piena disponibilità del negoziatore istituzionale o professionale. Il prodotto finanziario diventa così per il risparmiatore-investitore un “bene intrinsecamente “pericoloso”, ossia con margini di rischio elevatissimi, tanto più elevati quanto maggiore è il gap nelle informazioni di cui dispone il cliente”  (8) .
    E’ bene sottolineare come associata ad ogni operazione di investimento sul mercato mobiliare vi sia sempre una “immanente” componente di rischio; il problema non è quindi quello di azzerare tale componente, bensì quello di far sì che il risparmiatore sopporti “solo” il rischio inerente al proprio investimento in quanto tale, non anche i rischi connessi ad un difetto di conoscenza circa il contenuto del titolo negoziato e le circostanze che possono incidere sulla sua consistenza e sulla sua stessa esistenza. Ne consegue, quindi, che deve essere garantita all’investitore-risparmiatore l’acquisizione del maggior numero di informazioni rilevanti circa i valori reali dei titoli esistenti sul mercato, in modo da ridurre i rischi inerenti alla oggettiva “pericolosità” insita nei beni negoziati. Tutto ciò, se da un verso dovrebbe consentire al risparmiatore allocazioni ottimali di risorse ed impieghi capaci di maggiore redditività, dall’altro dovrebbe portare anche a garantire l’efficienza, il buon funzionamento e l’integrità stessa del mercato.

 


3. Informazione, efficienza del mercato mobiliare e dinamiche di formazione dei prezzi


    Un mercato finanziario efficiente è innanzitutto un “sofisticato meccanismo che raccoglie e sintetizza informazione: in tempo reale, dati aggregati e disaggregati, a livello nazionale ed internazionale, sui processi politici e su quelli economici, vengono valutati ed analizzati dagli operatori, a modifica delle loro strategie di investimento, e vengono quindi incorporati nel prezzo dei titoli”  (9).
    A tal proposito, è stato osservato come “l’informazione fa il prezzo del prodotto finanziario sul mercato; ed il prezzo, a propria volta, esprime la sintesi delle informazioni di cui il mercato dispone” (10): un mercato può perciò dirsi in condizione di efficienza quando è in grado di apprezzare le informazioni in esso disponibili, un mercato in cui, in sostanza, il prezzo risulti idoneo a riflettere tali informazioni.
    La formazione dei prezzi può quindi essere concepita come un processo di aggregazione dell’informazione di cui dispongono i diversi operatori: attraverso i prezzi, quelli più informati trasmettono l’informazione a coloro che sono meno informati. “I mercati dei capitali trasmettono le informazioni sui rendimenti delle attività reali e dei processi produttivi, quelli in essere e quelli da finanziare; in questo senso il valore di un titolo dipende dal modo in cui il sistema dei prezzi trasferisce questa informazione: tanto più rapido e preciso, tanto sarà più efficiente” (11).
    In particolare, un mercato può essere definito in condizione di “efficienza informativa” (12) se i prezzi dei titoli osservati in ogni momento sono basati su di una corretta valutazione di tutte le informazioni disponibili in quel momento: il prezzo di un titolo è, allora, la risultante delle aspettative che gli operatori, alla luce degli elementi informativi a loro disposizione, hanno sul titolo stesso  (13).
    Da queste constatazioni prende le mosse il dibattito giuridico-economico circa l’opportunità di prescrivere regole imperative che impongano agli emittenti quotati di rendere pubbliche tutte le notizie rilevanti per una corretta valutazione dei titoli da essi emessi e che, più in generale, mirino ad assicurare la completezza e la veridicità delle informazioni fornite al mercato ed alla Autorità di vigilanza.



4. Due modelli di regime informativo: mandatory e voluntary disclosure
 

4.1 Imprescindibilità e peculiarità del regime di mandatory discloure a garanzia dell’efficienza informativa del mercato
 

    L’informazione societaria - intesa quale insieme degli adempimenti informativi e dei comportamenti che l’ordinamento settoriale del mercato mobiliare pone a carico degli emittenti - è ormai assunta al rango di “bene pubblico” (14), considerato che, pur avendo prima facie ad oggetto affari privati di persone fisiche e giuridiche, tuttavia essa risulta trascendere l’interesse di tali soggetti, investendo inevitabilmente anche le scelte ed i comportamenti dei cc.dd. “stakeholders”, portatori anch’essi di interessi meritevoli di tutela, e del mercato in generale.
    La giustificazione dell’intervento imperativo del legislatore a sostegno della trasparenza informativa (che si sostanzia nell’imposizione di un regime di “mandatory disclosure” o “informativa obbligatoria”) prende le mosse dalla affermazione della valenza pubblicistica attribuita al “bene-informazione societaria” e dalla constatazione circa la tendenziale inadeguatezza ed insufficienza delle informazioni fornite dagli emittenti su base volontaria (vigendo cioè un regime di “voluntary disclosure”), in assenza di una qualsivoglia regolazione delle dinamiche di disclosure a livello normativo (15).
    Occorre quindi porre l’accento non tanto sul “se” intervenire a livello legislativo, ma sul “come” configurare l’intervento precettivo, una volta asseritane l’imprescindibilità.
    Al fine di abbracciare una realtà così variegata e mutevole quale è quella dell’imprenditoria societaria e dei mercati finanziari, è necessario che l’ordinamento fissi un minimum normativo obbligatorio di informazioni da fornire al mercato, caratterizzato da una certa elasticità e tempestività (quanto più l’accesso all’informazione sarà difficile, tanto più lento sarà il meccanismo di trasferimento dell’informazione nei prezzi e tanto minore la funzionalità del mercato), posto che il settore considerato si distingue per una sua “estrema dinamicità, che sopravanza sempre di gran lunga la capacità del legislatore di prevedere in modo specifico e preciso i singoli problemi destinati poi a manifestarsi” (16) . Deve essere inoltre considerato il fatto che, alla luce di quanto prima osservato, in condizioni di efficienza “informativa” del mercato, il prezzo del titolo dovrebbe poter riflettere le informazioni disponibili sul mercato stesso; ciò posto, ne risulta che eccesso di informazioni potrebbe tradursi in una continua modificazione del prezzo dei titoli, offrendo notevoli chances a chi si pone sul mercato con intenti meramente speculativi ,aggravando però, al contempo, la posizione di quei soggetti che, al contrario, hanno effettuato l’investimento ad altri fini, non prettamente speculativi (17). Così, pur potendo e dovendo in alcuni casi l’operatore economico integrare il minimum informativo prefissato a livello ordinamentale, occorrerà talvolta non eccedere in questo senso, per non rischiare quella che è stata definita una “disinformazione per indigestione” (18).

4.2 Le ragioni principali del fallimento della “voluntary disclosure”: la “teoria delle esternalità” e il “dilemma del prigioniero”


    La misura dell’ampiezza della voluntary disclosure scaturisce da un’analisi costi-benefici (19) che l’emittente effettua, in quanto produrre e diffondere informazione innegabilmente comporta dei costi ( “diretti” o “indiretti” (20) ) per i soggetti interessati. In particolare, l’informazione assume la veste di costo “indiretto” allorchè la si ponga in relazione al pericolo di perdita di competitività, riflesso eventuale di una politica societaria orientata verso la trasparenza informativa. A questo proposito, va rilevato come le società che si accingono alla disclosure si trovino a dover affrontare il c.d. “dilemma del prigioniero” (21): gli emittenti, infatti, non sono in grado di vagliare a priori la genuinità delle politiche di disclosure dei loro concorrenti.
    Non sapendo quindi a quale grado, in termini concreti, questi ultimi spingeranno il loro tasso di informativa, gli emittenti singolarmente considerati, per non rischiare di essere troppo “onesti”, diffondendo interamente le informazioni e favorendo così quelle società che invece “ingannano” il mercato circa la portata della loro disclosure, tendono così, “fisiologicamente”, ad una disclosure incompleta.
    L’informazione ha la caratteristica, una volta prodotta, di essere acquisibile, in linea di principio, da qualsiasi soggetto diverso dal produttore originario, ad un costo inferiore rispetto a quello sostenuto da quest’ultimo. In altri termini, si osserva che l’attività di produzione dell’informazione dà luogo in tal caso ad una “esternalità positiva” (22). Secondo la teoria dell’esternalità, quando i benefici di una determinata attività non ricadono interamente sul soggetto che li ha generati, la quantità di risorse che viene destinata alla predetta attività è inferiore alla quantità ottima dal punto di vista sociale.
    Perciò, constatata la presenza di tali esternalità, è possibile indurre gli emittenti a destinare alla disclosure una quantità ottima di risorse solo qualora siano assicurati dei meccanismi in grado di “internalizzare” le esternalità, meccanismi, cioè, in grado di far ricadere sul soggetto che le ha prodotte i benefici da esse derivanti. Ecco quindi che l’intervento pubblico dovrebbe muoversi in questo senso, poiché, altrimenti, in virtù della asserita presenza di esternalità che senza dubbio sfavoriscono chi diffonde informazioni, non vi potrebbe essere un tasso di disclosure sufficiente in assenza di previsioni legislative che si rendono perciò indispensabili.



5. I flussi informativi degli emittenti quotati: la disciplina del Testo Unico dell’intermediazione finanziaria (d. lgs. n. 58/1998)


    Nell’ordinamento italiano le diverse manifestazioni in cui solitamente si concretizzano le relazioni tra emittenti e pubblico degli investitori risultano essere inquadrate a livello sistematico nella normativa di cui al Titolo III (“Emittenti”), Capo I (“Informazione societaria”), del Testo Unico dell’intermediazione finanziaria (23). (in breve, il “Tuf”), il quale ha configurato un set di disposizioni (gli artt. da 113 a 118) atte per l’appunto a determinare gli oneri di disclosure gravanti sugli emittenti ed a garantire la correttezza dell’esercizio della funzione informativa del mercato, dati i risvolti in termini di efficienza dello stesso che essa comporta.
    In particolare, tale apparato normativo pone una summa divisio degli obblighi di disclosure in “Comunicazioni al pubblico” (art. 114 Tuf) e “Comunicazioni alla Consob” (art. 115 Tuf), oltre a disciplinare l’informazione dovuta dagli emittenti in sede di ammissione alla quotazione (art. 113 Tuf) ed a prevedere un apposito regime in materia di redazione del bilancio consolidato (art. 117 Tuf (24)), riconosciuto così quale insostituibile strumento di informazione sulla realtà economico-finanziaria dei gruppi di società. Degna di nota è anche la disposizione ex art. 116 Tuf, la quale, con significativa estensione di campo della disciplina della trasparenza informativa, stabilisce che i doveri di disclosure ex artt. 114 e 115 Tuf gravano anche sugli emittenti strumenti finanziari che, ancorché non quotati in mercati regolamentati, siano comunque “diffusi tra il pubblico in misura rilevante” (25). Da ciò consegue un significativo ampliamento dell’ambito degli investitori che possono contare su di una elevata soglia di trasparenza delle condizioni di negoziazione degli strumenti finanziari.
    L’art. 114 Tuf, in particolare, disciplina i flussi informativi aventi ad oggetto i cc.dd. “fatti price sensitive” (26) (vale a dire quelli che, verificandosi “nella sfera di attività” del soggetto e non essendo “di pubblico dominio”, possono, “se resi pubblici”, influenzare sensibilmente il prezzo degli strumenti finanziari), contemplando un dovere di disclosure continuativo a carico degli emittenti circa tali fatti, senza che sia quindi necessaria una specifica disposizione dell’Autorità di vigilanza in tal senso. Il legislatore del Tuf si è avvalso della consueta policy del rinvio alle competenze regolamentari della Consob al fine di determinare quali fatti possano essere considerati price sensitive e come essi debbano essere comunicati al pubblico (27). Tuttavia, in accordo al disposto del terzo comma dell’art. 114 Tuf, alla Consob risulta comunque attribuito il potere di richiedere agli emittenti, in via generale o particolare, la pubblicazione di notizie e documenti necessari per l’informazione al pubblico.
    L’art. 115 Tuf delinea gli obblighi di disclosure non già nei confronti del pubblico, bensì della stessa Consob. Nella disciplina posta dal Testo Unico finanziario gli interventi della Consob finalizzati all’acquisizione di dati e notizie sono distinti in due gruppi: la richiesta di comunicazione di notizie (28)  agli emittenti quotati, ai soggetti che li controllano ed alle società dagli stessi controllate, e le attività istruttorie, come l’assunzione di notizie da amministratori, sindaci, dirigenti, società di revisione e le ispezioni (29). Comune ad entrambe le tipologie di interventi è la finalità dell’esercizio dei poteri suddetti da parte della Consob, che si sostanzia, ai sensi di quanto previsto dal primo comma dell’art. 115, nell’esigenza di “vigilare sulla correttezza delle informazioni fornite al pubblico”: l’attività conoscitiva dell’Autorità di controllo, sia che si manifesti attraverso l’imposizione di obblighi di comunicazione, sia che si svolga attraverso attività ispettiva, deve quindi avere come obiettivo il controllo sulla correttezza dell’informazione destinata al pubblico (30).
    La pubblicazione del c.d. “prospetto di quotazione” (disciplinato dall’art. 113 Tuf) prima dell’inizio delle negoziazioni degli strumenti finanziari in un mercato regolamentato costituisce non tanto una condizione cui il listing stesso risulta subordinato, quanto piuttosto un mero strumento di informazione la cui disponibilità è ritenuta necessaria per la tutela dei potenziali investitori (31).
    Per quanto concerne la determinazione del contenuto (32) e delle modalità di pubblicazione del prospetto di quotazione, la disposizione dell’art. 113 Tuf rimanda ancora una volta a quanto stabilito dalla Consob a livello regolamentare (33), attribuendo inoltre alla società di gestione del mercato un ruolo di tutto rilievo in materia (34). Infatti, il secondo comma, lett. c), della suddetta disposizione, prevede che l’autorità di vigilanza detti le disposizioni necessarie al coordinamento delle proprie funzioni con quelle delle società di gestione dei mercati regolamentati  (35); in particolare, previa richiesta di queste ultime, la Consob può affidare loro, “tenuto anche conto delle caratteristiche dei singoli mercati”, compiti inerenti al controllo del prospetto informativo.

 

 

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(1) La letteratura è pressoché unanime nel riconoscere il carattere utopistico della teoria del “market egalitarianism”, che postula il raggiungimento di una condizione di par condicio informativa in capo a tutti i soggetti convergenti nel mercato mobiliare. Secondo S.SEMINARA, La tutela penale del mercato finanziario, in C.Pedrazzi-A.Alessandri-L.Foffani-S.Seminara-G.Spagnolo, Manuale di diritto penale dell’impresa, Bologna, 2000, p. 621, “occorre prendere le distanze dalle teorie volte ad auspicare un irrealizzabile market egalitarianism; in ogni caso, mai questa par condicio potrebbe tradursi nella disponibilità, da parte degli investitori, delle medesime conoscenze, poiché tale situazione impedirebbe l’incontro della domanda con l’offerta ed il mercato cesserebbe di funzionare”; lo stesso A. considera poi come “l’efficienza del mercato annovera tra i suoi presupposti anche l’attività di coloro che, attraverso analisi di settore, ricerche sulle serie storiche dei prezzi, studi di documenti contabili societari ecc., investono tempo e denaro nella individuazione di elementi e dati non ancora incorporati nel prezzo dei titoli, conseguendo così posizioni di vantaggio conoscitivo lecitamente utilizzabili a fini professionali o speculativi”. Richiama a tal proposito il c.d. “paradosso dell’informazione” o “paradosso di Grossmann” (secondo cui l’imporre a tutti i costi la diffusione di tutte le informazioni determinandone la non remunerazione produrrebbe l’effetto perverso di scoraggiare l’attività di ricerca, elaborazione, produzione, in una parola, dell’informazione stessa), F.MACCABRUNI, Insider trading e analisi economica del diritto, in Giur.comm., 1995, I, n. 4, p. 607.
(2) V. A.NERVI, La nozione giuridica di informazione e la disciplina di mercato. Argomenti di discussione, in  Riv.dir.comm., 1998, I, vol. II, n. 9-10/11-12, p. 862.
(3) A titolo esemplificativo si consideri quello che M.BESSONE, in I mercati mobiliari, Milano, 2002, p. 87 ss., definisce “il problema Internet”, osservando come “si  impiegano con crescente intensità, e sono parte importante della new economy originata dalla rivoluzione digitale ormai numerose e sempre più pervasive tecniche di contatto che non comportano la presenza fisica e simultanea dell’impresa offerente e dell’investitore. Ne conseguono strategie di mercato, forme di interazione tra intermediario ed investitori, nuovi assetti dell’economia finanziaria che sono in ogni senso molto più di un variante delle tradizionali modalità dell’offerta “fuori sede” (p. 89). Constatato il “carattere transnazionale della rete informatica che si movimenta via Internet”, l’A. auspica un vigoroso intervento in proposito delle autorità che hannocompetenze e responsabilità in materia finanziaria, posto che “all’atto pratico la materia finanziaria continua ad essere grave punto di caduta dell’ordinamento comunitario dell’e-commerce” (p. 90).
(4) Ogni scelta operativa presuppone infatti la raccolta, la gestione e la valutazione di una gran quantità di dati. Nel considerare la convenienza ad investire in determinati strumenti finanziari si fa per lo più riferimento a parametri desumibili dai dati economici di base, quali la solidità patrimoniale e le prospettive di redditività futura relative all’investimento. Ugualmente possono assumere rilievo sia notizie attinenti alla sfera soggettiva degli amministratori e dei soci controllanti degli emittenti, sia notizie riguardanti gli strumenti in questione, elaborate, a livello di studi e ricerche, da intermediari ed analisti.
(5) Così R.MAVIGLIA-R.MAVIGLIA, L’informazione societaria, in C.DI NOIA-R.RAZZANTE (a cura di), Il nuovo diritto societario e dell’intermediazione finanziaria. Guida al Testo unico della finanza ed ai provvedimenti attuativi, Padova, 1999, p. 339.
(6) Posto che soltanto una distribuzione capillare ed omogenea delle informazioni disponibili può consentire la realizzazione di un mercato correttamente funzionante e, pertanto, idoneo a favorire l’efficiente allocazione delle risorse disponibili, R.MAVIGLIA-R.MAVIGLIA, L’informazione societaria, cit., p. 340, evidenziano come “il problema dell’efficienza “allocazionale” (…) si traduce in quello dell’efficienza realizzazione dell’obiettivo, strumentale, della posizione delle condizioni di base perché gli investitori siano in grado di valutare correttamente come allocare il proprio denaro”.

(7) “La caratteristica fondamentale del mercato finanziario è quella di avere ad oggetto una ricchezza virtuale: quando si offre al pubblico un prodotto finanziario si offre sostanzialmente l’informazione di una ricchezza e, quindi, per definizione una ricchezza fisicamente assente, in quanto l’informazione, che talora è una entità che costituisce un bene in sé e per sé, nel nostro caso ha un valore decisivo. (…) Nel mercato finanziario il “prodotto” è pura e nuda conoscenza, informazione di una ricchezza assente”: così E.BOCCHINI, Introduzione al diritto commerciale nella new economy, Padova, 2001, p. 110.

(8) V.SCALISI, Dovere di informazione e attività di intermediazione mobiliare, in Riv.dir.civ., 1994, II, p. 179.
(9) G.CAMMARANO, in ASSOGESTIONI, Trasparenza dell’informazione societaria per l’efficienza del mercato finanziario. Atti della giornata di studio organizzata dall’Assogestioni, Milano, 6-7 giugno 1994, in Quaderni di documentazione e ricerca, Roma, 1995, n. 13, p. 7.
(10)  Cfr. R.RORDORF, Importanza e limiti dell’informazione nei mercati finanziari, in Giur.comm., 2003, I, n. 29, p. 773.
(11)  In questo senso, A.FERRARI-E.GUALANDRI-A.LANDI-P.VEZZANI, Strumenti, mercati ed intermediari finanziari, Torino, 1997, p. 190.
(12) V. E.F.FAMA, Efficient capital markets: a review of the theory and empirical works, in Journal of finance, 1970, n. 25, p. 383 ss. In particolare, l’Autore distingue tre livelli di “efficienza informativa”: efficienza debole (“weak form”), efficienza semiforte (“semistrong form”), efficienza forte (“strong form”). Nel primo caso i prezzi riflettono le sole informazioni storiche (ovvero le informazioni contenute nei prezzi precedenti); nel secondo caso, i prezzi riflettono le informazioni disponibili alla generalità degli operatori, compresi, per esempio, gli annual reports, gli annunci di dividendi, le previsioni degli utili, il cambiamento dei principi contabili utilizzati ed anche i prezzi passati.
Nell’ultimo caso l’A. ravvisa l’ipotesi in cui i prezzi riflettono tutte le informazioni disponibili, pubbliche e private. In questa ipotesi, nessuno potrebbe sfruttare le c.d. inside informations, perché il mercato sarebbe in grado di riconoscere subito chi agisce per utilizzare informazioni riservate ed il prezzo si adeguerebbe immediatamente prima che l’insider possa agire a fini speculativi, comprando o vendendo un titolo.
(13) Di conseguenza, secondo quanto osserva F.MACCABRUNI, Insider trading ed analisi economica del diritto, cit., p. 599, “in situazione di efficienza, quindi, il mercato dei titoli è in grado di essere quanto più possibile “liquido”, ovvero di assicurare sempre una pronta convertibilità dei titoli negoziati ad una valutazione che può dirsi equa”.
(14) Cfr. R.RORDORF, Importanza e limiti dell’informazione nei mercati finanziari, cit., p. 775; R.COSTI, L’informazione societaria ed i mercati regolamentati, in Le Soc., 1998, n. 8, p. 878 ss.
(15)  In questo senso si veda, uno per tutti, R.KRAAKMAN-P.DAVIES-H.HANSMANN-G.HERTIG-K.HOPT-H.K ANDA-E.ROCK, The anatomy of corporate law-A comparative and functional approach, Oxford University Press, 2004, p. 204: “despite criticism, the majority view among both scolars and regulators is that public companies would underproduce information in the absence of mandatory disclosure (...)”
(16) V.ancora R.RORDORF, Importanza e limiti dell’informazione nei mercati finanziari, cit., p. 775.
(17) Semplificando, i soggetti in surplus monetario che si pongono sul mercato possono essere raggruppati in due macrocategorie: gli “azionisti–risparmiatori” e gli “azionisti–imprenditori”. Si può poi aggiungere che vi sono soggetti che compiono un investimento che intende essere duraturo e quelli che invece intendono speculare sulla prospettiva di un veloce capital gain: la prima tipologia richiede di essere tutelata proprio nei confronti del carattere “volatile” che può caratterizzare alcuni titoli, carattere che, al contrario, è visto con favore dagli appartenenti alla seconda tipologia di soggetti, per i quali questo rappresenta infatti la principale possibilità di guadagno.
(18) Così F.GRANDE STEVENS, Interesse dell’impresa ed interesse del mercato: ricerca del punto di equilibrio, in Le Soc., 1998, n. 8, p. 887.
(19)  L’informativa volontaria è in astratto suscettibile di portare con sé alcuni benefici, primo fra tutti il miglioramento dell’immagine aziendale. Quindi, anche la necessità di ricorrere ai mercati internazionali per l’ottenimento dei fondi sulle diverse piazze finanziarie ha il suo peso nella determinazione di un atteggiamento più o meno aperto nei confronti della disclosure. C.CATTANEO, L’informativa “volontaria” nelle società quotate, in Riv. it. di ragioneria ed economia aziendale, luglio-agosto 2000, p. 380, rileva come “numerosi studi hanno inteso valutare le relazioni tra caratteristiche aziendali e disclosure. Dalla maggior parte delle verifiche empiriche è emerso che le società operanti in campo transnazionale (le cosiddette “multinationals”) e che hanno titoli quotati su più piazze finanziarie (le cosiddette “multilisting”) manifestano una maggiore sensibilità in questo senso”. La riduzione dell’incertezza legata alle performances presenti e future favorisce l’attrattività della società nei confronti dei mercati finanziari internazionali.
(20)  C.CATTANEO, L’informativa “volontaria” nelle società quotate: alcune osservazioni, 378 ss., distingue tra costi diretti e costi indiretti. I costi del primo tipo sono relativi alla produzione dell’informativa e alla sua diffusione ai vari destinatari. I costi indiretti “vengono legati principalmente alla perdita di competitività dell’azienda nei confronti dei concorrenti a causa delle informazioni diffuse, ma in qualche misura sono connessi anche ad una maggiore supposta contenziosità dovuta alla diffusione delle informazioni, nonché al possibile impatto su alcune attività aziendali”.
(21)  Il “dilemma del prigioniero” è un noto modello di gioco teorico, proprio delle scienze sociali. Il suo scopo è quello di illustrare le tendenze comportamentali dei soggetti, considerati come gruppo e come singoli individui, quando non possono cooperare l’uno con l’altro. Questo modello considera la situazione di due complici di un furto che, arrestati, aspettano di essere interrogati dalla polizia.
Essendo in due stanze separate, ciascuno ignora se il complice deciderà di confessare o di rimanere in silenzio. La migliore soluzione per il “gruppo” sarebbe il silenzio di entrambi. Qualora, infatti, uno confessasse, e l’altro, invece, ignaro della condotta del complice, si rifiutasse di parlare, quest’ultimo si troverebbe a ricevere un trattamento più duro rispetto a quello riservato al complice reo confesso. Non conoscendo quello che farà il complice, il singolo sospetto agisce in una prospettiva non più “di gruppo”, bensì “di singolo”, perché si rende conto che, indipendentemente dalla condotta del complice, l’unico modo per salvaguardare la sua posizione è confessare. Si vuole così dimostrare come, quando un gruppo è impossibilitato a collaborare, allora gli individui, che tendono in quell’occasione a perseguire il loro personale interesse, si trovano a prendere decisioni che non risultano sicuramente ottimali per il resto del gruppo.
(22)  Cfr. J.R.MACEY, Efficient capital markets, corporate disclosure and Enron, in Giur.comm., 2003, I, n. 29, p. 764 ss.
(23)  Si noti come il regime dell’informativa societaria era stato introdotto, seppur a livello embrionale, dalla legge n. 216/1974, istitutiva della Consob ed emanata in seguito ad un lungo dibattito sulla riforma della disciplina delle società azionarie. Tale legge regolava l’informazione sistematicamente dovuta alla Consob (art. 4, in seguito abrogato dall’art. 214 del d. lgs. n. 58/98), oltre all’informazione ulteriore che, in modo puntuale, la stessa Consob poteva richiedere alle società di comunicarle (art. 3, lett. c)) ovvero di fornire direttamente al mercato (art. 3, lett. b)), al fine di assicurare la trasparenza circa l’attività sociale.
Il concetto di informazione societaria compiva, grazie a questa legge, un “salto” notevole; infatti, il modello di informativa societaria previsto dal Codice Civile presentava lacune significative, in quanto non prestava la dovuta, specifica attenzione al fenomeno delle società facenti appello al risparmio diffuso, collocando i propri titoli presso il pubblico. La disciplina della materia era quindi configurata, prima della legge n. 216, come un’informazione per i soci, anziché per il pubblico: la suddetta legge, rispondendo alle carenze strutturali dell’informazione societaria di matrice codicistica in relazione ai soggetti che fanno appello al pubblico risparmio tramite il canale borsistico, ha avuto il merito di spostare l’accento, sotto il profilo dei soggetti destinatari delle informazioni stesse, dagli azionisti al pubblico in generale. Alla impostazione della legge n. 216, imperniata su un flusso di informazioni diretto dalle società alla Consob (con possibilità per quest’ultima di individuare quali tra le informazioni ad essa trasmesse dovessero essere divulgate la mercato), si affianca nel 1991, con l’avvento della legge n. 157 (meglio nota come “legge insider trading”), una impostazione che impone alle società di diffondere di propria iniziativa l’informazione al mercato, spettando all’Autorità di controllo il compito di verificare ex post l’osservanza della regola (cfr. art. 6, primo comma, l. 157/91, anch’esso successivamente abrogato dall’art. 214 del Tuf). Tuttavia, nonostante l’evoluzione normativa registrata dall’ordinamento a partire dalla legge n. 216/74, permanevano nel sistema sovrapposizioni e discrasie che rendevano difficile per l’interprete, costretto a partire da varie norme sparse a caso nell’ordinamento, la ricostruzione di una trama unitaria in materia di obblighi di disclosure. Il Testo Unico finanziario del 1998 appare perciò come il punto di approdo del processo di regolamentazione della disciplina della trasparenza informativa societaria, costituendo un provvedimento normativo in grado di razionalizzare la materia ed assicurare un coerente sistema di regole sul processo di elaborazione e diffusione delle informazioni rilevanti.
(24) In sintesi, tale disposizione sancisce in capo agli emittenti che accedono alla quotazione nei mercati regolamentati l’inapplicabilità di taluni casi di esonero dall’obbligo di redazione del bilancio consolidato previsti dalla legge. La dottrina ha salutato con favore tale previsione normativa, rilevando come tale norma rappresenti “un evidente riconoscimento del ruolo del bilancio consolidato quale strumento informativo necessario agli investitori per le loro scelte” (ROTA, Informazione contabile, in C.RABITTI BEDOGNI (a cura di), Il Testo Unico della intermediazione finanziaria, Milano, Giuffrè, 1998, p. 632). Il bilancio consolidato ha conosciuto nel tempo un’evoluzione legata principalmente alle esigenze conoscitive degli investitori e, più in generale, dei mercati degli strumenti finanziari, e solo successivamente è stato fatto oggetto di obbligo generalizzato in capo alle imprese capogruppo da parte delle varie normative nazionali.
Mettono in luce “l’originaria vocazione borsistica” della disciplina del bilancio consolidato G.E.COLOMBO-G.OLIVIERI, Il bilancio consolidato, in G.E.COLOMBO-G.B.PORTALE (diretto da), Trattato delle società per azioni, vol. VII, Torino, Utet, 1994, p. 580 ss., ove si evidenzia come “la prassi di redigere bilanci consolidati nasce e si afferma contemporaneamente negli Stati Uniti d’America ed in Gran Bretagna tra la fine del diciannovesimo ed i primi decenni del ventesimo secolo. (…)
Un altro dato caratterizzante l’esperienza anglosassone in subiecta materia è rappresentato dalla prima emersione del fenomeno a livello normativo, la quale avviene, in entrambi i menzionati ordinamenti, nell’ambito della speciale disciplina dettata per le società quotate in borsa su impulso dei rispettivi organi di controllo. Così dapprima la Securities and Exchange Commission (SEC) statunitense intorno alla metà degli anni ’30 e, pochi anni dopo, la Borsa di Londra, imposero ai soggetti che intendevano quotarsi la redazione di prospetti contabili su base consolidata al fine di migliorare l’informazione dei risparmiatori e la trasparenza di quei mercati. (…)”.
(25) Il legislatore del Tuf non riporta nella disposizione ex art. 116 i caratteri qualificanti gli “emittenti strumenti finanziari diffusi tra il pubblico”, demandando al c.d. “Regolamento Emittenti” (adottato dalla Consob con delibera n. 11971/99 e successivamente modificato) il compito di determinare con esattezza tali criteri definitori. In particolare, ai sensi dell’art. 2-bis del suddetto Regolamento, la qualificazione di “emittenti strumenti finanziari diffusi tra il pubblico” compete oggi agli “emittenti italiani che contestualmente: a) abbiano azionisti, diversi dai soci di controllo in numero superiore a 200, che detengano complessivamente una percentuale di capitale sociale almeno pari al 5%; b) non abbiano possibilità di redigere il bilancio in forma abbreviata ai sensi dell’art. 2435-bis, 1 comma, del codice civile”. Va precisato come, ai sensi del comma secondo dello stesso art. 2-bis del Reg. Emittenti, il superamento dei limiti numerici e quantitativi espressi dal comma primo della medesima disposizione deve concorrere con l’effettivo ricorso al mercato dei capitali, comprovato da criteri qualitativi costituiti da circostanze alternative relative alle azioni, che devono essere state oggetto di una sollecitazione all’investimento, di un’offerta pubblica di scambio o di un collocamento sul mercato, o essere negoziate su sistemi di scambio organizzati o emesse da banche e acquistate o sottoscritte presso loro sedi e dipendenze. Per una completa analisi dai rilievi critici della nozione di emittenti diffusi tra il pubblico in misura rilevante si segnala G.D.MOSCO, Le società con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante fra definizione, norme imperative e autonomia privata. Uno scalino sbeccato, da riparare in fretta, in Riv.soc., 2004, n. 4, p. 863 ss.
(26)  L’art. 114 Tuf non offre un ausilio diretto per stabilire quando una determinata informazione possa dirsi effettivamente rilevante per la formazione dei prezzi: si tratta, in verità, di un profilo centrale della disciplina dell’informazione continua, giacchè i relativi obblighi di informazione interessano per l’appunto i fatti che, se resi pubblici, sarebbero idonei ad influenzare “sensibilmente” il prezzo degli strumenti finanziari. Con riferimento alla problematica attinente l’esatta identificazione del contenuto e della portata della nozione di fatto price sensitive, va rilevato come il Regolamento Consob n. 11971/1999 (cui lo stesso art. 114 Tuf rimanda) non individua in concreto, neanche a titolo esemplificativo, fatti od operazioni aventi una tale caratteristica, limitandosi ad imporre la comunicazione al pubblico “dei fatti previsti dall’art. 114, comma 1, del Testo Unico” (art. 66 del Regolamento). La norma secondaria opera così un rinvio integrale alla nozione formulata dalla norma primaria del Tuf, ciò comportando un maggior onere per gli emittenti, i quali sono chiamati a ponderare autonomamente l’idoneità dei fatti che si verifichino nel corso dell’esercizio a condizionare, in misura sensibile, l’andamento dei prezzi degli strumenti finanziari, senza poter fare affidamento su una elencazione prestabilita di fatti presuntivamente rilevanti. In particolare, la valutazione della price sensitivity cui sono chiamati gli emittenti presenta non lievi difficoltà, in quanto questi sono tenuti a fornire ex ante, come astratta ed aprioristica opinione di tali soggetti circa l’apprezzabile grado di possibilità dell’evento temuto, la valutazione del potenziale impatto sul prezzo della notizia oggetto dell’obbligo di disclosure. In tale ambito, le società tendono per lo più a fare affidamento sulla esperienza maturata in proprio o da altre società soggette agli stessi obblighi nell’osservazione dell’andamento dei prezzi: la probabilità di una sensibile variazione delle quotazioni resta, infatti, la condizione cui avere riguardo al fine di stabilire la significatività delle notizie. Contra v. ASSONIME, L’informazione societaria nel Testo Unico della finanza: il commento dell’Assonime (Circolare n. 58/99), in Riv.soc., 1999, II, p. 803, ove si mette in dubbio l’efficacia del criterio di valutazione ex ante della rilevanza del fatto. Viene osservato come “(…) risulta assai complicato, quando non addirittura impossibile, il tentativo di codificare le reazioni del mercato al verificarsi di determinati fatti. Solo per eventi di macroscopico rilievo quali, ad esempio, la decisione di procedere a una fusione ovvero quella di effettuare un aumento di capitale finalizzato all’acquisizione di una partecipazione strategica, una “lettura” del fatto ex ante è possibile sulla base di comuni dati di esperienza. In ogni altro caso, la decisione di informare o meno il mercato non si poggia su appaganti parametri di riferimento e resta pertanto esposta al rischio della censurabilità ex post”.
(27) Ai sensi dell’art. 66, comma primo, del Reg. Emittenti Consob, le informazioni rilevanti sono rese pubbliche attraverso l’invio di un comunicato “alla società di gestione del mercato che lo mette immediatamente a disposizione del pubblico” e “ad almeno due agenzie di stampa”. Tale comunicato deve essere portato a conoscenza della Consob al più tardi nello stesso momento in cui viene messa a disposizione del pubblico; il terzo comma del suddetto art. 66 del Regolamento dispone peraltro che “ove il comunicato debba essere diffuso durante lo svolgimento delle contrattazioni, esso è trasmesso alla Consob e alla società di gestione del mercato almeno quindici minuti prima della sua diffusione”. Tale previsione ha la funzione di consentire all’organo di vigilanza e a quello del mercato di valutare la opportunità di intervenire al fine di chiedere integrazioni del comunicato ovvero di adottare interventi cautelativi sul mercato, quali, ad esempio, i provvedimenti di sospensione delle negoziazioni. Sempre con riferimento alle modalità previste per l’adempimento degli obblighi di comunicazione dell’informazione price sensitive, l’art. 67 del Regolamento dispone altresì la possibilità per la società di gestione del mercato di stabilire “modalità di comunicazione al mercato e al pubblico diverse da quelle indicate all’art. 66”, purché “idonee a garantire un uguale grado di diffusione delle informazioni”.
(28) Sotto il profilo degli obblighi di comunicazione, l’art. 115 Tuf non formula un elenco, neppure minimale, delle informazioni oggetto dell’obbligo, come invece si rinveniva precedentemente all’art. 4 della già citata legge n. 216/74, il quale presupponeva un nucleo minimo di informazioni tipizzate, le quali dovevano essere inviate all’organo di controllo. Il Tuf si limita a porre pochi principi di carattere generale, destinati ad essere integrati dall’azione della Consob: è rimesso dunque a tale Autorità il compito di statuire al riguardo, tanto con richieste di natura specifica ed individuale, quanto con atti di carattere generale.
(29) Va precisato come i dati raccolti dalla Consob nell’esercizio di tali attività sono coperti dal segreto d’ufficio ex comma decimo, art. 4, Tuf, al fine di impedire che le informazioni raccolte possano essere utilizzate per fini diversi da quelli relativi all’informazione del mercato.
(30) Completano il quadro delle potestà attribuite dall’art. 115 Tuf all’Autorità di vigilanza il potere di quest’ultima di esercitare l’attività conoscitiva nei confronti dei titolari di partecipazioni rilevanti e nell’ipotesi di sindacati di voto (art. 115, secondo comma); la disposizione del comma terzo dell’art. 115 pone invece in capo alla Consob il potere di richiedere l’indicazione nominativa dei soci o dei fiducianti, costituendo così la specificazione del potere di imporre la comunicazione di dati e notizie disciplinato dall’art. 115, primo comma, lett. a), e contribuendo inoltre a realizzare la trasparenza degli assetti proprietari delle società quotate, eliminando ogni dubbio circa la composizione del capitale sociale.
(31) In sostanza” - osserva M.MAZZARELLA, Commento all’art. 113, in G.ALPA-F.CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario al Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, Padova, Cedam, 1998, p. 1047 - “la pubblicazione del prospetto rappresenta il primo obbligo dell’emittente ed assolve alle esigenze di informazione del pubblico dei risparmiatori al cui soddisfacimento sono preordinate le norme in materia di obblighi degli emittenti quotati in borsa”. Così inteso il prospetto di quotazione, ecco che le informazioni che gli emittenti rendono note al momento della ammissione a quotazione degli strumenti finanziari “costituiscono (parte di) un flusso continuo, avente connotati di organicità e teso teleologicamente a conseguire il risultato di assicurare un’informazione idonea (..) a consentire l’apprezzamento del valore del titolo da parte del mercato”.
(32) Prima facie, secondo quanto disposto dal primo comma dell’art. 113 Tuf, il prospetto di quotazione deve contenere “le informazioni indicate nell’art. 94, comma 2” dello stesso Tuf, disciplinante a sua volta il prospetto informativo da emanarsi in occasione di appello al pubblico risparmio. Tale espresso rinvio sancisce a livello legislativo l’identità di finalità del prospetto di ammissione ex art. 113 e del prospetto di offerta ex art. 94 Tuf: tale assimilazione è stata riconosciuta dalla dottrina, che ha provveduto ad accostare ed inquadrare “entro una più ampia categoria giuridica definibile in termini di “ricorso al mercato mobiliare” (G.FERRARINI, Sollecitazione del risparmio e quotazione in borsa, in G.E.COLOMBO-G.B.PORTALE (diretto da), Trattato delle società per azioni, vol. X, Torino, Utet, 1993, p. 185) i distinti fenomeni della quotazione e della sollecitazione all’investimento.
(33) Cfr. rispettivamente gli artt. 53 e 56 del Regolamento Emittenti Consob.
(34) Si ricorda che funzione e responsabilità tipica della società di gestione de mercato è quella relativa al listing. In attuazione delle competenze affidatele, Borsa Italiana S.p.A., società autorizzata alla gestione del mercato ai sensi dell’art. 63 Tuf, ha deliberato il “Regolamento dei mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana s.p.a.”, nella cui Parte II (rubricata per l’appunto “Ammissione alla quotazione ufficiale di borsa”), detta le condizioni richieste ai fini dell’ammissione a quotazione. La disciplina italiana in questo contesto trova significativa corrispondenza con quella francese; in quest’ultimo Paese le imprese-mercato (premesso che i mercati sono gestiti da entreprises de marchè) – quale è, ad esempio, SBF-Bourse de Paris – hanno, tra gli altri, il compito di provvedere all’ammissione degli strumenti finanziari alla quotazione. Nell’ordinamento tedesco l’ammissione alla quotazione è disciplinata nella terza parte della legge di borsa (Borsengesetz) ed in un apposito decreto (Borsenzulassungsverordnung); preposta all’ammissione è la Zulassungsstelle, autorità amministrativa pubblica costituita, in forma di commissione, presso ciascuna borsa. Sono dunque presenti elementi di autodisciplina, ma in un cornice pubblica, nella quale la Zulassungsstelle è affiancata da altri organi, quale il Consiglio di borsa, che è composto di esponenti dei vari settori interessati ed ha poteri di organizzazione e gestione della borsa. “In sintesi, le funzioni che il nostro diritto e quello francese concentrano nelle società di gestione dei mercati sono da diritto tedesco distribuite tra vari organi pubblici (con elementi di autodisciplina) (…)”: G.FERRARINI, L’ammissione a quotazione: natura, funzione, responsabilità e self-listing, in An.giur.econ., 2002, n. 1, pp. 26-27 (cui si rimanda anche per una puntuale analisi della disciplina del listing in altri ordinamenti).
(35) Per quanto riguarda l’aspetto relativo al coordinamento fra le competenze della Consob e della società di gestione del mercato (materia peraltro già considerata dall’abrogato Reg. Consob n. 11125/1997), si veda l’art. 52 del Reg. n. 11971/99, sopra commentato e riportato.
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