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Corte Costituzionale e pignoramento delle pensioni: un nuovo quadro di assetto degli interessi

 

Antonino Sgroi


Come noto il modello di tutela delineato dal legislatore con riguardo alle pensioni e, in generale, con riguardo a ogni altra rendita previdenziale è difforme dal modello legislativo in materia di tutela delle retribuzioni del lavoratore o, in generale, di qualunque altro emolumento connesso a un'attività di lavoro subordinata in contrapposizione alla tutela dei diritti dei creditori di entrambi i soggetti debitori.
In questa ipotesi la regola generale è quella sancita dall'art. 545 c.p.c. che prevede la pignorabilità e sequestrabilità di salari, stipendi e trattamenti di fine rapporto nei limiti di un quinto a favore di tutti i creditori. 
All'opposto nella precedente ipotesi vige(va) la regola, diametralmente opposta, della limitata pignorabilità delle pensioni.
Limitata pignorabilità intesa non solo sotto il profilo quantitativo, ciò sarebbe perfettamente in linea con il trattamento fatto alle retribuzioni - un quinto -, ma anche, e qui stava la peculiarità del modello, con riguardo ai soggetti creditori che potevano soddisfare il proprio credito aggredendo il trattamento pensionistico o qualunque altro trattamento previdenziale a esso assimilabile. 
Infatti sotto quest'ultimo versante il legislatore individua(va), con elencazione tassativa, i soggetti dell'ordinamento che potevano soddisfare le ragioni del proprio credito, nei limiti del quinto, aggredendo il trattamento pensionistico.
Sul tema la regola a valenza generale valevole nel settore privato, sottoposta al vaglio di costituzionalità dell'odierna ( 1 ) , la si ritrova: nell'art. 128 del regio decreto legge n. 1827 del 4 ottobre 1935, convertito con modifiche in legge n. 1155 del 6 aprile 1936 e nell'art. 69 della legge 30 aprile 1969, n. 153.
La prima disposizione, contenuta nel primo comma e, ormai unico comma dopo le sentenze di illegittime costituzionale e le abrogazioni dei successivi due commi, dell'articolo, è strutturata su due livelli:
a) il primo livello contiene la regola generale della non cedibilità, né sequestrabilità, né pignorabilità delle pensioni, degli assegni e delle indennità spettanti secondo lo stesso testo legislativo che, si rammenta, è intitolato "Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale";
b) il secondo livello contiene una deroga al principio generale di cui retro, deroga che opera limitatamente alle pensioni - senza che si fissi, al suo interno, alcun limite quantitativo al recupero coattivo -, mentre lo spezzone normativo precedente elenca anche gli assegni e le indennità, "…che possono essere cedute, sequestrate e pignorate soltanto nell'interesse di stabilimenti pubblici ospedalieri o di ricoveri per il pagamento delle diarie relative e non oltre l'importo di queste."
Con il primo comma dell'art. 69 della legge n. 153 del 1969 il legislatore ridisegna l'istituto e statuisce "Le pensioni, gli assegni e le indennità spettanti in forza del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1927,…, nonché gli assegni di cui all'art. 11 della L. 5 novembre 1968, n. 1115, possono essere ceduti, sequestrati e pignorati, nei limiti di un quinto del loro ammontare, per debiti verso l'I.N.P.S. derivanti da indebite prestazioni percepite a carico di forme di previdenza gestite dall'Istituto stesso, ovvero da omissioni contributive, escluse, in questo caso, le somme dovute per interessi e sanzioni."
Il successivo secondo comma, con norma derogatoria, fà salvo in ogni caso il trattamento minimo nei confronti delle pensioni ordinarie liquidate dall'assicurazione generale obbligatoria (A.G.O.) e, infine, il terzo comma preclude nell'ipotesi di recupero di prestazioni indebitamente percepite che l'ente previdenziale possa richiedere il pagamento degli interessi, a meno che non vi sia stato dolo del debitore. 
Nel settore pubblico la medesima regola la si ritrova nel decreto del Presidente della Repubblica n. 180 del 5 gennaio 1950, T. U. in materia di sequestro, pignoramento e cessione di stipendi, salari e pensioni dei dipendenti della P. A., agli artt. 1 e 2.
Il primo articolo fissa la regola generale della insequestrabilità, impignorabilità e incedibilità, fra l'altro, anche delle pensioni, delle indennità e dei sussidi e rinvia per le eccezioni a tale regola al successivo articolo 2. 
Questo articolo, al primo comma, con riguardo anche alle pensioni e alle indennità che tengono luogo di pensione, consente il sequestro e il pignoramento in tre casi e precisamente: a) fino a un terzo per gli alimenti dovuti per legge; b) fino a un quinto per debiti verso l'ente pubblico da cui il lavoratore dipende e derivanti dal rapporto di impiego o di lavoro; c) fino a un quinto per tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, facenti carico, fin dall'origine, all'impiegato o salariato.


Sul delineato quadro legislativo, limitatamente alle disposizioni che afferiscono il settore privato, è stato chiamato a intervenire il giudice delle leggi con l'ordinanza di remissione del Tribunale di Ragusa.
Tale intervento si salda logicamente al precedente intervento della Corte avvenuto il 22 novembre 2002, sentenza n. 468, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 128 del regio decreto legge n. 1827 del 1935, convertito con modifiche in legge n. 1155 del 1936 "…nella parte in cui non consente entro i limiti stabiliti dall'art. 2, comma primo, numero 3, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, la pignorabilità per crediti tributari di pensioni, indennità che ne tengano luogo ed assegni corrisposti dall'INPS".
Con la decisione n. 468 si eliminano le discrasie esistenti in tema di pignorabilità delle pensioni fra settore pubblico e privato e, si estende a quest'ultimo la regola esistente per il primo in tema di pignorabilità per crediti tributari.
Il giudice delle leggi ritiene, a sostegno della propria decisione, che "Così come per i crediti alimentari (il precedente sul tema è la sentenza n. 1041 del 1988, v. infra), non sussiste ragione alcuna, con riguardo a quelli tributari, perché i titolari di pensioni INPS godano di un trattamento di favore - rispetto ai dipendenti dalle pubbliche amministrazioni e, conseguentemente, ai professionisti che percepiscono assegni dalle rispettive Casse di previdenza - in punto di pignorabilità o sequestrabilità dei crediti da essi vantati, a titolo di pensioni, assegni o altre indennità, nei confronti dell'INPS."
Con la decisione in commento si compie un ulteriore passo e si assimilano, sotto il versante esecutivo, le pensioni alle retribuzioni, consentendo che per le prime si possa procedere da parte di tutti i creditori al pignoramento, nel limite di un quinto, con allargamento pertanto dell'ambito di efficacia dell'art. 545 codice di rito. 


Nell'ordinanza del giudice a quo il punto di riferimento obbligato, dal quale procedere, era rappresentato dalla sentenza n. n. 55 del 6 febbraio 1991 della Corte costituzionale. 
In questa decisione la Corte, nel rigettare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 69 l. n. 153 del 1969 e degli artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 180 del 1950, osservava: 
a) riprendendo quanto affermato in una precedente sentenza, la n. 580 del 1989, che il diverso regime della pignorabilità delle pensioni non incide sul contenuto sostanziale della responsabilità patrimoniale del debitore, che resta sempre disciplinato dall'art. 2740 c.c., ma soltanto su di un particolare mezzo di esecuzione civile (pignoramento presso terzi) tra i tanti che consentono la realizzazione coattiva del diritto;
b) che la differenza di regime non è comunque irragionevole poiché trova fondamento nella intrinseca diversità di due situazioni giuridiche che rispondono a principi e finalità diversi, quali quelli espressi, rispettivamente, dagli artt. 36 e 38 Cost. e del resto, osservano i giudici, nelle precedenti pronunce in materia le stesse si sono limitate a eliminare ingiustificate diseguaglianze tra il settore pubblico e quello privato, ma sempre all'interno delle due distinte categorie delle retribuzioni e delle pensioni;
c) che, infine, non vi è alcuna limitazione del diritto alla tutela giurisdizionale sancito dall'art. 24 Cost. e ciò in quanto resta ferma la possibilità della realizzazione coattiva del credito su tutti i beni del debitore e l'esclusione delle pensioni dal novero dei beni sequestrabili o pignorabili per il soddisfacimento di crediti non qualificati, è da ritenersi espressione della facoltà del legislatore di subordinare in alcuni casi l'esperimento del diritto del privato alla tutela di altri interessi generali o di preminente valore pubblico come, nel caso, quelli garantiti dall'art. 38 Cost.


La Corte costituzionale, a poco più di dieci anni dal suo precedente intervento, è nuovamente chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della regola in tema di impignorabilità della pensione con riferimento al primo comma dell'art. 3 della carta costituzionale e, nella decisione in commento, imbocca una strada esattamente opposta. 
Il giudice delle leggi, per giustificare il proprio cambio di rotta, ha innanzi tutto proceduto a una ricognizione delle proprie decisioni in materia e, ancor prima di esporre i risultati della ricerca, assume che "…il principio della <<normale>> impignorabilità delle pensioni è risultato più presupposto che affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, tutta volta ad equiparare il trattamento del settore privato a quello pubblico." 
Dopo di ché il Collegio passa all'esame della propria giurisprudenza sul tema.

In ordine cronologico la prima sentenza è la n. 18 del 30 marzo 1960.
La Corte dichiarava non fondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 29 e 30 della Costituzione, dell'art. 128 R.D.L. cit. e dell'art. 45 del R.D. 17 agosto 1935, n. 1765 (Il testo disciplinava l'assicurazione obbligatoria degli infortuni e delle malattie professionali e l'art. sottoposto al vaglio di costituzionalità recitava: "Il credito delle indennità fissate dal presente decreto non può essere ceduto per nessun titolo, né può essere pignorato o sequestrato tranne che per spese di giudizio alle quali l'assicurato o gli aventi diritto, con sentenza passata in cosa giudicata, siano stati condannati in seguito a controversia dipendente dalla esecuzione del presente decreto.").
La Corte supportava la decisione argomentando che "…la regola della intangibilità delle pensioni e delle rendite (è stata dettata) in considerazione delle particolari finalità della tutela previdenziale, quelle cioè di assicurare al soggetto protetto non più in grado di provvedere al sostentamento in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia i mezzi indispensabili alle sue esigenze di vita; criterio questo che risponde al dettato dell'art. 38 della Costituzione." (prg. 2).
La successiva sentenza è la n. 1041 del 30 novembre 1988. 
Questa volta il giudice delle leggi dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 128 R.D.L. cit. e dell'art. 69 della legge n. 153 del 1969 nella parte in cui escludono, entro i limiti di cui all'art. 2 n. 1 del d.P.R. n. 180 del 1950, la pignorabilità per crediti alimentari.
La Corte osserva che l'impignorabilità delle pensioni erogate dall'Inps anche per causa di alimenti dà luogo a una disparità di trattamento priva di qualsiasi giustificazione rispetto alle pensioni dei dipendenti pubblici con lesione del principio costituzionale fissato dall'art. 3 della Costituzione (p. 85). 
Nonostante l'accertata lesione di tale principio si dovesse ritenere sufficiente per la declaratoria di illegittimità costituzionale, il giudice delle leggi passa a scrutinare le disposizioni legislative anche con riguardo all'art. 29 della Carta. 
Sotto questo versante la Corte:
- da un lato osserva che "la pensione di invalidità non esaurisce i suoi effetti nei confronti del solo assicurato, ma serve anche al sostentamento della sua famiglia, tanto che essa è soggetta al regime di reversibilità ai superstiti. Essa conserva quindi la generale ed intrinseca natura di trattamento previdenziale, ed è in forza di ciò che si è riconosciuta la ingiustificata disparità di trattamento rispetto alle pensioni dei dipendenti pubblici.",
- dall'altro rammenta e utilizza un proprio precedente, il n. 209 del 18 luglio 1984, riguardante la declaratoria di illegittimità dell'art. 1 della legge n. 1122 del 1955 (Tutela previdenziale dei giornalisti italiani) proprio in riferimento all'art. 29 cit., articolo al cui interno trova riconoscimento il diritto agli alimenti. 

Quest'ultima menzione consente il passaggio alle altre decisioni della Corte costituzionale afferenti disposizioni equipollenti a quella odierna, che si trovavano in altri micro-sistemi previdenziali. Decisioni con le quali si è perseguito il fine di uniformare il sistema previdenziale tout court a una regola generale e comune di pignorabilità delle pensioni nei limiti fissati dal d.P.R. n. 180 del 1950 all'art. 2. Come retro evidenziato la Corte ha compiuto sul tema un'opera di omogeneizzazione interna tesa all'applicazione di regole uniformi in tutti i sistemi previdenziali, sia pubblico sia privato. Tale obiettivo è stato perseguito estendendo al sistema privato le regole di pignorabilità delle pensioni fissate in ambito pubblico. 

La prima di queste decisioni, utilizzate nell'iter argomentativo dell'odierna statuizione, è la n. 105 del 2 giugno 1977. 
Sentenza ove si dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 12 del R.D.L. 27 maggio 1923, n. 1324; articolo che reiterava il principio generale di incedibilità, insequestrabilità e impignorabilità delle pensioni, delle quote di integrazione e degli assegni erogati dalla cassa nazionale sul notariato (Da notare che antecedentemente, nella sentenza n. 100 del 18 aprile 1974, la Corte aveva ritenuto legittima la disciplina dell'art. 12 anche se la decisione si chiude con "... l'auspicio che nella debita sede la disciplina di quella materia, che, considerata nel suo insieme, si presenta composita e variamente articolata, sia resa intimamente più coerente e venga armonizzata nel rispetto e con il contemperamento, per altro degli interessi generali e delle esigenze dei singoli campi di applicazione.").
La Corte osserva, innanzi tutto, che nel nostro diritto positivo non esiste un principio generale di assoluta impignorabilità nei confronti dei crediti di carattere alimentare e stante la funzione pubblica svolta dai notai ritiene che agli stessi debbano estendersi le regole fissate dall'art. 2 del d.P.R. ult. cit. non rinvenendosi ragioni a supporto della disciplina diversa sottoposta al vaglio costituzionale.
Sempre con riguardo al sistema previdenziale dei notai la Corte è ancora intervenuta con la sentenza n. 155 del 13 maggio 1987. 
Decisione ove si dichiarava l'illegittimità costituzionale della medesima disposizione nella parte in cui non prevedeva la pignorabilità per crediti alimentari delle pensioni corrisposte ai notai. 
Come retro evidenziato, anche all'interno del sistema previdenziale degli iscritti alla Cassa del notariato, la Corte ha proceduto a uniformare la disciplina di settore a quella generale dei pubblici dipendenti non rinvenendosi ragione alcuna a sostegno della differente disciplina.

L'indagine per micro-sistemi continua con l'esame della giurisprudenza costituzionale riguardante i trattamenti pensionistici dei giornalisti.
Come accaduto per i precedenti che riguardavano il sistema previdenziale dei notai, anche in questo caso la decisione più risalente nel tempo è di rigetto della questione di legittimità costituzionale. 
Nella sentenza n. 214 del 30 dicembre 1972 si dichiarava, in riferimento all'art. 3/1° comma Costituzione, infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 legge 9.11.1955 n. 1122.
A sostegno di tale soluzione si affermava che nel nostro ordinamento: 
a) non esiste un principio di carattere generale relativo alla sequestrabilità e pignorabilità degli stipendi e pensioni per determinati criteri, tra cui quelli relativi al pagamento dei tributi;
b) esistono norme che escludono le pensioni erogate dall'Inps;
c) alcuna analogia esiste fra la disposizione denunciata e quelle degli avvocati, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei geometri.
L'orientamento del giudice delle leggi muta con la decisione n. 209 del 18 luglio 1984.
In questa sentenza il parametro costituzionale della medesima disciplina era rappresentato dagli artt. 24 e 29 della Costituzione e la Corte ha ritenuto che gli stessi fossero violati dalla disposizione del sistema previdenziale dei giornalisti, art. 1, che:
- da un lato fissava la solita regola generale di impignorabilità, incedibilità e insequestrabilità delle pensioni, delle indennità e degli assegni;
- dall'altro introduceva una deroga a tale principio limitata ai diritti "…dei pubblici stabilimenti ospitalieri o di ricovero, per il pagamento delle diarie relative…".
La Corte supporta la propria decisione sulla scorta dell'art. 29, articolo all'interno del quale trova tutela il diritto agli alimenti al quale, corrisponde, l'obbligo da parte di chi è tenuto "…a non lasciare prove dei necessari mezzi di vita le persone legate dai vincoli più stretti". 
Osserva la Corte che l'obbligo agli alimenti è "…uno degli elementi costitutivi più rilevanti..." della famiglia così come delineata dalla carta costituzionale.
Individuato il regime costituzionale della famiglia il giudice delle leggi compie un ulteriore passo, pone in relazione tale regime con l'art. 36 della Costituzione e ritiene che questo "…nel porre i criteri essenziali per la determinazione della retribuzione fa esplicito riferimento alle esigenze non soltanto del lavoratore, ma anche della famiglia che egli abbia costituito e verso la quale ha assunto, fra gli altri, l'obbligo agli alimenti."
Da tale assunto discende, secondo la Corte, che "…sarebbe illogico che il lavoratore obbligato agli alimenti possa legalmente sottrarsi a questo suo obbligo dopo avere fruito o mentre fruisce del trattamento economico corrispondente alla situazione familiare…" con la conseguenza che, continua il giudice, si lascerebbe il titolare del diritto agli alimenti privo di qualsiasi sostegno reddituale.
Una volta che la Corte ha acclarato l'illegittimità costituzionale della norma sottoposta al suo vaglio, non restava che individuare il quantum. 
Sotto il versante quantitativo il giudice ritiene di potere procedere all'applicazione di quanto fissato dall'art. 2, n. 1 del d.P.R. n. 180 del 1950 e ciò in quanto la disposizione in questione "…può essere considerata di carattere generale…".

L'opera della Corte, di uniformazione della disciplina, continua con le sentenze n. 572 del 22 dicembre 1989 e n. 468 del 22 novembre 2002.
Nella decisione n. 572 si dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 110 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 nella parte in cui non consente, entro i limiti stabiliti dall'art. 2, primo comma, numero 1, del d.P.R. n. 180 del 1950, la pignorabilità per crediti alimentari delle rendite erogate dall'Inail. 
Il modello interpretativo si dipana attraverso l'art. 3 e l'art. 29 della Costituzione uniformemente a quanto accaduto nella decisione "Inpgi" sul medesimo argomento, la n. 209 del 1984.
Il quadro giurisprudenziale di riferimento si chiude con la sentenza n. 55 del 6 febbraio 1991, decisione ove si conferma la legittimità costituzionale dell'art. 69 della legge n. 153 del 1969 e degli artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 180 del 1950.

Esaurito l'esame delle decisioni, il giudice delle leggi constata come la sua giurisprudenza abbia assunto con riguardo:
a) alle pensioni come parametro generale la disciplina prevista per i dipendenti della P. A.;
b) alle retribuzioni come parametro generale la disciplina prevista per i lavoratori privati.
Dall'adozione di questi due diversi metri di riferimento ne è scaturito, osserva il giudice, che:
a) la retribuzione è stata integralmente restituita al novero dei beni sui quali, nei limiti previsti dalla legge, il creditore, qualunque sia la natura del credito può soddisfarsi;
b) la pensione e tutto ciò che è alla stessa equiparato è un bene aggredibile, sempre nei limiti dalla legge fissati, ma soltanto da parte di alcuni creditori anch'essi specificamente individuati in ragione del credito.
Il quadro di riferimento generale si chiude con la sentenza n. 55 del 6 febbraio 1991 (retro cit.), decisione ove si conferma la legittimità costituzionale dell'art. 69 della legge n. 153 del 1969 e degli artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 180 del 1950. 

La Corte, esaurito l'esame delle proprie antecedenti posizioni in materia, ritiene di dovere riesaminare la questione sulla scorta di tale procedere argomentativo:
a) vero che l'art. 38, secondo comma, della Carta costituzionale si ispira a criteri di solidarietà sociale e di pubblico interesse, criteri in forza dei quali deve garantirsi la corresponsione di un minimum la cui determinazione è riservata al legislatore;
b) vero che la garanzia di un livello di pensione adeguato alle esigenze di vita "deve comportare" da un lato un dovere dello Stato, dovere da bilanciarsi con le esigenze della finanza pubblica, e sotto il profilo privatistico una compressione del diritto dei terzi di soddisfare le proprie ragioni creditorie sulla pensione;
c) è altresì vero però che tale compressione del diritto pecuniario del creditore non può essere totale e indiscriminata ma deve rispondere a criteri di ragionevolezza da individuare all'interno di un campo delimitato da un lato dal diritto del pensionato, costituzionalmente garantito, ad avere assicurati mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita e, dall'altro dal diritto dei creditori a non vedere sacrificato il proprio diritto oltre il limite rappresentato dal menzionato diritto del pensionato, sacrificio che sarebbe invece totale se si dovesse affermare l'intangibilità assoluta del trattamento pensionistico;
d) in realtà, continua la Corte, il principio di impignorabilità assoluta vale solo per quella parte di pensione tesa ad assicurare i mezzi adeguati alle esigenze di vita garantiti dalla Costituzione;
e) sostegno esterno a tale modello interpretativo è ravvisato nella decisione della Corte di Cassazione, n. 5761 del 1999 che ritiene rilevabile d'ufficio per violazione di norme imperative la nullità del pignoramento della pensione di invalidità al di fuori dei limiti consentiti dal d.P.R. del 1950.
Effettuata questa ricostruzione la Corte osserva come rientri nel potere esclusivo del legislatore bilanciare le esigenze di tutela del credito e la garanzia di mezzi adeguati alle esigenze di vita del pensionato, conseguendone pertanto che il concreto ammontare della parte di pensione soggetta al regime di impignorabilità spetta al legislatore,
La conclusione di tale iter argomentativo è la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 128 R.D.L. "nella parte in cui esclude la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare delle pensioni, assegni ed indennità erogati dall'INPS e non prevede, invece, l'impignorabilità - con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati - della sola parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato i mezzi adeguati alle esigenze di vita e conseguentemente la pignorabilità della residua parte a norma dell'art. 545 cod. proc. civ., nei limiti del quinto della stessa."

Delineato il quadro di riferimento all'interno del quale si pone l'odierna decisione e il filo logico seguito dalla stessa per giungere alla declaratoria di illegittimità costituzionale della norma sottoposta al suo scrutinio possono ora compiersi una serie di considerazioni.

La prima considerazione da fare attiene la circostanza che: mentre la sentenza riguarda le pensioni gli assegni e le indennità menzionate dall'art. 128, l'ordinanza del tribunale di Ragusa era limitata alle sole pensioni e poneva una questione di legittimità costituzionale delle norme sulla materia "…nella parte in cui escludono - a differenza di quanto disposto dall'art. 545, quarto comma, del codice di procedura civile con riguardo alle retribuzioni - la pignorabilità, nei limiti di un quinto, della pensione di vecchiaia erogata dall'INPS per crediti diversi da quelli vantati dall'INPS stesso e da quelli di natura alimentare." (punto 1. Ritenuto in fatto).
Se questi erano i limiti della questione delineati dal giudice a quo ne sarebbe dovuto discendere una parziale declaratoria di illegittimità costituzionale limitatamente alle pensioni. 
Di converso la Corte costituzionale ha operato un'operazione chirurgica più vasta ed ha eliminato il divieto generale di pignoramento fissato dall'art. 128 non scorgendo che così facendo: 
a) si compiva un'opera ultronea rispetto a quanto richiesto per la soluzione del caso di specie (ove erano rilevanti solo gli spezzoni normativi rappresentati dal 1° comma dell'art. 69 e dall'ultimo periodo dell'art. 128);
b) si passava, senza che fosse necessario per la soluzione del caso di specie e senza che sul punto fosse stata prospettata questione di legittimità, alla valutazione del divieto generale fissato dalla prima parte dell'articolo in commento, divieto che riguardava anche le indennità e gli assegni;
c) si approdava alla dichiarazione di illegittimità costituzionale di quest'ultimo principio utilizzando uno strumento ermeneutico che è stato costruito per eliminare altro e diverso principio;
d) l'art. 128 conteneva un divieto generale che riguardava pensioni, assegni e indennità e una deroga - in favore di determinati soggetti specificamente indicati, fra i quali non era annoverato l'I.N.P.S. e, nei confronti dei quali, non vi era limite alcuno di tipo pecuniario - a tale divieto che riguardava solo le pensioni, ne discende pertanto che si compie un errore logico quando si traspone un procedere argomentativo, idoneo per rimuovere dall'ordinamento la regola derogatoria in materia di pensioni del primo comma dell'art. 69 l. cit. e lo si utilizza per eliminare altro e diverso divieto, divieto che riguardava altri soggetti, cioè gli stabilimenti pubblici o di ricovero e anche altri benefici, senza che di questi ultimi si faccia menzione alcuna nel procedere argomentativo della decisione;
e) si vuol dire su quest'ultimo aspetto che la Corte avrebbe dovuto anche spiegare perché è illegittima costituzionalmente quella disposizione che sottrae integralmente all'esecuzione gli assegni e le indennità, tutto ciò non è accaduto in quanto la Corte ha avuto l'illusione che a divieto generale corrispondesse deroga di pari ambito operativo, il ché come dimostrato non è vero;
f) da tutto ciò consegue che si è pervenuto a dichiarare l'illegittimità costituzionale di una norma il cui contenuto non è quello attorno cui ruota la sentenza in commento.

La seconda considerazione, interna al modello così come delineato dalla Corte, sfocia nell'osservazione che per la concreta efficacia della decisione sarà necessario l'intervento del legislatore a cui la Corte ha affidato il compito di individuare il quantum della pensione non pignorabile e, solo dopo questa individuazione si potrà quantificare, di risulta, l'ammontare della pensione sulla quale operare il pignoramento nei limiti del quinto (simile procedere, in materia pensionistica, è stato utilizzato dalla Corte, da ultimo nella decisione n. 417 del 1998, ove si dichiarava l'illegittimità costituzionale dell'art. 7 u. c. della legge 4 luglio 1959, n. 463 e, contestualmente, si rinviava al legislatore per l'individuazione dei criteri di quantificazione degli interessi dovuti nell'ipotesi di rimborso di contribuzione indebitamente versata).
Sotto quest'ultimo aspetto pare utile soffermarsi sulla circostanza che il reddito su cui conta il pensionato potrebbe non essere esclusivamente costituito dalla prestazione pensionistica conseguendone, a livello di politica del diritto, pertanto, la difficoltà di individuazione di un unico parametro limite al pari di quel che accade per i crediti retributivi.

Ancora, la declaratoria attiene il solo pignoramento mentre la disposizione prevede anche il divieto di cessione e sequestro, ne consegue che la declaratoria di incostituzionalità ha lasciato in piedi:
a) il divieto generale di cessione e sequestro per assegni e indennità;
b) la deroga generale nei limiti fissati dalla disposizione per la cessione e il sequestro della pensione.

Si prosegue in queste, necessariamente non approfondite, osservazioni fermando l'attenzione su latro passo della decisione, laddove si dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 69 della legge n.153 del 1969 "…dal momento che, con tale norma, il legislatore non altro ha fatto che prevedere limiti e modalità attraverso le quali un creditore qualificato (l'INPS, per indebite prestazioni ovvero per omissioni contributive) può assoggettare a pignoramento un quinto dell'intero ammontare della pensione." (punto 11), Considerato in diritto).
L'assunto è certamente condivisibile ma solo se si leggono i commi secondo e terzo dell'articolo in questione; non è più condivisibile né sostenibile se lo si traspone per vagliare il primo comma dell'art. 69. 
Comma che costituiva lo specifico oggetto, unitamente all'art. 128 r.d.l. cit., dell'ordinanza del giudice di merito e che, a quanto pare, è stato ignorato dal giudice delle leggi.
Questo comma contiene, come retro evidenziato, l'introduzione di un nuovo principio derogatorio al divieto contenuto nella prima parte del primo comma dell'art. 128, principio che si sostanzia nel possibile sequestro, pignoramento e cessione di pensioni, assegni e indennità nei limiti di un quinto per crediti vantati dall'I.N.P.S. e scaturiti da prestazioni indebite o da omissioni contributive.
Ne consegue pertanto che la Corte avrebbe dovuto procedere, quale conseguenza logica del suo iter argomentativo, alla declaratoria di illegittimità costituzionale di questa norma e non solo dell'art. 128, il ché non è accaduto.
Da rilevare, sotto quest'aspetto, che l'iter decisionale su cui si radica la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 128, si attaglia perfettamente alla norma che, invece, si è salvata.
Da tale situazione ne discende, per assurdo, che eliminato dal nostro ordinamento l'art. 128 r.d.l. cit. rimane ancora il primo comma dell'art. 69 l. cit., ogni ulteriore commento appare un fuor d'opera.

Infine, condivisibile, all'interno della ratio decidendi seguita dal Collegio, è l'estensione della declaratoria di illegittimità alle disposizioni omologhe contenute nel d.P.R. n. 180 del 1950 anche se deve reiterarsi lo scollamento logico retro evidenziato. 


(1) Pensioni, assegni e indennità - Impignorabilità nei limiti di un quinto - Manifesta infondatezza della questione.

Corte Costituzionale - 4.12.2002, n. 506 - Pres. Ruperto - Rel. Vaccarella - Presidenza Consiglio dei Ministri (Avv. dello Stato)

E' illegittimo costituzionalmente l'art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, nella parte in cui esclude la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare di pensioni, assegni ed indennità erogati dall'INPS, anziché prevedere l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte.

In applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, sono illegittimi costituzionalmente gli artt. 1 e 2, primo comma, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni), nella parte in cui escludono la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare di pensioni, indennità che ne tengono luogo ed altri assegni di quiescenza erogati ai dipendenti dai soggetti individuati dall'art. 1, anziché prevedere l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte delle pensioni, indennità o altri assegni di quiescenza necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte.

E' manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 69 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale).
Pensioni, assegni e indennità - Pensioni erogate dall'INPS - Impignorabilità assoluta della sola parte necessaria per le esigenze di vita e pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte - Mancata previsione - Contrasto con il principio di ragionevole limitazione dei diritti dei terzi creditori - Illegittimità costituzionale in parte qua.

Impiego pubblico - Pensioni e indennità - Impignorabilità assoluta della sola parte necessaria per le esigenze di vita e pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte - Mancata previsione - Contrasto con il principio di ragionevole limitazione dei diritti dei terzi creditori - Illegittimità costituzionale in parte qua, consequenziale.